breve di cronaca
La stella polare chiamata eguaglianza
Pavone risorse - 10-01-2004


In ricordo di Norberto Bobbio

09.01.2003

E’ morto, oggi, Norberto Bobbio.
Uno tra i massimi intellettuali, filosofi, giuristi, scienziati della politica che abbiano attraversato il novecento italiano.
Ricordarlo, fuori da ogni retorica, significa soprattutto cercare di rileggere alcune delle sue più acute lezioni per farne tesoro nell’oggi della nostra vita sociale.
Così, le prime cose che mi balzano alla mente, tra le tante, sono due lezioni riferite alla cultura della pace ed alla logica della eguaglianza.

Nel volume Il problema della guerra e le vie della pace (edito da Il Mulino) Bobbio mette in evidenza come nella nostra società la costruzione della pace sia compito prioritario. Non era ottimista, Bobbio. E del resto il volume è stato scritto nel tempo del bipolarismo nucleare. Anzi, forse era un lucido e razionale pessimista. Tuttavia l’ultima pagina del saggio fa riferimento alla metafora del granellino di sabbia che il vento a volte intrufola tra gli ingranaggi pesantissimi della macchina della violenza mettendoli fuori uso. Noi siamo e dobbiamo essere quei granellini, diceva Bobbio. E introducendo il saggio di Perelman ( Trattato dell'argomentazione) ricordava come la capacità di dialogare e di l’argomentare fosse la base della democrazia che si costruisce solo mediante conflitti in cui vincono le buone ragioni piuttosto che le ragioni della forza. E concludeva: lo specifico della democrazia è questo: che le teste si contano piuttosto che tagliarle.

La seconda lezione è di assoluta attualità (non che la prima non lo sia,…a dire il vero) e riguarda il tema della uguaglianza.

E’ di due giorni fa una importante inchiesta del quotidiano La Repubblica dedicato proprio all’uguaglianza, tema che sembra sparito dall’orizzonte politico delle società occidentali, sostituito dalla capitalismo compassionevole e dalla inutile "solidarietà" figlia dei buoni sentimenti che risolve casi singoli ma continua a permettere che la macchina dell’ingiustizia macini vite, storie, futuro.

Ricordare Bobbio, allora, è forse possibile andando a rileggere un passo dal suo volume "Destra e sinistra" (1994) dove, ripartendo dall’art. 3 della Costituzione Italiana, indica il senso ed il ruolo che anche nel tempo della globalizzazione deve svolgere il tema della uguaglianza.

In un periodo in cui da più parti si sostiene che la politica è ormai un inutile orpello e che non hanno più senso le distinzioni politiche, Norberto Bobbio ci ricorda che ciò è assolutamente falso. Quando non un alibi per non rimettere in discussione i propri privilegi.

Grazie Bobbio. Già ci manchi

Aluisi Tosolini


N. Bobbio, Destra e sinistra, Donzelli, Roma, 1994, pagg. 83-86

1. Una politica egualitaria è caratterizzata dalla tendenza a rimuovere gli ostacoli (per riprendere l’espressione del già citato articolo 3 della nostra Costituzione) che rendono gli uomini e le donne meno eguali. Una delle piú convincenti prove storiche della tesi sin qui sostenuta secondo cui il carattere distintivo della sinistra è l’egualitarismo, si può dedurre dal fatto che uno dei temi principali, se non il principale, della sinistra storica, comune tanto ai comunisti quanto ai socialisti, è stato la rimozione di quello che è stato considerato, non solo nel secolo scorso ma sin dall’antichità, uno dei maggiori, se non il maggiore, ostacolo all’eguaglianza tra gli uomini, la proprietà individuale, il "terribile diritto". Giusta o sbagliata che sia questa tesi, è noto che in genere le descrizioni utopiche di società ideali, che muovono da un’aspirazione egualitaria, descrivono e insieme prescrivono una società collettivistica; che Jean-Jacques Rousseau, quando s’interroga sull’origine della diseguaglianza degli uomini, esce nella famosa invettiva contro il primo uomo che, cintando il suo podere, ha dichiarato "questo è mio!"; che da Rousseau trae ispirazione il movimento che dà vita alla Congiura degli Eguali, spietatamente contrario ad ogni forma di proprietà individuale; che tutte le società di eguali che si vanno formando nel secolo scorso, in cui la sinistra spesso si è riconosciuta, considerano la proprietà individuale come l’iniqua istituzione che deve essere abbattuta; che sono egualitari e collettivisti tutti i partiti che escono dalla matrice marxista; che una delle prime misure della rivoluzione trionfante nella terra degli zar fu l’abolizione della proprietà individuale della terra e delle imprese; che le due opere principali di storia e di critica del socialismo, Les systèmes socialistes di Vilfredo Pareto e Socialism di Ludwig von Mises sono, il primo, una rassegna critica, l’altro un’analisi e critica economica delle varie forme di collettivismo. La lotta per l’abolizione della proprietà individuale, per la collettivizzazione, ancorché non integrale, dei mezzi di produzione, è sempre stata, per la sinistra, una lotta per l’eguaglianza, per la rimozione dell’ostacolo principale all’attuazione di una società di eguali. Persino la politica delle nazionalizzazioni che ha caratterizzato per un lungo tratto di tempo la politica economica dei partiti socialisti, venne condotta in nome di un ideale egualitario, se pure non nel senso positivo di aumentare l’eguaglianza, ma nel senso negativo di diminuire una fonte di diseguaglianza.

Che la discriminazione tra ricchi e poveri, introdotta e perpetuata dalla persistenza del diritto considerato inalienabile della proprietà individuale, sia considerata la principale causa della diseguaglianza, non esclude il riconoscimento di altre ragioni di discriminazione, come quella tra uomini e donne, tra lavoro manuale e intellettuale, tra popoli superiori e popoli inferiori.



2. Non ho difficoltà ad ammettere quali e quanti siano stati gli effetti perversi dei modi con cui si è cercato di realizzare l’ideale. Mi è accaduto non molto tempo fa di parlare a questo proposito di "utopia capovolta" ovvero del capovolgimento totale di una grandiosa utopia egualitaria nel suo contrario. Nessuna delle città ideali descritte dai filosofi era stata mai proposta come un modello da volgere in pratica. Platone sapeva che la repubblica ideale, di cui aveva parlato coi suoi amici e discepoli, non era destinata a esistere in nessun luogo, ma era vera soltanto, come dice Glaucone a Socrate, "nei nostri discorsi". E, invece, è avvenuto che la prima volta che un’utopia egualitaria è entrata nella storia, passando dal regno dei "discorsi" a quello delle cose, si è rovesciata nel suo contrario.

Ma, aggiungevo, il grande problema della diseguaglianza tra gli uomini e i popoli di questo mondo è rimasto in tutta la sua gravità e insopportabilità (perché non dire, anche, nella sua minacciosa pericolosità per coloro che si ritengono soddisfatti?). Anzi, nella accresciuta coscienza che andiamo ogni giorno di piú acquistando delle condizioni del Terzo e del Quarto mondo, di quello che Latouche ha chiamato "il pianeta dei naufraghi", le dimensioni del problema si sono smisuratamente e drammaticamente allargate. Il comunismo storico è fallito. Ma la sfida che esso aveva lanciato è rimasta. Se per consolarci, andiamo dicendo che in questa parte del mondo abbiamo dato vita alla società dei due terzi, non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla maggior parte dei paesi ove la società dei due terzi, o addirittura dei quattro quinti o dei nove decimi, è quell’altra.

Di fronte a questa realtà, la distinzione fra la destra e la sinistra, per la quale l’ideale dell’eguaglianza è sempre stato la stella polare cui ha guardato e continua a guardare, è nettissima. Basta spostare lo sguardo dalla questione sociale all’interno dei singoli stati, da cui nacque la sinistra nel secolo scorso, alla questione sociale internazionale, per rendersi conto che la sinistra non solo non ha compiuto il proprio cammino ma lo ha appena cominciato.




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 Michele Sorbara    - 10-01-2004

Valori smarriti

Vi è capitato qualche volta di trovarvi a camminare sul marciapiede di una strada cittadina durante una giornata di pioggia? Dove il traffico automobilistico essendo scorrevole permette agli automobilisti di superare la velocità imposta? Questi automobilisti non si curano affatto dei pedoni e passano sulle pozzanghere senza rallentare. Sollevano spruzzi d’acqua che spesso si configurano in vere e proprie docce per i malcapitati che si trovano sulla traiettoria. Li ho visti, uomini e donne al volante indifferenti, sfrontati, a volte gradassi e perché no spocchiosi e spacconi. Sono gli stessi che con noncuranza buttano via dal finestrino i fazzolettini di carta o i pacchetti di sigarette vuoti. Sono gli stessi che con strafottenza si fermano al centro della corsia quando incrociano un amico o conoscente, si salutano e si scambiano sorrisi mentre dietro di loro si formano lunghe e rissose fila d’auto. Sono stufo di questa gente, ma sono stufo anche di quanti prendono in giro il prossimo in qualsiasi modo, millantatori e quanti altri sudiciumi c'è in giro. Sono stufo di dovere registrare giorno dopo giorno ipocrisie di tutti i generi. Tante persone magari negano in un primo momento di avere commesso una brutta azione. Poi con un giro di parole nello spazio di un breve dialogo finiscono di ammettere quello che, in effetti, hanno commesso; ma sempre lasciando la porta aperta al dubbio. Sono stufo di tantissime cose ma non mi lascio andare alla voglia di inveire contro di chi non la pensa come me. Posso pensare di contrastarlo, con il confronto sincero e rispettoso e con il dialogo aperto. Ma non gli metto i bastoni tra le ruote. Soprattutto non gli impongo il mio modo di fare, di pensare. Non interpreto un gesto o una qualsivoglia cosa fatta ad altra persona come cosa fatta a me. Le azioni sono personali. Anche se annoto delle incongruenze o addirittura delle offese fatte ad altri, che hanno un qualche comune denominatore con la mia persona, chiederei sempre delle delucidazioni. Invece noto che anche persone colte commettono questi errori.
Sono stufo di tante cose, ma che faccio? Mi uccido per questo? No, continuo a vivere tra persone che si nutrono d'ipocrisia e d'indifferenza, rifugiandomi nel chiuso degli affetti familiari, nella consapevolezza che ci sono anche persone vere, la cui amicizia o se vogliamo la semplice comunanza d’idee riempie il vuoto creato da chi non ha etica.
Il mio è soltanto un piccolo sfogo, non pretendo comprensione, ma soprattutto non lo indirizzo a chi si comporta in modo incivile ma a chi condivide il mio stato d’animo. E’ vero che oggi la cultura è a lutto per la morte di Norberto Bobbio. Uno degli ultimi maestri, se non proprio l’ultimo nel vero senso della parola. L’ultimo rappresentante di una certa cultura, di un popolo o meglio di un modo d'essere di un'altra Italia. L' Italia, quella civile e laica, che Bobbio ha saputo coniugare così bene in prima persona, quello che la maggior parte degli Italiani ha dimenticato. I valori inestimabili della democrazia nella libertà delle idee, dell’espressione e della giustizia. Quelli ereditati direttamente dalla storia della nostra indipendenza. Tutto questo naturalmente contrasta con la natura del nostro paese, dedito all’intrallazzo, all’ipocrisia al compromesso, pronto a genuflettersi ai mamma santissima, ai baroni della massoneria e del dio trasformismo. Avete fatto caso che i veri grandi uomini sono nati prima del fascismo?

 Pasquale Picone    - 11-01-2004
UN MAESTRO PER LA PROFESSIONALITA’ DOCENTE
Partecipo alla dipartita di Norberto Bobbio con quella commozione, che scuote le radici dell’essere, che si avverte sempre al cospetto di una Grande Anima.
Rimarrà come modello di moderna e luminosa ispirazione per tutti quei docenti, in primo luogo quelli di filosofia nei licei, che, memori del mito platonico della caverna, concepiscono la conoscenza, e il lavoro di formazione dei giovani, come dovere etico di liberazione. Nel rispetto delle specificità dei soggetti e nella consapevolezza del difficile lavoro quotidiano per la costruzione di modelli di gestione delle relazioni politiche nel gruppo-classe, come nel sistema sociale.

Questo è il messaggio di cordoglio che ho trasmesso al forum de La Stampa. Concordo e sottoscrivo il commento di Michele Sorbara, da cui traggo affine sensibilità e condivisione profonda. La conclusione, tuttavia, in quanto uomini e donne di scuola, ci stimola ulteriori considerazioni sul nostro “nanismo”.
Nella scuola si fanno esperienze, di una similitudine sino all’identità, come quelle descritte da Sorbara, collocate, nella sua riflessione, in contesti di vita sociale (il marciapiede e la strada). Si arriva ad assistere a processi pubblici, intentati dal dirigente (peraltro di “sinistra”) in Collegio Docenti, per un articolo sul giornalino scolastico, che esprime una critica costruttiva alla gestione dell’Istituto, definito come “fatto grave”. A tale processo, su circa ottanta docenti, si levano appena un paio di flebili voci di dissenso. Successivamente disconfermate da una sostanziale adesione alla strategia di ostracismo e di emarginazione del collega autore dell’articolo. Questa è la realtà di alcune scuole.
Siamo nani sulle spalle di giganti, dicevano i pensatori del Rinascimento. Il mestiere di docente comporta, volenti o nolenti, un confronto con il nostro “nanismo” di trasmettitori delle idee, della storia e dello spirito dei giganti della conoscenza. In questo umile confronto, forse riusciamo a costruire una graduale traduzione, dei principii alti, in atteggiamenti e comportamenti che, per i nostri allievi, possono essere più persuasivi di una dotta e brillante lezione.
Se l’ultimo dei venerandi maestri viene a mancare, il tempo dell’insipienza, per gli uomini di scuola in piena maturità, è finito. E’ giunto il tempo di mettere a frutto la preziosa e feconda eredità di quei maestri.

prof. Pasquale Picone
Supervisore SSIS Lazio Università Roma Tre, indirizzo Scienze Umane


 ilaria ricciotti    - 11-01-2004
Quando un uomo muore,
molti lo ricordano con le parole.

Quando un uomo è in vita,
molti lo costringono alla salita.

Quando un "grande" ci lascia e non c'è più,
in molti si affacciano, e s'ode il suono del cucù.

Quando un "grande" vive la sua vita,
molti lo seguono solo per vincere la loro partita.

Quando un essere umano, eroe del vivere quotidiano, muore,
per lui non ci sono celebrazioni, nè sermoni ed esaltanti parole.

Con questo penso di aver interpretato il pensiero di un Grande Uomo,
che se potesse parlare, inviterebbe tutti ad abbassare il tono.

A rammentarci che nella vita,
siamo granelli di una storia infinita.

Piccoli granelli che contano poco o quasi niente,
soltanto se si lasciano intrappolare da certa gente.

Se non lottano per un ideale ed ancestrali valori,
che mantengono la loro anima pulita, anche senza onori.

Grazie per ciò che hai insegnato a chi ha voluto capirti, caro Norberto, filosofo del nostro tempo,

io da te ho tratto lezioni di vita e moltissimi altri insegnamenti..........,
alcuni dei quali caduti in disuso a causa di corrotte anime e menti.

Ciò che mi hai insegnato, dopo che hai lasciato questo mondo terreno, non lo dimenticherò:

lo terrà stretto nel mio piccolo cuore di donna e, guardando te "stella polare, tra altre stelle" lo vivrò.
Con affetto, Ilaria