breve di cronaca
La cultura? E' un bene per pochi, dice il governo
Aprile on line - 29-10-2004
È un fatto pacifico: con la cultura non ci si riempie la pancia. Ma non per questo si dovrebbero tacere, come per lo più accade, gli effetti catastrofici che la Finanziaria avrà anche su buona parte del settore culturale, quella che per sua natura è più riottosa a cadere sotto il criterio generale della “competitività”. È in questione il senso di uno statuto pubblico possibile e auspicabile: può e deve lo Stato garantire ai suoi cittadini l’accesso alla cultura, favorendo anche i processi della sua creazione e del suo sviluppo? Insomma, è essa un bene pubblico da alimentare al pari di altri?

Da molti anni, e non è solo colpa di Berlusconi, sembra che la risposta sia un perentorio “no”. O peggio: non c’è alcuna risposta, piuttosto vige una situazione di silenzio-assenso di fronte allo smantellamento progressivo delle porzioni residue di responsabilità istituzionali in materia. Evidentemente la cultura, intesa come fatto pubblico, non interessa né i politici né la stessa opinione pubblica o i suoi artefici. È considerata alla stregua di un prodotto di consumo qualsiasi: chi può lo compri, chi non può si arrangi (non basta la tv?) e crepino gli artisti, se non sanno essere imprenditori di sé stessi. Con ciò anch’essa soggiace allo stesso processo ideologico di liberalizzazione (liberazione dal suo essere parte della cosa pubblica!) che colpisce altri settori nodali: non è ormai soltanto ironico, per esempio, associare la Rai al concetto di “servizio pubblico”?

La Finanziaria che si sta discutendo in queste settimane falcia uno strumento imprescindibile, per quanto molto criticato, di intervento statale a favore della creazione: il FUS, fondo unico dello spettacolo, di pertinenza del Ministero dei beni e delle attività culturali, che – pur con criteri discutibili e con esiziali ritardi – lo ripartisce ogni anno ai vari settori di attività: dal cinema alla musica, dal teatro alla danza e al circo. Ebbene, anche a detta del presidente dell’Agis, l’associazione che dovrebbe tutelare il settore dello spettacolo, il FUS per il 2005 rischia di retrocedere a cifre da anni ’90, sotto l’incombente accetta di Siniscalco. Il che significa una vera sciagura per le varie realtà dello spettacolo italiano: soprattutto per quelle più deboli. In poche parole, la creazione artistica indipendente e non omologata ai grandi circuiti va incontro all’estinzione.
Eppure tutto ciò non è il frutto cattivo e necessario dell’euro o di altre presunte congiunture globali e metafisiche. Certo, ogni governo sta tirando a suo modo la cinghia, tagliando in primo luogo servizi e brandelli di stato sociale. Ma in Francia, per esempio, dopo le forti mobilitazioni degli Intermittents (i precari dello spettacolo) in sinergia con i ricercatori delle università e dei centri di ricerca pubblici, qualcosa si è mosso. Oltre a rimpiazzare il precedente e incapace ministro (col rimpasto di governo che seguì la sconfitta del premier Raffarin alle regionali della scorsa primavera), il nuovo responsabile della cultura ha provveduto ad attenuare la contestatissima riforma del sistema di sussidi di disoccupazione per i precari dello spettacolo, annunciando a fine settembre pure un aumento del 6% del budget della cultura. Che è una buona notizia.
Non si vuole qui esaltare la situazione francese, che resta critica. Ma si deve notare come la grande mobilitazione e il movimento di opinione che accompagnarono le proteste dei precari (con i clamorosi annullamenti dei festival estivi del 2003) abbiano positivamente interferito sull’azione di governo. Evidentemente, il senso di quelle prese di posizione era ed è che la cultura deve far parte dello stato sociale (pur con le debite priorità), e che un moderno welfare non può non contemplarne tanto lo sviluppo (sostegno agli artisti) quanto l’ampia diffusione (accessibilità per gli spettatori).
Purtroppo in Italia nulla sembra muoversi: colpa dei politici (ce n’è qualcuno in parlamento cui la cosa stia fattivamente a cuore?), ma colpa anche della scarsa reattività della società civile. Con qualche eccezione da salutare con interesse: come il denso incontro “Il teatro italiano e le sue buone pratiche”, che avrà luogo a Milano il 6 novembre. Informazioni sul sito ateatro.

Andrea Rustichelli


  discussione chiusa  condividi pdf

 ilaria ricciotti    - 29-10-2004
Pur essendo questo un articolo forte, è una articolo che ti sbatte in faccia la realtà dei fatti. E' inaccettabile, scandaloso, incivile, anacronostico, e si potrebbero usare tanti altri aggettivi, il non rispetto da parte di un governo per la cultura. Cultura per tutti, naturalmente, e non per pochi. Ma pretendere questo da chi inflaziona i suoi discorsi utilizzando i termini "efficacia, efficienza", è forse pretendere troppo.