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Caro Prof Bertagna
Maria Carmela Massimino - 25-05-2004
Cara redazione di "fuoriregistro",
condivido le vostre posizioni in merito alla riforma Moratti e desidero farvi conoscere il contenuto di un messaggio che oggi ho inviato al Prof. Bertagna partecipando alla "Community" di INDIRE - InRiforma.
Ve lo invio in allegato. Mi piacerebbe sapere cosa pensate di quanto ho scritto. Grazie.
Cari saluti.
"Mariella"
Ins. "Elementare



Caro Prof. Bertagna,

la ringrazio per aver risposto al mio precedente intervento (Percorsi non uguali per tutti gli alunni).
A mio parere, però, il percorso di crescita di un bambino non può essere paragonato ad un viaggio. In ogni caso, se vogliamo ricorrere a questa metafora da Lei suggerita, devo dirle che, secondo me, nel “percorso” compiuto da chi intraprende un viaggio non è significativa né la “strada” né la “destinazione”. In un “VIAGGIO”, l’aspetto più importante è “IL VIAGGIO”, con tutto il suo carico di sogni, speranze, aspettative, esperienze, perfino con tutti i problemi che possono sorgere e che devono essere necessariamente risolti per condurre a termine il viaggio stesso.
E’ proprio l’esperienza del viaggio che “fa crescere” il bambino. E’ ciò che egli vive “DURANTE” il viaggio che lo modella in un modo piuttosto che in un altro.
L’obiettivo, per ogni viaggiatore, non è solamente arrivare a destinazione, ma arrivare senza aver perso nulla ( tempo, opportunità, occasioni importanti,...) e, in più, carico dei ricordi che costituiranno, poi, il bagaglio più importante per la conduzione della sua vita.
Il “Pecup” descrive minuziosamente ciò che un ragazzo deve saper fare alla fine del I ciclo di istruzione. Lei dice che, in un modo o in un altro, tutti devono “arrivare alla destinazione finale”, cioè devono corrispondere a quel profilo.
Ma di quali ragazzi sta parlando? Forse Lei ha avuto la fortuna di conoscere solo ragazzi che possiedono tutti i numeri per diventare gli individui descritti dal “Profilo”.
Se Lei avesse avuto l’opportunità di conoscere alcuni dei bambini che io ho avuto come alunni, che già a tre anni avevano perso tante di quelle occasioni di crescita da restarne segnati per sempre, non direbbe che il loro successo scolastico dipende solo dalla capacità del docente di personalizzare i percorsi di studio e di valorizzare le effettive capacità degli alunni.
Esistono delle variabili indipendenti dall’istituzione scolastica che intervengono in modo determinante nella crescita di un bambino.
Spesso le famiglie indirizzano i propri figli verso interessi non conformi alle proposte della scuola e alle aspettative di una società civile, tanto da dover essere essi stessi, in un certo modo, “educati” prima dei figli.
A volte la famiglia non esiste e i bambini si trovano in tali situazioni di disagio affettivo da non trovare alcuna motivazione all’apprendimento.
Per non parlare, poi, delle famiglie che hanno problemi economici più o meno gravi. E non si tratta di extracomunitari, ma di italiani che vivono in situazioni al limite della sopravvivenza (ve ne sono moltissimi!).
Fino ad oggi l’eterogeneità dell’ambiente di provenienza ha garantito l’integrazione di tutti i bambini in un contesto scolastico controllato: in un “ambiente educativo di apprendimento”.
Per gli alunni in difficoltà di apprendimento sono state progettate programmazioni individualizzate o personalizzate, finalizzate, tuttavia, al raggiungimento di obiettivi comuni a tutti. Non obiettivi “uguali per tutti” (“E’ cosa grave fare parti uguali tra diversi”, diceva Don Milani), ma “comuni”. Ciò significa che si è tentato, fino ad oggi, di far raggiungere lo stesso obiettivo a tutti, secondo le proprie capacità: minime, medie, massime,...
Non è stata impresa da poco, ma in qualche modo, grazie alle contemporaneità che hanno consentito di far lavorare con un aiuto più ravvicinato gli alunni in difficoltà, e grazie alla presenza collaborativa degli insegnanti di sostegno, ci si è riusciti.
E ciò senza allontanare dal gruppo classe questi bambini destinati all’insuccesso. E’ stato il riferimento al gruppo di appartenenza che li ha spronati a lavorare, nonostante le capacità limitate e i problemi socio-affettivi gravissimi che alcuni presentavano.
Invece, gli stessi alunni, quando sono stati inseriti in un ristretto gruppo di recupero, anche se “mascherato” con definizioni accattivanti tipo “Laboratorio di scrittura creativa” e simili, hanno perso qualunque volontà di migliorare le proprie prestazioni, perché, tanto, loro sapevano di essere “quelli del gruppo di recupero”, quasi che ciò costituisse un marchio infamante. Alcune famiglie, inoltre, si sono decisamente ribellate all’inserimento del proprio figlio in un gruppo di recupero, spesso oltraggiando l’insegnante che in quel momento si occupava con tanta dedizione del bambino in difficoltà.
Per superare le non poche difficoltà organizzative o il senso di impotenza di fronte a situazioni-limite (totale disinteresse della famiglia, assenze ripetute e ingiustificate, oppure giustificate dai genitori con un generico “motivi di famiglia”, profonda demotivazione, limitate capacità di apprendimento, periodi di attenzione brevissimi, memoria a breve termine, assoluta assenza di pre-requisiti in ingresso e lacune profondissime in itinere, ecc.), spesso ci si è convinti ( a torto o a ragione) che gli alunni con problemi non potessero fare di più e tutti sono stati promossi.

Ai miei tentativi di opposizione ad una promozione da me giudicata inopportuna spesso mi sono sentita apostrofare con espressioni del tipo: “Ma tu vuoi cambiare il mondo? Come vuoi che quello lì impari a saper fare le 4 operazioni... quando non ha nemmeno il pane a tavola?”. Oppure: “ ...quando sta tutto il giorno per strada?”. Oppure: “...quando non gliene importa nemmeno ai suoi genitori?” Ed è successo così che per 29 anni, cioè da quando insegno, non ho mai bocciato nessun alunno! Ma io credo che, dei miei allievi, una volta giunti a 14 anni, solo una piccola minoranza corrisponde al ragazzo descritto nel “Pecup” e certamente non per mancanza di organizzazione didattica, o per una errata progettazione del percorso di studio proposto! La maggior parte purtroppo, è ben lontana dall’aver acquisito competenze, senso di responsabilità, capacità di scelta e di valutazione del proprio operato.
Per quanto mi riguarda, però, tutti gli alunni in difficoltà, non solo sono stati seguiti individualmente, ma hanno anche potuto assistere e partecipare ai lavori che i pochi “capaci” erano in grado di eseguire. Tutti sono stati invitati a imitare i “modelli positivi” dentro e fuori la scuola, riuscendoci, è vero, solo in parte, ma con la consapevolezza che avrebbero potuto fare di più. Non è mancato a nessuno il confronto e il riferimento a ciò che avrebbero dovuto imparare, e nemmeno l’aiuto personalizzato e la possibilità di recuperare le abilità non ancora conquistate.
Il loro insuccesso non è dipeso certo dalla scuola, ma dal fatto che viviamo in una società non più “educante” ma “diseducante”, che offre una pluralità di modelli di comportamento non sempre positivi (vedi “Grande Fratello” e simili), ai quali la scuola può rispondere solo contrapponendo un’offerta di istruzione e di formazione ricca di valori etici, di proposte culturali significative e, soprattutto, non discriminante.
Non sono una nostalgica del passato e non dico che si stava meglio prima della riforma, ma sono convinta che non bisogna togliere a nessun bambino l’opportunità di vivere insieme ai suoi compagni di classe ogni momento dell’esperienza scolastica e di offrire a tutti le occasioni per conquistare gli stessi contenuti di base.
Credo che non sia tanto importante “arrivare a Roma”, quanto “viaggiare insieme agli altri per andare a Roma”.
Poi, se qualcuno si fermerà prima e a Roma non ci arriverà, sarà stata una scelta sua o della sua famiglia. A questo l’istituzione scolastica potrà ovviare, solo quando l’ “utente”, acquistata la consapevolezza delle proprie lacune, accumulate per i motivi più diversi, deciderà da solo di colmarle, grazie alla frequenza di corsi di educazione permanente VERI.
E credo che non possano essere considerati tali i vari corsi “EdA” organizzati oggi dalle scuole, che si risolvono in corsi di cucina più o meno validi, o in corsi di “balli di gruppo” e simili...
Secondo me, dovrà essere l’educazione permanente la vera sfida del futuro della nostra scuola, con corsi qualificati tenuti da docenti qualificati e con l’obbligo della frequenza assidua e costante che, invece, sia nella scuola primaria che in ogni altro tipo di scuola, oggi è solo un “optional” , e non certo per colpa dei docenti!
Per quanto riguarda, poi, l’aggiornamento sulla riforma, ritengo che il sistema integrato che si è scelto (on line e incontri in presenza) non renda ragione ai lati positivi che essa contiene.
Infatti, l’informazione e la formazione sulla legge 53/03 sono affidati alla responsabilità personale dei docenti nonché alla possibilità di accedere alla rete, più che altro, con mezzi propri. E’ notorio che i collegamenti in orario “d’ufficio” sono quasi impossibili ed è altrettanto notorio quanto siano onerosi i costi dei collegamenti e della stampa dei documenti. Per non parlare del tempo che si dovrebbe impiegare per studiarli tutti in modo approfondito! E tutto ciò senza alcun rimborso, né riconoscimento né esonero da alcun’altra attività lavorativa.
Io, per esempio, svolgo questo lavoro di notte e durante i giorni di vacanza, con grande disappunto dei miei familiari, dato che, per studiare la riforma, trascuro tutto il resto!
Se, invece, per formare gli insegnanti sulle nuove leggi, e, soprattutto, su una legge di riforma come la 53/03 e i relativi successivi decreti, documenti e circolari, se, dicevo, si agisse come nelle aziende private, dove il personale è formato con “stage” di una o due settimane che prevedono l’ esonero dal servizio, la presenza di relatori QUALIFICATI e la possibilità di un incentivo per l’attività svolta, credo che l’attività di formazione avrebbe maggior successo. Inoltre, una simile situazione di formazione offrirebbe l’occasione di uno scambio di opinioni più ricco e fruttuoso che porterebbe ad una migliore condivisione di opinioni tra la “base” e l’apice del sistema, così che si perverrebbe all’emanazione di regole accettate da tutti e, per questo, durature e non necessariamente modificabili nel volgere di poche settimane o mesi, come ho visto che è avvenuto da quando insegno.
Prima di concludere, desidero farle presente che ho colto in molte delle sue risposte un sottile senso di disapprovazione (a volte di ironia) dell’operato e del pensiero degli insegnanti che si rivolgono a lei, come se essi fossero in difetto mentre la riforma non lo è in nessuna sua parte. Spero che sia stata solo una mia impressione.
Anche se questa riforma contiene le migliori intenzioni e le migliori pratiche educative, secondo me è stata emanata in un modo un po’ “brutale” e con un nome che, da solo, è già una bugia, dato che il nostro ministro l’ha firmata con il cognome del marito e non con il proprio: “Brichetto”.
Chiedo scusa per la lunghezza del messaggio, ma questa è solo una piccola parte di ciò che avrei voluto dire a lei e al nostro ministro dell’Istruzione, affinché voi conosciate in modo un po’ un po’ più approfondito la realtà della scuola italiana di base e i sentimenti di chi vi opera.

Grazie per l’attenzione.

Ins. Maria Carmela Massimino.
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 ilaria ricciotti    - 25-05-2004
Condivido quasi in ogni sua parte il tuo bellissimo discorso e mi congratulo con te per averlo esplicitato in modo chiaro e soprattutto scritto con il cuore. Tu sei una dei tanti che vuole cambiare il mondo, e se uniremo le nostre forze ciò che è giusto e ciò che è bene sicuramente trionferà.
Se si parla di scuola bisogna che si ascoltino chi la scuola la vive ogni giorno, e non coloro che sono lontani mille miglia da essa.

 Redazione    - 27-05-2004
Ringraziamo Mariella per averci inviato le sue riflessioni, che non solo della Riforma ma dell'intera scuola toccano i tasti più delicati: lo scopo ultimo dell'apprendere (insegnare ed imparare), il riconoscimento della funzione docente, il quotidiano incontro con i bisogni reali delle persone e con le loro storie. Del documento Bertagna ricordiamo un passaggio per il quale, visto che la situazione sociale è quello che è, la scuola non può pretendere di cambiare nulla. Non siamo d'accordo: e proprio per il rispetto e la fiducia nelle possiblilità di ognuno, primi ed ultimi, affermiamo una professionalità che non appiattisce ma stimola, non omologa ma individualizza, non cancella le differenze ma le rende condivisibili, non "boccia" per fermarsi alla resa, ma per tornare a combattere.
Una professionalità fatta di molta passione ma anche di molti strumenti, di opportunità serie, di riconoscimenti che denotino scelte politiche ed economiche consapevoli, di tempi dilatati come dilatato e a 360° è il mestiere che abbiamo scelto. Chiederemmo a Mariella di rivolgere una domanda, tra le tante possibili, al Prof. Bertagna: come accordare la personalizzazione che la Riforma erige a fondamento teorico con l'omologazione di fatto presente nella concretezza dei portfoli o dei libri di testo? Come connettere il molteplice delle intelligenze, degli stili e delle culture con l'"unico" vestito possibile?