Barletta 12 settembre 1943
gp - 21-04-2004

Sulle mura del, vecchio, palazzo delle Poste di Barletta - oltre ai segni, ben visibili, delle pallottole esplose contro gli ostaggi - c’è una lapide che ricorda la strage di undici vigili urbani e due netturbini fucilati, per rappresaglia, il 12 settembre 1943 e “colpevoli” – secondo i tedeschi – di indossare una divisa. Solo uno è – miracolosamente – sopravvissuto protetto dai corpi dei compagni: il vigile urbano Francesco Paolo Falconetti.

Con molta probabilità si tratta della prima – e documentata – strage di civili operata dalla Wermacht (l’esercito regolare tedesco) in Italia dopo l’otto settembre.

Una strage rimasta – sostanzialmente – senza colpevoli (come tante altre “dimenticate” nell’armadio della vergogna ) e che sarebbe rimasta, probabilmente, avvolta nell’oblìo se non fosse stato per la determinazione e la volontà di uno studioso tedesco – lo storico Gherard Schreiber – che è riuscito, anche, a reperire un eccezionale documento storico: un filmato girato dagli stessi aguzzini nel quale si documentano gli ultimi istanti di vita dei condannati scelti a caso e fucilati per il semplice fatto di indossare la divisa da lavoro.

In due fotogrammi – estratti dal filmato e pubblicati sul Corriere del Mezzogiorno Puglia – si vedono alcuni uomini a mani alzate che cercano disperatamente di far capire ai soldati tedeschi che li minacciano, armi in pugno, che non sono soldati in armi e che non costituiscono alcuna minaccia. La sequenza successiva mostra i corpi ammassati uno sull’altro subito dopo la scarica mortale.

Fu questo l’episodio conclusivo e tragico della resistenza armata che – all’indomani dell’otto settembre 1943 – i militari italiani (al loro fianco numerosi civili) tentarono di porre in essere contro le truppe tedesche che avevano scelto Barletta per farne un caposaldo di difesa.

I militari italiani – al comando del colonnello Francesco Grasso – resistettero, asserragliati all’interno del Castello Svevo, dal 10 fino fino all'alba del 12 settembre data in cui – dopo intensi bombardamenti aerei e di fronte alla minaccia tedesca di distruggere l’intera città in ossequio alle sollecitazioni dello stesso Hitler [1] – si arresero.

I caduti furono 71: 37 militari e 34 civili comprese donne e bambini uccisi per rappresaglia.

Il colonnello Grasso [1] e i suoi uomini furono deportati in Germania dove – in molti – perirono di stenti.

Nessuno – fino all’alto riconoscimento del Capo dello Stato con il conferimento della medaglia d’Oro al Valor Militare – li ha ringraziati.

[1] "Der Fuhrer will wissen, was in Barletta zerstort worden ist": il Fuhrer desidera sapere cosa è stato distrutto a Barletta. E' questo il testo del messaggio inviato dal Comando del 76° Corpo d'Armata al comandante della 1° Divisione di paracadutisti impegnata nelle operazioni militari nella zona.

[2] Beffardo ed emblematico il destino di questo, onesto, ufficiale del Regio Esercito (scomparso nel 1962) messo sotto accusa, mentre era internato in Germania - unitamente al suo "secondo" Tommaso Aiello -, dalle alte sfere dell'esercito che nulla avevano fatto per impedire e/o limitare lo sfaldamento del tessuto militare (e sociale) del Paese e totalmente prosciolto - il 4 ottobre 1947 - dall'infamante accusa di "omessa esecuzione di incarico". E' emerso - chiarisce il pm Grilli nel dispositivo della sentenza - che la mancata distruzione dei ponti sull'Ofanto che tanto nocque alla difesa della città di Barletta è da ascriversi non a dolo oppure a colpa degli imputati sebbene ad esplicito e tassativo divieto del Comando del IX Corpo d'Armata. E' possibile ripercorrere, nelle sue linee essenziali, l'intera vicenda - anche umana - del colonnello Grassi - al quale nessuna onorificenza è stata mai concessa quand'era in vita - leggendo il libro della figlia - Maria Grasso Tarantino - intitolato "8 settembre: l'armistizio a Barletta. Alcune amare verità" scaricabile gratuitamente fin da subito digitando il seguente sito e che, a partire dal 23 aprile 2004, sarà disponibile nelle librerie. Il ricavato - come precisato dalla stessa Autrice - sarà (...)"interamente devoluto ai missionari comboniani che con Padre Tarcisio Pazzaglia, proseguono l'opera del missionario barlettano Padre Raffaele Dibari, ucciso da criminali ribelli l'1 ottobre 2000 nel nord dell'Uganda".

Per saperne di più sulla breve - ma intensa - stagione della Resistenza nel Sud del Paese leggi questo articolo di Mario Pirani pubblicato - il 16 ottobre 2001 - sul quotidiano la Repubblica.
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