tam tam |  opinione  |
Comodi cavalletti e scomodi magistrati
In movimento - 11-01-2005
Mentre la Casa delle Libertà, dopo aver invocato e cercato in ogni modo la libertà e l'impunità per collusi con Cosa Nostra e corruttori di magistrati, invoca la galera, subito, preventiva, per l'aggressore di Berlusconi (la cui aggressione, stando ai commenti televisivi sembrerebbe paragonabile all'omicidio di Kennedy) Cosa Nostra torna all'attacco.

E lo fa puntando la propria mortale attenzione su due magistrati: il procuratore capo di Palermo, Piero Grasso, che secondo i macabri programmi della mafia dovrebbe fare la fine di Giovanni Falcone, e Luca Tescaroli, giovane e bravissimo magistrato a Roma, già pubblico ministero del processo per le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Ovviamente nessun commento sulle televisioni.
Il centrodestra troppo impegnato a linciare l'assalitore del Cavaliere (dico per evitare equivoci che auspico che quest'ultimo paghi fino in fondo il proprio gesto, stupido e grave) e il centrosinistra troppo impegnato a salvare il rapporto con Mastella, lo statista di Ceppaloni.

L'allarme invece andrebbe preso sul serio, a maggior ragione in un Paese come il nostro martoriato dalla mafia e dai suoi troppi complici.

Giovanni Falcone, l'uomo osannato da morto ma martoriato da vivo dalla stampa siciliana e nazionale, dai socialisti e dai democristiani, ripeteva spesso che il primo passo verso la morte di un magistrato è l'isolamento.

Quando la mafia vede un servitore dello Stato lasciato solo, linciato e insultato, capisce che è giunto il momento di uccidere.

E' successo con Chinnici ("distrugge l'economia siciliana"), Livatino ("il giudice ragazzino"), Falcone e Borsellino ("operano per far fuori la classe politica alla ricerca di un fantomatico terzo livello").

Sull'ormai crisi dell'etica pubblica della nostra classe politica ho scritto molto, ma sarà per la mia giovane età o per la mia passione per il diritto, non rinuncio a sostenere che una così profonda crisi della legalità meriterebbe risposte ben diverse da quelle offerte dall'attuale classe dirigente di questo Paese.

Risposte che non sono certo negli insulti riservati ai magistrati, ogni qualvolta questi, nello svolgimento del proprio dovere, hanno a che fare con qualche potente di turno.

Né possono essere nella costante volontà e ricerca dell'impunità con leggi che minacciano la funzionalità dei processi civili e penali. Ma questo tema meriterebbe un articolo a parte. Quello che non è tollerabile è che quel "familismo amorale" che sempre più coinvolge ampi strati della società italiana che premia la furbizia e l'approssimazione, è ormai dato come una condizione dalla quale è impossibile ed inutile fare u meno.

E la mafia trae le proprie conseguenze.

Da anni ormai la stessa parola mafia è impronunciabile in televisione, in parlamento, ovunque.

E le menzogne la fanno da padrone.

Andreotti, nonostante la sentenza ci dica che fino al 1980 il reato di associazione mafiosa è provato ma prescritto per decorrenza dei termini, è stato fatto passare per un galantuomo.

E Dell'Utri paragonato a Socrate.

In un clima del genere non ci stupiamo se Cosa Nostra voglia passare all'incasso.

Se i giudici antimafia vengono linciati, isolati, denigrati, perchè non colpirli?

Se le parole pronunciate da Riina sui giudici comunisti sono le stesse di un noto partito italiano, ma direi della maggior parte dei partiti italiani, perchè non colpire questi servitori dello Stato? Credo che in questo Paese ognuno debba fare il proprio dovere e inoltre essere fino in fondo cittadino: per questo motivo io, ma credo che gli amici di Inmovimento possano concordare e associarsi, esprimo, per quel che possa valere, solidarietà a quei magistrati, da Caselli ad Ingroia, da Scarpinato alla Imbergamo che giorno dopo giorno al rischio delle proprie vite, difendono lo Stato.

E per questo credo che sia doveroso essere, da oggi, ancora più vicini a Piero Grasso e Luca Tescaroli.

Valerio Vartolo


  discussione chiusa  condividi pdf

 Redazione    - 08-01-2005
Riceviamo e pubblichiamo la lettera-appello, indirizzata al procuratore nazionale antimafia, Pier Luigi Vigna, da un gruppo di magistrati.


"Mentre tutti eravamo sgomenti di fronte alla fine, nel Sud Est asiatico, di un pezzo di mondo, il Governo ha prorogato per un pugno di mesi nell'incarico, scadente il 15 gennaio, il Procuratore nazionale antimafia.

La proroga è avvenuta quasi di nascosto siccome inserita all'interno di un decreto legge dedicato, per il resto, ai bilanci degli enti locali, alla «liberalizzazione dell'accesso al mercato dell'autotrasporto di merci per conto di terzi» e a «contributi allo spettacolo dal vivo» (in evidente contrasto con il recente monito del capo dello Stato, contenuto nel messaggio di rinvio alle Camere della legge sull'ordinamento giudiziario, circa la necessità che i provvedimenti legislativi siano chiari e controllabili).

Il decreto appare sotto più profili in contrasto con la Costituzione e integra forse il più grave attacco di questi anni all'indipendenza della magistratura. La Costituzione limita lo strumento del decreto legge, e dunque la competenza (provvisoria) del Governo, ai «casi straordinari di necessità e d'urgenza». Nella vicenda specifica la relazione che accompagna il provvedimento motiva la straordinaria urgenza con la impossibilità di lasciare vacante, anche per pochi mesi, l'incarico di Procuratore nazionale antimafia «date le esigenze di lotta alla criminalità organizzata».

È un esempio tipico di «non motivazione»: la necessità di affrontare una agguerrita criminalità organizzata non è, nel nostro Paese, una improvvisa e imprevedibile emergenza ma (purtroppo) un dato costante; se l'impostazione sottesa al decreto fosse fondata, tutti i Procuratori della Repubblica (e perché non anche i sostituti?) di Napoli, Palermo o Reggio Calabria dovrebbero vedersi prorogato senza fine l'incarico (anche oltre i limiti d'età); la procedura per nominare il nuovo procuratore è in pieno svolgimento e in ogni caso, stando alla finalità dichiarata, nessuna proroga sarebbe, anche in astratto, giustificabile oltre i termini necessari per tale nomina.

Ma, soprattutto, la Costituzione affida le «assegnazioni» dei magistrati esclusivamente al Consiglio superiore e non v'è dubbio, alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale, che in tale concetto rientra la proroga di un incarico oltre i limiti temporali per i quali è stato, a suo tempo, assegnato. Non a caso è la prima volta nella storia della Repubblica che un magistrato viene mantenuto nell'incarico mediante un provvedimento emesso dal potere esecutivo.

Se fosse l'inizio di una serie, l'effetto sarebbe inevitabilmente la cancellazione dell'indipendenza della magistratura (suscettibile di essere governata dall'esterno con una accorta politica di conservazione nell'incarico dei dirigenti graditi alle contingenti maggioranze politiche). Evitare che ciò avvenga è necessario, dunque, sia con riferimento al caso specifico sia per impedire che si realizzi un precedente gravissimo.

Confidiamo che il Consiglio superiore della magistratura faccia la sua parte per scongiurare questa evenienza ma, insieme, auspichiamo da parte dell'attuale Procuratore antimafia un gesto che elimini in radice il problema. Conosciamo da anni Piero Vigna; ne abbiamo apprezzato e ne apprezziamo, insieme alla ben nota professionalità, la sensibilità istituzionale e il disinteresse personale; abbiamo salutato con soddisfazione e apprezzamento la sua conferma nell'attuale incarico, avvenuta all'unanimità, da parte del Consiglio superiore; gli siamo grati per il modo in cui ha saputo in questi anni dirigere un ufficio delicato e importante come la Direzione nazionale antimafia.

Per questo siamo certi che saprà dire di no a un provvedimento che riguarda non solo lui personalmente ma l'intera magistratura e le sue condizioni di indipendenza".

7 gennaio 2005, firmatari alle ore 18.30 del 7 gennaio 2005:

1) Sandro Ausiello (sostituto procuratore Torino) 2) Salvo Boemi (procuratore aggiunto Reggio Calabria) 3) Paolo Borgna (sostituto procuratore Torino) 4) Vittorio Borraccetti (procuratore Repubblica Venezia) 5) Pietro Calogero (procuratore Repubblica Padova) 6) Anna Canepa (sostituto procuratore Genova) 7) Corrado Carnevali (procuratore aggiunto Milano) 8) Domenico Carcano (magistrato addetto alla Corte cassazione) 9) Claudio Castelli (giudice Tribunale Milano) 10) Nino Condorelli (sostituto procuratore generale Brescia) 11) Piercamillo Davigo (consigliere Corte appello Milano) 12) Enrico Di Nicola (procuratore Repubblica Bologna) 13) Giuseppe Gennaro (procuratore aggiunto Catania) 14) Francesco Gianfrotta (aggiunto ufficio gip Tribunale Torino) 15) Paolo Giovagnoli (sostituto procuratore Bologna) 16) Antonio Ingroia (sostituto procuratore Palermo) 17) Franco Ionta (sostituto procuratore Roma) 18) Giorgio Lattanzi (consigliere Corte cassazione) 19) Guido Lo Forte (procuratore aggiunto Palermo) 20) Paolo Mancuso (procuratore aggiunto Napoli) 21) Gioacchino Natoli (sostituto procuratore Palermo) 22) Guido Papalia (procuratore Repubblica Verona) 23) Ignazio Patrone (magistrato addetto Corte costituzionale) 24) Livio Pepino (consigliere Corte cassazione) 25) Aldo Policastro (giudice Tribunale Napoli) 26) Ferdinando Pomarici (procuratore aggiunto Milano) 27) Franco Roberti (procuratore aggiunto Napoli) 28) Nello Rossi (consigliere Corte cassazione) 29) Massimo Russo (sostituto procuratore Palermo) 30) Luciano Santoro (procuratore aggiunto Salerno) 31) Pietro Saviotti (sostituto procuratore Roma) 32) Roberto Scarpinato (procuratore aggiunto Palermo) 33) Luigi Scotti (presidente Tribunale Roma) 34) Armando Spataro (procuratore aggiunto Milano) 35) Cuno Tarfusser (procuratore della Repubblica Bolzano) 36) Giuliano Turone (procuratore aggiunto Milano) 37) Gianfranco Viglietta (sostituto procuratore generale Cassazione) 38) Claudio Viazzi (presidente sezione Tribunale Genova) 39) Carlo Piana (procuratore Repubblica Cagliari).


Osservatorio sulla legalità