Il tempo delle nonne
Anna Antonietta Cerri - 19-04-2001
Scuola dell'Infanzia S. Borello di Alpignano (Torino): anche le mamme del secondo gruppo di analisi e riflessione sul tema "Dal sé all'Altro" hanno terminato il percorso. Mi fermo ancora dentro quelle quattro pareti del salone (ove si sono svolti gli incontri), è tardi, le 19,45, ed il custode inizia il suo primo giro esterno l'edificio, mi guarda e continua il percorso. Probabilmente pensa che se me ne vado può chiudere i cancelli e stare tranquillo.
Si, devo andare, sono stanca, ma quel salone è ancora carico di quelle angosce che le madri hanno esternato e socializzato. Devo completare un pensiero che mi frulla per la testa. Le parole dette volteggiano lì intorno, qualcuna cade tanto è greve e sono quelle che inseguo. Perché persone di genere femminile, adulte e responsabili dell'educazione dei figli, nascondono in sé tante insicurezze? Perché tengono in vita ricordi infantili dolorosi?
Dai papà che le hanno svalutate, alle mamme che non sono state in grado di mediare perché deboli a loro volta; mamme che non ascoltavano le figlie, più attente ai figli; madri che hanno affidato le figlie al collegio senza motivare l'allontanamento; la rigidità dei padri e l'incapacità affettiva delle madri; genitori assenti per lavoro sostituiti dai nonni; genitori separati che usavano le figlie per farsi del male...Insomma tutto è lì nell'aria: il non sentirsi amate, ascoltate e accettate. Lì anche la promessa fatta a se stesse di dare ai figli quello che non hanno avuto dai loro genitori: i figli come prolungamento di sé. C'è anche la socializzazione del sentirsi infelici pur avendo tutto: un lavoro, una casa, una famiglia, dei figli...e l'infelicità.
Immagine della mia infanzia: la nonna, con le amiche intorno (erano incontri quotidiani, a casa dell'una o dell'altra) che sferruzzavano. Io, bambina, lì accanto con l'unica bambola della mia infanzia (eravamo i cosiddetti "poveri") e...ascoltavo rapita le parole di quelle donne. Di certo erano parole che raccontavano la quotidianità, i mariti, i figli, le suocere, le difficoltà economiche, le malattie, la morte...Il ricordo chiaro è che quando se ne andavano erano sorridenti. Le case si trasformavano, grazie a quelle candide signore, in un luogo socialmente utile: lì si svolgeva l'ascolto psicologico. Il socializzare la problematica quotidiana le faceva sentire meno sole, il condividere il momento di riflessione le rafforzava dando il bilanciato peso al fatto...
Dunque, la patologia del nostro tempo nasce dalla incertezza dell'essere (che ha radici lontane), dalla coscienza di svolgere vari ruoli (figlia, moglie, madre, impiegata...) e dall'incoscienza di essere persone di genere, di appartenere ad una dimensione femminile, di avere il diritto di esprimersi come donne, invece di inseguire miraggi maschili (non sono femminista ma sono per le pari opportunità, visto che il genere non è neutro), il diritto di ritagliarsi un pò di tempo per socializzare e condividere il vissuto, per rielaborarlo e contestualizzarlo, per ridare equilibrio al nostro "essere". Si rincorre un tempo per portare i figli a fare corsi che non amano, stressandoli, ma sarebbe più opportuno trovare il tempo "delle nonne" per ristabilire un contatto col sé persona.
La nostra scuola questo ha fatto:si è trasformata, anche se per un breve periodo, in un luogo socialmente utile; uno spazio per la riflessione su un amaro vissuto al femminile targato 2001, ma con radici negli anni '70. Il compito della scuola non è questo? Certo non ci hanno dato la preparazione per fare questo, e se vogliamo dirla tutta, neanche per ascoltare le piccole persone di genere che ci stanno giornalmente intorno. Perché farlo allora? Perché i genitori, le mamme soprattutto (che il senso comune relega ancora al ruolo di "cura"), non sono i nemici della scuola, non sono neanche intrusi: fanno parte del vissuto delle nostre scolare/scolari. Perché buona parte del corpo docente della scuola di base è femminile, e quindi la qualità del nostro essere persona di genere in interazione con l'Altro dipende anche dalle donne che abbiamo vissuto nella nostra infanzia:"...sono i rapporti con le altre donne che hanno segnato la nostra crescita, il nostro malessere o felicità di essere donna" (L.Cipollone), e di mio ancora aggiungo che da questo dipende anche la qualità dell'essere persona di genere maschile.
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