Oltre il no alla riforma Moratti
Mario Menziani - 13-05-2004
La scuola media nel contesto locale. Riflessione su Modena

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Consideriamo, per prima cosa, la ragazza o il ragazzo che, giunto in terza media dovrà effettuare forse la prima scelta importante circa il suo futuro.

Si tratta di un preadolescente. Cioè di quell’individuo che va definendosi in relazione ad un maggiore o minore distacco dalla famiglia, ad una maggiore o minore influenza delle amicizie, ad un maggiore o minore rapporto con la scuola, in un processo così straordinariamente vario per tempi e modi che permette di far coesistere all’interno di questa fascia d’età soggetti dalle caratteristiche anche molto diverse.
Così che, pur tra atti di concretezza e parziale coinvolgimento nelle grandi questioni morali e sociali, processi di insoddisfazione, difficoltà, devianza e marginalità si mescolano e confondono con processi di grande elasticità che si configurano in atteggiamenti variamente persistenti ed ordinati per i quali ancora sostegno e affettività sono cercate all’interno della famiglia; gioco, confidenza e condivisione sono appannaggio delle amicizie; conoscenza e relazioni, sono compiti della scuola.

Parliamo dunque di un soggetto che vive un’età di trasformazioni e cambiamenti così imponenti che portano alla formazione di abissi anche tra coetanei e, pur tuttavia, così spesso solamente apparentemente profondi e invalicabili, quanto in realtà collegati e uniti tra loro da imprevedibili ponti, da relazioni inaspettate e da insospettabili comunanze di interessi.
Si tratta di una personalità così ricca e articolata, così inestricabilmente complessa che rende impossibile un approccio meramente settoriale.

A cosa ci portano queste considerazioni?

Primo: è assurdo richiedere a tanta instabilità di definire se stessa attraverso scelte definitive. E’ assurdo e irreale; è illogico e antieconomico per una società che non può permettersi di sprecare la risorsa più preziosa che possiede: quella dell’intelligenza, ossia la risorsa fondamentale per costruire il proprio futuro. Chi lo fa, evidentemente non pensa ad altro che a sé, al proprio particolare; e in questa riforma della scuola, nella riforma Moratti, non c’è nessun piano per il futuro: è la restaurazione di fatto di un sistema di selezione classista, d’altri tempi.

Secondo. Viene da sé dunque che una politica lungimirante dovrà cercare di garantire la possibilità di una ricerca di sé seria e approfondita: valorizzando le differenze, permettendo l’interscambio, la sperimentazione, la possibilità di scegliere, di valutare e, nel caso, di cambiare.
Si tratterà dunque di non richiedere scelte definitive ma di offrire percorsi. Perché è il percorrere l’essenza stessa della adolescenza. Ed è un percorrere a tutto campo, come si è detto, tra famiglia, scuola, amicizie.

Di questo sembra tener giustamente conto la proposta della regione in termini di istruzione e formazione professionale (legge Bastico): garantire e facilitare percorsi all’interno della scuola che permettano al preadolescente di arricchirsi e di dare valore alle proprie capacità.

Ma la molteplicità dell’adolescente non si esaurisce nella scuola, il suo percorrere è un percorrere in lungo e in largo spazi che vanno dal personale al sociale, dal mondo interiore a quello esteriore: l’uno interconnesso con l’altro, l’uno funzione esseziale dell’altro.
Si tratta di una molteplicità reale e concretissima, che dovrà essere garantita.
Non dovrà nè essere sottratta, nè artefatta: la crescita avviene attraverso processi reali, vissuti, sperimentati; nelle relazioni, nel confronto, con scelte doverose anche se difficili. E’ un processo complesso che riguarda l’insieme della realtà che circonda il preadolescente. E’ un compito anche della scuola, ma non solo della scuola. E’ un compito collettivo. Ecco perché penso che all’impegno della Regione debba corrispondere altrettanto impegno da parte delle politiche locali per contribuire alla piena realizzazione del sé del preadolescente.

Occorre iniziare ad occuparsi in modo più consistente dei preadolescenti, garantendo spazi e tempi, possibilità di aggregazione, di stare insieme, di gestire in modo via via sempre più autonomo la propria giornata.

Per far ciò è decisivo confrontarsi costruendo modelli interpretativi e linguaggi che siano in grado di collegare tra loro ciò che funzionalmente dal punto di vista amministrativo viene tenuto diviso. Penso alle deleghe che variamente si occupano dei giovani: politiche giovanili, tempo libero, sport, cultura, scuola, eccetera.

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Torniamo al nostro soggetto, al preadolescente. Nelle pur non numerose ricerche che sono state condotte sui preadolescenti emerge, comunque e in tutte con chiarezza, che l’insegnante ideale per questi ragazzi non è colui che promuove facilmente, che regala. Tutt’altro, l’insegnante ideale è una persona competente nella propria disciplina, equa ed imparziale nella valutazione, capace di ascolto e di dialogo.
Ed è soprattutto su questa capacità di relazione che si insiste.
L’insegnante ideale per il preadolescente è dunque un adulto, un nuovo adulto oltre a quelli della sfera familiare, con cui entrare in contatto per misurarsi, per capire meglio se stesso.

La valutazione può e deve essere uno degli strumenti di dialogo e di confronto.
Tutor e portfolio, cioè due elementi cardine della riforma, appaiono immediatamente una banalizzazione di queste necessità. Si mescolano tra loro funzioni diverse quando per l’adolescente stesso è bene che siano chiare e distinte tra loro. Si banalizza la funzione del dialogo con gli adulti riducendolo ad una scelta di materiali o di cose similari. Si esautora di fatto il consiglio di classe dalla funzione di discutere e valutare le migliori opportunità per ciascun alunno; si toglie al docente uno strumento professionale fondamentale.

Naturalmente sono anche altre le conseguenze che discendono da queste operazioni, (sia a livello professionale sia sindacale), ma si tratterebbe di allargare il discorso ad ambiti di cui qui non ci vogliamo occupare.

Riforma o non riforma, però, non possiamo nasconderci che la valutazione nella scuola e della scuola sia un problema molto serio, un elemento di crisi nella scuola di oggi.

Di autoreferenzialità si parla fin troppo: occorre superarla. Di crisi del consiglio di classe si parla da troppo tempo: si tratta di trovare la soluzione.

Occorre ripensare alla valutazione superando ogni tentazione impositiva. Alle domande dell’adolescente, rispondere esclusivamente con il rimando della sua negatività non è certamente vincente in un dialogo educativo.

Il problema è quello di riuscire a far sì che la valutazione si inserisca all’interno di questo dialogo, che dovrà essere sempre franco e leale. Soprattutto franco e leale, perché la domanda forte dell’adolescente è proprio questa e solo se troverà questa franchezza e lealtà si dimostrerà disponibile all’ascolto.

Affinare questa capacità di dialogo con lo studente e sullo studente (all’interno dei consigli di classe, strumenti irrinunciabili in un ottica di riaffermazione della funzione sociale della scuola – e con le famiglie) è decisivo per la scuola. Strumenti come il CDE (oggi MEMO) possono risultare ancor più utili se sapranno allargare le loro proposte in questa direzione e coinvolgere tutti gli attori di questo processo: docenti, genitori, studenti.


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Il preadolescente che frequenta le nostre scuole oggi è il cittadino europeo di domani; è, in larga misura, un ragazzo che vive a stretto contatto con un numero sempre crescente di ragazzi provenienti da altre regioni del mondo; è, in minor misura, uno dei tanti ragazzi che provengono da diverse parti del mondo e che deve riuscire a capire chi e che cosa potrà essere domani.

Ecco perché c’è bisogno di una scuola rinnovata. Ecco perché c’è bisogno con urgenza di una scuola rinnovata. Una scuola in cui si garantiscano tempi e ritmi adeguati. Perché questi ragazzi hanno bisogno di stare insieme, di progettare a stretto contatto di gomito. Hanno bisogno che si rompa l’assedio dell’isolamento tecnologico dell’individuo che diventa ogni giorno sempre più assillante e soffocante, e che mostra in maniera evidente giorno dopo giorno i suoi effetti devastanti a livello sociale.

Che dire a proposito del 27+6 della riforma? Mi sembra che ci sia ben poco da dire, in particolare circa la presunzione di offrire più competenze in minor tempo E’ forse il fare impresa, promessa elettorale berlusconiana? Produrre di più in meno tempo: questa è la ricetta salvifica per la scuola di questa destra che ci governa? Se è questo il presupposto da cui partono, non c’è possibilità di dialogo, non ci potrà essere altro che opposizione dura e incessante.

Ma ci si deve rendere conto che ridurre il tempo scuola, parcellizzare le competenze non è solo un’operazione sbagliata, è molto di più. E’ un’operazione devastante frutto di una visione miope e meschina. Finalizzata al solo risparmio, sprezzante delle esigenze della società di oggi e fortemente rischiosa per il futuro.

L’esiguità delle risorse messe sul tappeto per quanto rigurada le opzionalità rivela da una parte la pretestuosità di un prolungamento spacciato per tempo prolungato e dall’altra l’intento di attaccare la scuola pubblica:
a. sul piano delle garanzie sindacali, introducendo assunzioni di personale con contratti di prestazione d’opera,
b. sul piano educativo, introducendo il concetto di scuola a domanda individuale, proponendo una “personalizzazione” del piano di studi che nulla ha a che fare con l’individualizzazione dell’insegnamento, collocando il rapporto famiglie/scuola su un piano più di contrapposizione che di collaborazione;
c. sul piano organizzativo comportando pesanti ripercussioni sulla collocazione oraria delle lezioni, con disagi e per le famiglie (l’entrata e l’uscita da scuola potranno avvenire in momenti anche piuttosto diversi dagli attuali, sia antimeridiani che pomeridiani) e per i docenti, in particolare per quelli con più scuole e pendolari.


Ferma restando dunque l’opposizione a questo progetto, resta l’urgenza della necessità di cui dicevamo e per poterla superare c’è bisogno della responsabilizzazione di tutti: scuola, famiglia, ente locale, per la specificità dei soggetti, per l’urgenza delle necessità

Modena ha tradizioni positive in questo campo. E’ giusto essere orgogliosi dei prodotti di Modena nel campo dell’educazione e della formazione: scuola dell’infanzia, nido, tempo pieno, Iti Fermi, CDE.
Tutto ciò costituisce un patrimonio di idee e di competenze frutto del contributo di tante donne e di tanti uomini, della loro passione, della coralità di intenti. E’ un frutto politico. Anzi è ‘la politica’, la politica sana.

E’ di questa politica e di questi strumenti che oggi abbiamo bisogno a Modena perché a partire dalla autonomia delle scuole, sulla base del patrimonio accumulato, si attui la nuova scuola: riforma o non riforma!; la “scuola per tutti - per dirla con Mario Benozzo - , che elevi il livello culturale e la responsabilità civile degli studenti e sia il luogo della libertà non sacrificata a nessun padrone, reale o metaforico che sia”.


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