Banfi Mario - 29-11-2004 |
Le espressioni di Mereghetti mi trovano ampiamente in accordo. Sarebbe utile però mettere i riferimenti dell’intervista della dtt.ssa Pomodoro che ho avuto occasioni per stimare. Vorrei comunque fare qualche precisazione: · Ai giovani bisogna offrire “uno sguardo di amore totale”. Certo. · “Gli adulti rispondono con analisi sociologiche o con terapie psicologiche”. Vero, o facessero almeno questo. Ma noi adulti quanto riflettiamo sul rapporto apprendimento – educazione. Cioè nella scuola ci poniamo come professori o come educatori (per me, l’educatore contiene il poter insegnare con competenza). · Inoltre, gli adulti di oggi sono meno frammentati dei giovani? O siamo noi adulti a trasmettere questa frammentazione? · Non ricette sulla felicità, ma uno sguardo che sappia “tenere alta la testa” davanti al giovane perché questa felicità la si vive. Io la chiamerei anche esplicitamente Fede. Ma con la ricerca di una umiltà di fondo, perché anch’io che la trasmetto posso sbagliare. E con l’umiltà che anche uomini che non hanno una fede esplicita, ma ricercata, possono oggi trasmettere la stessa speranza e io posso lavorare con loro. |
cla - 29-11-2004 |
Parole sagge: la semplicità della genialità. |
Gianni Mereghetti - 11-12-2004 |
Giancarlo Cesana in un significativo articolo sul Foglio affronta la questione educativa, afferrando con una presa sicura l’insegnante di oggi che sta scivolando pericolosamente sull’orlo del precipizio. E’ vera l’osservazione che fa Cesana, nella scuola è diventato ricorrente rifugiarsi nella psicologia, come se la conoscenza dei meccanismi della mente o delle reazioni emotive sia la condizione necessaria per liberare i giovani dall’insicurezza che li disorienta quotidianamente. E’ altrettanto vero che questa riduzione dell’educazione a psicologia ha mandato gli insegnanti incontro a fallimenti ripetuti, in quanto non è conoscendo nei minimi particolari il funzionamento della psiche che si risponde alla domanda di felicità che vibra nel cuore di ogni giovane. Cesana tocca così il fondo della questione, ma perchè indica da dove si possa subito ricominciare. Infatti la fragilità che lui mette a nudo non è primariamente psicologica, bensì ideale. I giovani sono incerti, disorientati, soli, perchè il loro desiderio non trova il terminale della risposta, ma gli insegnanti non sono da meno, se sono stressati, annoiati e annoianti, è perchè soffrono per la mancanza di un senso. Così nè gli uni nè gli altri potrebbero riiniziare da un’analisi psicologica della propria condizione, che al massimo arriverebbe a fotografarli. Non di una fotografia di se stesso un insegnante o un giovane d’oggi ha bisogno, ma della certezza di un senso, una certezza che viene dall’incontro con una persona appassionata alla vita, non da un processo psicologico, nemmeno da un ragionamento culturale. Di questo mi hanno convinto e continuano a farlo sia quegli studenti che hanno un’attenzione totale a chi gli sta a fianco o di fronte, sia quegli insegnanti che non dalle loro conoscenze sono spinti ad entrare in classe, ma dallo struggimento per il loro destino e per quello di ognuno dei ragazzi e delle ragazze a cui insegnano. Io, è da qui che ricomincio ogni giorno, coinvolgendomi con questi studenti e insegnanti che a scuola portano la questione a livello della loro domanda di senso. Del resto non è educazione se non va al cuore dell’io, là dove pulsa il desiderio di essere felice, felice per sempre. |