La Memoria
Gaetano Arfè - 05-06-2004
Nello Speciale La linea del tempo



Ottantesimo anniversario dell'assassinio di Giacomo Matteotti (1)


Col patrocinio della regione Toscana, organizzata dall'Associazione Pertini e dalla Fondazione Turati, con la cura scientifica di Stefano Caretti, è stata inaugurata a Firenze una mostra storica di eccezionale interesse su Giacomo Matteotti. Il suo nome - vi si apprende - oggetto di culto clandestino in Italia, risuona, tra le due guerre in tutti i paesi d'Europa - lapidi, busti, monumenti, case del popolo, Vienna "la rossa " gli dedica un intero quartiere operaio - negli Stati Uniti, nell'America Latina.
Per quanto riguarda l'Italia c'è, all'indomani dell'assassinio, una catena di fatti, di unica origine e di diversa natura che segnano in profondità il corpo del Paese: la secessione parlamentare; l'ondata di sdegno che sommuove il paese e che non riesce a trovare uno sbocco; la rivendicazione da parte di Mussolini della responsabilità politica e morale di quanto è accaduto; le leggi "fascistissime" che demoliscono quanto formalmente resta dello stato liberale. Sullo sfondo, dopo il primo sbandamento lo scatenarsi contro un popolo inerme della violenza armata e professionalmente organizzata dello squadrismo che toccherà il suo culmine con la bastonatura omicida di Giovanni Amendola, il liberale capo della secessione dell'Aventino.
Tra gli effetti dell'assassinio di Matteotti è la rivolta nelle coscienze della parte migliore del paese. Gaetano Salvemini, appartatosi dopo la marcia su Roma, chiede a Turati, e con lui Carlo Rosselli, la tessera del partito del quale Matteotti era stato il segretario. Egli stesso, con i fratelli Rosselli, con Ernesto Rossi, con Nello Traquandi, con Piero Calamandrei, dà vita al primo foglio clandestino antifascista, "Non Mollare".
Piero Gobetti a Matteotti dedica un profilo che ha i colori dell'epopea. A Carlo Rosselli Pietro Nenni sommessamente confessa che gli piacerebbe dar la vita come Matteotti aveva fatto. Un'alta e tormentata coscienza religiosa quale Ernesto Buonaiuti vede nell'assassinio di Matteotti un momento del perenne rinnovarsi del sacrificio del Cristo. Intorno a loro la partecipazione corale di un popolo. Una fitta documentazione è nelle carte Matteotti raccolte presso la Fondazione Turati. In esse ho trovato, con commozione, una lettera di mio padre che annuncia di avere intitolato a Matteotti la biblioteca della sua scuola e un messaggio alla vedova di cui prima firmataria è mia madre.
Il mito che così si forma ha contribuito però a sfumare i tratti della figura dell'uomo mirabilmente colta da Gobetti, il primo a intuire che Matteotti era stato ucciso perché Mussolini aveva riconosciuto in lui il più temibile dei suoi avversari.
Il primo tratto caratterizzante della sua personalità è che egli rifugge da ogni improvvisazione, porta nella sua azione politica l'abito mentale severo dell'uomo di studi. I suoi maestri di diritto parlano di lui come di una sicura promessa delle scienze giuridiche. Un economista illustre, di parte liberale, Luigi Einaudi ebbe a notare che i suoi interventi alla Camera in materia economica e finanziaria erano documentati con rigore scientifico e le soluzioni da lui proposte non erano mai inficiate da demagogia o da deteriore classismo, erano rivolte a difendere l'interesse generale del paese identificato nella sua maggioranza di lavoratori. Salvemini considerava i suoi discorsi e i suoi scritti sul fascismo esemplari per il serietà della documentazione, il rigore del metodologia e la lungimiranza dei giudizi, confermati dalla storia.
Ma la scelta di vita cui perviene esclude la carriera accademica. Egli diventa socialista e il suo socialismo, professato senza fanatismo e senza retorica, è fede coltivata con pudica quanto intensa religiosità, sintetizzabile nel trinomio pace, libertà, giustizia.

Il primo impegno é per la giustizia. Matteotti organizza i braccianti del suo Polesine, costruisce con loro leghe e circoli di partito, prepara, con liste composte quasi esclusivamente di proletari, la conquista dei comuni, egli stesso diventa consigliere comunale. Al gioco delle correnti di partito resta estraneo. Il solo tema sul quale interviene e che fuoriesce dai confini del Polesine è la lotta al protezionismo doganale, fondato sul patto scellerato tra agrari del Sud e industriali del Nord.
Lo scoppio della guerra lo porta ad assumere una posizione di punta nella battaglia pro o contro l'intervento. L'agitazione che egli promuove ha i caratteri della intransigenza assoluta, giunge fino a formulare l'ipotesi di una insurrezione che impedisca di precipitare anche l'Italia nel "macello stupido e infame". Nel Consiglio provinciale di Rovigo pronuncia contro l' intervento un discorso che gli vale una denuncia per disfattismo. L'istruzione che egli dà ai suoi difensori è una sola: rivendicare il suo diritto a dire quello che ha detto in una sede dove lo ha portato il voto dei suoi elettori. Dopo la guerra, sulla scorta degli studi di Keynes, che egli è tra i pochissimi a conoscere in Italia, porterà nelle sedi del socialismo europeo il problema di una revisione delle condizioni economiche fatte alla Germania dai trattati di pace, e sarà firmatario, con alcuni capi delle socialdemocrazie europee di un documento indirizzato alla Società delle Nazioni e al presidente degli Stati Uniti.
Il "biennio rosso" che segue la pace lo vede nelle file della corrente riformista. L'aggettivo, per l'abuso e il maluso che ne è stato fatto e che se ne fa, si è caricato di tali e tante incrostazioni da risultare inutilizzabile in sede storica. Matteotti è un socialista che per le ragioni congiunte dell'etica, della dottrina, della politica non crede nella virtù liberatrice e rigeneratrice della violenza, è convinto che il socialismo non possa essere costruito a colpi di decreti da un potere dittatoriale , è sicuro che non esistano le condizioni per una rivoluzione socialista. E' possibile battersi perché l'onere della ricostruzione non gravi sulle classi popolari. E' necessario impegnarsi per incrementare e dare obiettivi concreti e realizzabili al movimento proletario che ha già una propria rete di "soviet" radicata nel paese - le leghe, i sindacati, le cooperative, le amministrazioni rosse, i circoli di partito- portando questi organismi vivi e vitali a rapida maturazione, abilitandoli alla funzione di classe dirigente.

Non ha parte di rilievo nella polemica interna, tra riformisti, massimalisti, comunisti, che troverà il suo sbocco nella scissione comunista di Livorno del gennaio del 1921, cui sciaguratamente seguirà, alla vigilia della "marcia su Roma", quella tra massimalisti e riformisti. Al congresso egli non partecipa, è a Ferrara dove lo squadrismo ha inaugurato con la violenza quello che sarà il "biennio nero". Alla fine dello stesso mese egli pronuncia a Montecitorio un discorso sul fascismo che ha il rigore dello storico, la lungimiranza del politico, la passione del militante.
Da questo momento diventa l'uomo di punta nella lotta contro il fascismo. Gli esponenti della classe dirigente liberale vedono nel fascismo un liberalismo imbizzarrito e un po' manesco che rientrerà nei ranghi, quando avrà esaurito il suo compito di dissolvere la minaccia rossa. I massimalisti vi vedono il segno della crisi insanabile del regime borghese del quale attendono la fine, dirà Angelo Tasca, come gli eredi al capezzale di un agonizzante. I comunisti teorizzano l'esistenza di una catena di forze controrivoluzionarie, oggettivamente convergenti, che parte dai massimalisti per arrivare ai fascisti.
Matteotti è il primo e lungamente il solo a intendere che il fascismo è un fenomeno del tutto nuovo che non ha precedenti nella storia e che esige una revisione radicale dei moduli e dei metodi di lotta. Nato come reazione di classe finanziata dagli agrarie organizzata in un'armata di professionisti della violenza esso ha scavalcato i suoi confini originari, ha guadagnato i consensi del grande capitale e della piccola borghesia e le simpatie acquiescenti della classe dirigente liberale, può valersi di diffuse complicità in tutto l'apparato del potere, punta alla conquista dello Stato per sovvertirne le istituzioni. La posta in gioco non è più di partito e neanche di classe , è quella della libertà e della dignità della nazione. L'analisi si articola e si affila al passo coi tempi, la proposta politica si precisa e si affila. La documentazione è negli scritti, nei discorsi, nelle lettere, in due testi dove parlano i fatti: "Il fascismo della prima ora", rivolto alla opinione pubblica italiana e straniera a confutare il vanto di Mussolini di aver salvato l'Italia dal bolscevismo; "Un anno di dominazione fascista" che denuncia i criteri ai quali il governo fascista si è ispirato e i guasti che ha provocati. Si reca più volte all'estero avventurosamente i confini per indurre i partiti fratelli a intendere che il fascismo tende a diventare problema europea; scende duramente in campo contro quei dirigenti della CGL, del suo stesso partito, propensi a collaborazioni tecniche col governo nell'interesse dei lavoratori. La lotta contro il fascismo è lotta per la libertà e per questo nessun compromesso è possibile. Per vincerla bisogna "inacerbirla". Combatte strenuamente la riforma elettorale destinata a dare alla minoranza fascista la maggioranza in parlamento e contro la maggioranza nata dalla truffa legalizzata e dalla violenza omicida egli pronuncia alla Camera il suo ultimo discorso. "Noi difendiamo - egli conclude - la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni." Ai compagni che gli si affollano intorno dice : E adesso preparate il mio elogio funebre.
Ha scritto Bertold Brecht: fortunato quel paese che non ha bisogno di eroi. Io aggiungo: fortunato quel paese che quando ha avuto bisogno di eroi li ha trovati, sciagurato quel paese che non sa rimanerne degno.

Gaetano Arfè



(1) L'articolo è stato scritto per "La Rinascita", ed è uscito il 28 maggio 2004. Gaetano Arfè non ha bisogno di presentazioni. Noi possiamo solo ringraziarlo per averci consentito di ricordare nella maniera più degna Giacomo Matteotti.

La redazione di Fuoriregistro



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