Pierangelo Indolfi - 20-03-2004 |
L'assurda legge dei numeri Così i tagli uccidono la didattica da Repubblica Bari del 20.3.2004 Le superiori devono trasmettere i dati sulla formazione delle classi che non devono avere più di 30 e meno di 25 alunni ma così va a farsi friggere la qualità dell´insegnamento ANTONIO GUIDA Dirigente scolastico Itc Giulio Cesare Bari ------------------------------------------- Le scadenze incombono implacabili. Temi di non fare in tempo e di lasciarti prendere dall´ansia, ma è un lusso che non puoi permetterti, tanto meno puoi farti degli scrupoli. E chissenefrega se si tratta del futuro di migliaia di ragazzi e di centinaia di docenti. Sto parlando dei dati che proprio in questi giorni le scuole superiori devono trasmettere sulla formazione delle classi e sugli organici dei docenti per il prossimo anno scolastico. L´ordine è perentorio e anche i funzionari dell´ex provveditorato sono costretti a rispettare la tabella di marcia. Le classi devono avere fino a 30 alunni e non meno di 25 e, con questi numeri, va a farsi friggere ogni bel discorso sulla qualità e sull´insegnamento personalizzato. Chi ha difficoltà non potrà essere seguito e sarà prontamente "scaricato" sul canale della formazione professionale. Chi vale non potrà migliorarsi e dovrà segnare il passo. Per tutti i docenti, poi, 18 ore di lezione e ci sarebbe poco da obiettare. Ma, per come sono strutturati i piani di studio, una applicazione automatica della norma comporta come conseguenza che gli alunni dovranno cambiare ogni anno i professori e, in caso di loro assenza, non è detto che ci sia qualcuno a sostituirli. Gli alunni devono aspettarsi anche, paradossalmente, un aumento dei docenti per classe, però con una presenza ridotta al lumicino. Insomma, tantissimi docenti con 2-3 ore per classe, senza alcuna logica didattica ma in base alla sola considerazione che 2 e 3 sono sottomultipli di 18. Per molti docenti, inoltre, l'orario va completato correndo da una scuola all´altra e da una città all'altra. Per non parlare di quelli che perderanno la sede di lavoro e dovranno trasferirsi. Per dare l´idea dell´entità del fenomeno, basti pensare che il Giulio Cesare di Bari, nonostante un notevole incremento delle iscrizioni e con 5 classi in più nel prossimo anno, non aumenta gli organici e, addirittura, potrebbe esserci una riduzione dei docenti in servizio. Si può immaginare, allora, la situazione degli istituti in contrazione: la bozza di decreto prevede tagli di 245 posti per i soli docenti della secondaria pugliese. Un´ultima considerazione riguarda il boom delle iscrizioni ai licei pugliesi. Forse la crisi di valori spinge ormai alla riscoperta dei classici, come si diceva una volta per spiegare la fine del Medioevo e l´avvio dell´Umanesimo? Non ci sarà poi un pizzico di arrivismo e qualche sussulto di provincialismo? Sarebbe interessante avviare una franca discussione in proposito e la Cgil di Bari ha organizzato un convegno dal titolo significativo "Andremo tutti al liceo?". Senza però dimenticare che la capacità innovativa dimostrata in questi anni dagli istituti professionali paga lo scotto di un pesante taglio dei fondi. Si fugge per non correre il rischio, così come adombrato dalla legge Moratti, di essere risucchiati da una formazione regionale considerata inefficace. |
Fuoriregistro - 20-03-2004 |
Da L'école democratique Riforma Moratti: verso la privatizzazione finale? Con l'arrivo al potere di Silvio Berlusconi, il Ministero italiano della Pubblica Istruzione ha perso il secondo dei due termini che costituivano il suo nome, per trasformarsi semplicemente nel "Ministero dell'Istruzione". Una scelta assolutamente coerente con il programma del centro-destra in materia di educazione, un programma che s'identifica con la riforma Moratti, dal nome del ministro per l'istruzione. In ogni caso è necessario ricordare che, se Letizia Moratti sta portando a termine il suo funesto programma di privatizzazione della scuola, questa direzione era stata già presa per iniziativa di Luigi Berlinguer, ministro dell'Ulivo (centro-sinistra). In effetti, non bisogna dimenticare che una delle condizioni poste nel 1996 dal Partito Popolare (frammento della vecchia Democrazia Cristiana) per entrare nella coalizione di Romano Prodi, era stata la "parità" tra scuole pubbliche e private (queste ultime gestite principalmente dalla Chiesa cattolica). Il progetto di parità di Berlinguer ha aperto la porta alle successive iniziative di Letizia Moratti, tra le quali c'è un enorme apporto finanziario alle scuole private: 30 milioni di euro. Nello stesso tempo, si lesina lo stretto indispensabile alle strutture pubbliche. Vita e morte di un insegnamento progressista La riforma Moratti è l'ultima tappa della privatizzazione e della restaurazione, in Italia, di una scuola "di classe". Il troncone comune obbligatorio del sistema scolastico secondario italiano era stato concepito nel 1963. Da allora, il primo ciclo secondario è stato suddiviso in tre percorsi: formazione professionale a livello operaio (avviamento), formazione professionale a livello d'impiego non specializzato (commerciale) e infine formazione formazione accademica per aprire l'accesso al liceo e all'università (scuola media). La scuola media unificata nasce dalla spinta egualitaria di una società in espansione economica, della quale le lotte operaie contro le discriminazioni sociali rappresentano una componente decisiva. Con l'unificazione dei percorsi della scuola secondaria obbligatoria, fu introdotta anche la regola secondo cui gli alunni venivano iscritti obbligatoriamente alla scuola più vicina alla propria abitazione. Un fattore importante per prevenire le disuguaglianze scolastiche (vedere sulla questione lo studio "La catastrofe scolastica belga" pubblicato da L'école démocratique ). Questa regola è stata abrogata all'inizio degli anni ottanta. Dal chè, numerosi presidi ne hanno approfittato per portare avanti strategie volte a fare della propria scuola un'istituzione d'elite (seconda lingua straniere, nuoto, laboratori « à la carte » etc.). Queste politiche hanno provocato, di contro, l'esclusione degli allievi "difficili", degli immigrati, dei portatori di handicap e la ghettizzazione di molte scuole. La situazione è diventata ancora più difficile quando il ministro Berlinguer (centro-sinistra) ha messo in atto il suo progetto di così detta "autonomia scolastica". Ogni istituzione è diventata una "impresa" condotta da un dirigente-menager che dispone di un ampio potere e di un salario più che doppio rispetto a quello degli insegnanti. Inoltre, è stata favorita la possibilità per le scuole di avere degli sponsor e di modificare parte dei propri programmi (tra cui l'inevitabile informatica per acciuffare i genitori). La « concorrenza » tra scuole per trovare risorse, sostegni esterni, è diventata una regola. Evidentemente tutto ciò non è potuto passare che con l'accordo entusiasta dei sindacati, della così detta "concertazione", CISL, UIL e, soprattutto della CGIL, la più vicina ai Ds, il partito di Berlinguer. Con trasformazioni così profonde, il terreno per il nuovo governo del centro-destra era stato ben preparato. La riforma Moratti La riforma Moratti prevede una riduzione del tempo scolastico. Cosa che ridurrà, nel troncone comune (otto anni), le possibilità di individualizzare l'insegnamento per gli alunni che ne avessero bisogno. E che accelererà probabilmente la scomparsa pressocchè totale di alcune materie (per es. l'educazione musicale) che probabilmente saranno rimpiazzate da corsi e da laboratori facoltativi ... e a pagamento. Inoltre, la riforma Moratti condanna a morte le esperienze di innovazione e di sperimentazione pedagogica che hanno animato la scuola italiana nel corso degli ultimi venticinque anni. Dietro la facciata demagogica delle tre i (informatica, inglese e impresa) tanto cara a Berlusconi, si nasconde la miserabile realtà dell'abolizione dei progetti di lotta contro l'evasione scolastica, per l'integrazione dei giovani immigrati e degli alunni con handicap (come anche dei progetti che facevano l'orgoglio della scuola italiana). Non di meno, va anche constato che i privilegi economici concessi alle scuole private e la diminuzione dei finanziamenti destinati alle strutture pubbliche rendono praticamente impossibile la realizzazione delle tre i berlusconiane : non ci sono soldi per i compiuter, nè per pagare gli insegnanti di lingua straniera! Tuttavia, l'aspetto davvero inquietante è la precocità nella selezione del futuro scolastico degli alunni. A tredici anni, i ragazzi e le ragazze dovrebbero scegliere (consigliati dai docenti): se proseguire i loro percorsi in uno dei licei previsti dalla riforma ( classico, scienze umane, scientifico, tecnologico, economico, musicale, artistico, linguistico), oppure se avviarsi alla istruzione e alla formazione professionale. Lo scarto tra i programmi e tra le prospettive offerte dai due percorsi è sconcertante. I licei, centrati sulla formazione culturale, aprono le porte dell'università. I percorsi previsti per la formazione professionale, anche se in linea di principio non escludono l'accesso universitario, sono fortemente centrati sulla collaborazione con le imprese. Queste possono entrare nella formazione a differenti livelli: dal semplice stage, alle forme di tempo misto lavoro-studio (a partire dai 15 anni), passando per l'apprendistato. E' evidente che gli alunni che entreranno nella formazione professionale si troveranno in un vicolo cieco: anche se la legge prevede delle "passerelle" tra i due percorsi del ciclo superiore, non è difficile immaginare che il passaggio dai licei alla formazione professionale sarà facile, mentre il contrario sarà praticamente impossibile. In effetti, la « formazione professionale superiore » che si annuncia, sembra pensata piuttosto per offrire agli altri giovani, quelli dei licei, la possibilità di proseguire gli studi fino all'università. Quindi, la riforma Moratti apre a un deciso ritorno delle discriminazioni sociali rimesse in discussione nel corso degli anni sessanta. Un altro aspetto molto pericoloso della riforma, riguarda la scelta delle materie e dei loro programmi. In effetti, al di là di una base fondamentale che sarà la medesima per tutta l'Italia, le regioni avranno una quota riservata per introdurre nel monte orario materie e soggetti di "interesse locale". Questa situazione ha già fatto emergere rivendicazioni da parte degli xenofobi della Lega Nord del ministro Umberto Bossi, come quella di introdurre l'insegnamento dei dialetti, delle "tradizioni locali", perfino della gastronomia tipica. Ma il vero rischio non sono le sortite folcloristiche di Bossi. In realtà, questa legge darà alle regioni la possibilità di rinforzare i legami con le imprese attraverso convenzioni che permetteranno a queste ultime una presenza forte all'interno delle istituzioni educative, soprattutto nel comparto della formazione professionale. Ecco che viene rimesso in discussione un sistema che aveva il doppio merito di contribuire a promuovere la cittadinanza italiana e un'uguaglianza tra le possibilità offerte ai giovani provenienti da differenti regioni. Infine, un dettaglio che non va sottovalutato: la reintroduzione del "voto di condotta", che sarà decisivo al momento di decidere il passaggio alla classe successiva. Una vera spada di Damocle per gli alunni "difficili" delle periferie. Rivelatrice della volontà autoritaria e restauratrice della riforma Moratti. La prossima fase annunciata da Letizia Moratti? La revisione dello status giuridico degli insegnanti. Che sarà sottoposto a controlli politici concernenti i contenuti dell'insegnamento e la gestione delle classi. Cosa che finirà con l'accrescere i poteri dei dirigenti e la precarizzazione degli insegnanti nel loro lavoro. Un lume di speranza In ogni caso, non va dimenticato che la riforma Moratti, come molte altre leggi del governo Berlusconi, è una legge-quadro, che traccia solo le linee guida e che verrà attuata per mezzo di decreti e di ordinanze ministeriali. Senz'altro un modo per evitare un confronto con l'opposizione parlamentare, ma che può avere un effetto boomerang. Infatti, ogni decreto provoca le proteste di insegnanti, studenti e genitori. E il cammino della riforma potrebbe divenire un calvario per Letizia Moratti, Maurizio Disoteo Traduzione a cura di Paola Capozzi |