La lanterna e il fischietto.
Claudio Sgarbi - 05-01-2004
L’informazione, la notizia… quando uno è giovane non ci pensa più di tanto, … è quella che ti sfiora, che ti passa sopra, che ti entra da un orecchio ed esce dall’altro…è quella che ti colpisce, che fa rumore, che impressiona… la tragedia, il dramma, la catastrofe.
Poi passano gli anni, ti fermi a riflettere e ti accorgi che tutte le informazioni che in un modo o nell’altro ti hanno toccato, si sono sedimentate e stratificate sulla tua pelle e solo allora ti accorgi dell’importanza che hanno avuto nel loro divenire; nel loro sgocciolare, attimo dopo attimo, hanno scavato grotte nell’anima in cui riecheggiano emozioni vissute, da cui pendono ragnatele colorate che filtrano la luce negli occhi..
E’ solo a questo punto, in retrospettiva, che uno si accorge dell’importanza delle scelte perché è la somma di queste che ci definisce per quello che siamo ora.
Normalmente, non mi alzo la mattina facendo la scelta della mia vita, ma tutte le mattine faccio delle scelte che definiscono il divenire della mia vita.
Nella società opulenta l’informazione gioca ormai il ruolo di ruffiana, tesa a favorire lo sviluppo di un modello di società impostato dai guardiani dell’economia e dai potenti di turno.
Con le nuove tecnologie siamo ormai immersi in un flusso costante ed incontrollabile di informazioni, tant’è che ormai la libertà individuale può essere considerata direttamente proporzionale alla quantità di informazioni che riesco a lasciare fuori dalla mia porta e dalla mia testa e tutto questo senza considerare le manipolazione più evidenti e vistose, la distorsione delle notizie per uso politico di parte.
La manipolazione più subdola e pericolosa è però quella che non avverti e non l’avverti proprio per la sua discrezionalità, per la sua moderazione, per la sua temperanza: non l’avverti perché vi sei immerso come in un liquido amniotico che ottunde e desensibilizza, è l’informazione indiretta, è il costume del tempo, sono i tuoi genitori, i tuoi insegnanti, i tuoi amici, “le tue relazioni sociali”, il contesto che ti circonda e che ti ovatta la mente, i miti del benessere e dello stato sociale.
Solo se riesci ad avere una visuale dall’alto riesci a distinguere il banco di nebbia, ma se vi sei immerso semplicemente non riesci a vedere nient’altro che la punta dei tuoi piedi.
Questo è quello che succede anche a noi insegnanti; immersi nella nebbia quotidiana ci affanniamo a tenere accesa una luce, una lanterna, nel tentativo di non inciampare nel percorso accidentato che attraversa una pianura educativa senza orizzonti delineati, ma se cerchiamo di elevarci al di sopra o al di fuori della nebbia inevitabilmente tradiamo l’affidavit educativo lasciando i nostri allievi senza riferimenti nel buio della pianura.
E allora che fare, in attesa di qualche raggio di luce in tanta tenebra?
Innanzi tutto smettere di blaterare, di discutere, di lamentarsi riguardo a cose e a fatti che non si conoscono se non parzialmente, e cercare di attivare un “ascolto sensibile” per capire, perché non può essere vero tutto e il contrario di tutto, e se questo è invece purtroppo il risultato, bisogna denunciare il trucco con la consapevolezza che partecipare al gioco delle tre carte o a quello dei bussolotti vuol dire inevitabilmente perdere.
Ho letto molti articoli su “Fuoriregistro”, alcuni non li ho condivisi, ma li ho apprezzati comunque perché voci genuine, sfoghi sinceri di persone che ritengo essere il meglio della nostra categoria, voci diverse e variegate che cercano di farsi sentire, di dare visibilità al loro lavoro e alle loro frustrazioni quotidiane, diverse sensibilità che colorano di arcobaleno il caleidoscopio della scuola.
Ciò nonostante, a mio avviso emerge una impossibilità di concertazione didattica, troppo distanti le “visioni”pur nell’unicità di intenti.
Da queste ed altre letture, dalla mia esperienza personale, dal vissuto professionale scolastico, mi sento di poter dire che non potrà mai esistere un modello unico di scuola ideale, e che ci dobbiamo accontentare delle tante scuole possibili.
L’aspirazione al modello ideale di scuola è legittima, ma dannosa e destinata al fallimento se non tiene nel dovuto conto la realtà quotidiana.
La realtà quotidiana è l’unico comune denominatore, l’unica piattaforma contrattuale sostenibile, l’unico collante funzionante.
E la realtà quotidiana non è un astrazione, un modello teorico, un ideale; la realtà quotidiana sono Antonio, Fahrid, Anita, coi loro problemi, il loro malessere e il loro disagio, sono le loro famiglie che stanno ancora peggio di loro, sono Anna, Pino e Roberto che non ne vogliono sapere di schiodarsi dal loro stato catatonico e letargico, sono le classi di 27 ragazzi con 5 caratteriali e un handicappato.
La realtà quotidiana è la paura di sentirsi inadeguati, l’ansia di arrivare alla fine dell’ora in modo decente, è la sostituzione al collega proprio quando pensavi di prendere fiato un attimo e di metterti pari col lavoro, è il Preside che pensa più ai problemi di bilancio che ai problemi delle persone, sono le impiegate della segreteria che si sentono prese in mezzo fra docenti, famiglie, studenti e Dirigenti e si difendono incattivendosi con il mondo intero, sono le riunioni rituali in cui tutti parlano sapendo benissimo che non hanno niente da dire.
La realtà quotidiana è la difficoltà di programmare ed organizzare la giornata, sono gli imprevisti, è la burocrazia, sono i moduli, i registri, le compresenze, i verbali, sono le interruzioni, l’incapacità di progettare alcunché a causa della frammentazione e della parcellizzazione didattica, è la difficoltà nel mettersi d’accordo con gli altri, di dare ed avere disponibilità per gestire non i problemi propri e personali, ma per tentare di risolvere quelli didattici e/o comportamentali degli allievi.
Solo chi ragiona, opera, soffre, impreca sulla realtà quotidiana è legittimato a parlarne.
Purtroppo sono ancora troppi coloro che hanno delle rendite di posizione e di potere politico non corrispondente alla loro rappresentanza sul campo educativo per cui ci troviamo nell’imbarazzante situazione di vederci rappresentati a livello propositivo, legislativo, contrattuale non dal meglio della nostra categoria, ma da figure teoriche di sistema che hanno scarsa dimestichezza con la realtà quotidiana.
D’altronde è anche vero che la categoria dei docenti non ha mai brillato per orgoglio e dignità, non ha mai saputo assumere e difendere un codice deontologico di comportamento, non ha mai saputo difendersi da sé stessa e dal proprio corporativismo legato esclusivamente al riconoscimento della funzione docente in base allo stipendio, non ha mai costruito comportamenti coerenti fra il fare e il dire contribuendo così a scavare una dicotomia profonda e una prevaricazione di fatto nei confronti dei deboli e degli indifesi, un po’ come certe figure di preti “guardate quello che dico non quello che faccio”.
Il risultato è che quando si parla di riforme di sistema, di nuovi modelli epistemologici, di contratti sindacali, di leggi quadro sono gli “altri” che parlano, i non addetti ai lavori, quelli che vivono una realtà quotidiana che, volenti o nolenti, è completamente diversa dalla nostra di insegnanti.
Sono gli azzeccagarbugli, i professionisti della politica e della disinformazione, i pedagogisti e gli psicologi, le ragionerie di stato, i revisori dei conti, gli ispettori, i dirigenti, i sindacalisti, i tuttologi.
Quante volte siamo stati coinvolti, ascoltati, noi docenti?
Quante volte si è cercato di seguire una linea dettata dal comune buon senso?
Checché ne dica la nostra cara signora Moratti, mai!
Ma si sa, la consultazione della base ha sempre dato fastidio a tutti, e allora si preferisce delegare un illustre pedagogista, qualche universitario di chiara fama e dare a loro il compito di allestire l’impianto pedagogico ed epistemologico della nuova grande riforma, salvo poi dover ridurre tutto l’impianto entro i confini tracciati preventivamente dalla ragioneria di stato e dalla finanziaria (scelta quindi politica, non tecnica).
Ma tutti quanti sappiamo che il percorso di una riforma e il suo iter legislativo sono lunghi, irti di ostacoli; potrebbe essere un’occasione di confronto, di reclutamento di quelle voci e di quei pareri che al di là delle critiche strumentali potrebbero dare apporto, chiarezza, trasparenza, contributi importanti, ma probabilmente potrebbero dare anche fastidio e allora si sceglie di blindare il tutto, e vai con le deleghe.
L’informazione dello stato dei lavori trapela solo attraverso spot pubblicitari di sostegno, distribuzione di agende (ma allora non è vero che c’è tutta questa penuria di liquidità in ambito ministeriale se si da il via ad un operazione economica che impegna parecchi milioni di euro) e dall’altra parte si grida “ al lupo, al lupo!” e si ribatte con la contro informazione dando corpo a voci e paure (tra l’altro tutte fondate), ma senza ascoltare il disagio vero, quello della quotidianità.
In questo furoreggiare di opinioni, c’è qualcuno che si preoccupa di come continuare a fare lezione in classi sempre più numerose ed ingestibili?
C’è qualcuno che si preoccupa di portare comunque avanti un processo di formazione ed apprendimento disciplinare?
C’è qualcuno che si preoccupa di come ridare dignità educativa e autostima a quegli alunni parcheggiati in aula all’inizio dell’anno e improrogabilmente destinati al massacro a fine anno? (32% nel mio Istituto, e giuro che facciamo miracoli per cercare di abbassare tale percentuale).
C’è qualcuno che ha ancora a cuore il perseguimento di un qualunque successo o arricchimento formativo, che non si è ancora arreso alla frustrazione e all’avvilimento?
Si, per fortuna qualcuno c’è: sono quelle persone che continuano a dedicare le loro energie e i loro anni migliori ad un affidavit educativo mai esplicitato né riconosciuto da nessuno, semplicemente si caricano il loro fardello sulle spalle e via…e sono ancora lì che vanno, Berlinguer o Moratti che sia!
Non basta una Letizia Moratti per farli smettere, così come non sono bastate a suo tempo schiere di ministri capocomici che si sono alternati alla regia.
Non importa quanto fitta sia o sarà la nebbia, loro saranno sempre lì con la loro lanterna e con il loro fischietto, giorno dopo giorno senza fare calcoli di pensione per fare dispetto a Tremonti e Maroni; questi dovrebbero essere i modelli di riferimento, coloro ai quali ciascuno affiderebbe volentieri il proprio figlio, questi dovrebbero essere i primi ad essere consultati non per una riforma di sistema o per la definizione di un accordo contrattuale, ma per il miglioramento della realtà quotidiana.
La scuola va avanti grazie a queste persone, non certo grazie a coloro che conoscono fin troppo bene gli accordi contrattuali, i commi, le deroghe e le disposizioni temporanee, non certo grazie a coloro che sono abituati più a frequentazioni di corridoi che di aule, non certo a coloro che considerano gli alunni delle entità funzionali solo al proprio stipendio.
Personalmente ho sempre avuto il sospetto che tali conoscenze specifiche fossero più strumentali all’acquisizione e al mantenimento di vantaggi personali piuttosto che a alla crescita e alla maturazione educativa degli allievi.
Sono sempre convinto che le luci in campo educativo siano costituite dalle idee, mentre le ideologie hanno sempre costruito solo steccati e gabbie.
Ma tutto questo è auto referenziale e minimalista, ognuno va in giro con la propria lanterna e il proprio fischietto sempre comunque immerso nella nebbia profonda.
Bisogna squarciare il muro di nebbia per dare visibilità ai sentieri che percorrono la pianura educativa.
Ma, tutti lo sanno, la nebbia è direttamente proporzionale all’andamento barometrico e alla circolazione delle perturbazioni; se il clima stagna sul barometro fisso, non c’è santo che tenga….ci dobbiamo rassegnare alla nebbia.
In attesa di una nuova perturbazione che spazzi l’atmosfera da nebbie e residui tossici, non ci rimane che metterci mascherina, occhiali, accendere la lanterna, suonare il fischietto e stare attenti a non prendere fischi per fiaschi.
Ho visto colleghi bravissimi e preparatissimi nell’ambito curricolare e disciplinare fino a quando hanno avuto una linea da seguire, ma quando la linea è svanita nella nebbia li ho visti col terrore negli occhi, perdersi nel vuoto del loro panico.
Ho visto colleghi entrare in aula col terrore di dover affrontare la classe per 60 minuti, ho visto altri colleghi invece non preoccuparsi minimamente di tale confronto e non entrare neppure in classe preferendo il cappuccino del bar interno.
Ho visto ministri e orchesse, giocolieri e saltimbanchi, predicatori ed imbonitori alternarsi nel ruolo di direttore (leggi Ministro della Pubblica Istruzione) di questo circo Barnum che è sempre stata la scuola.
Ho visto mezzi-uomini trasformarsi in presidi e quindi in Dirigenti Scolastici, ho visto casalinghe frustrate trasformarsi in missionarie part-time, ho visto capipopolo diventare servi, sessantottini che predicavano la rivoluzione trasformarsi in lacchè , femministe furiose trasformarsi in professioniste del marketing, grigi burocrati trasformasi in sardonici Kapò, pedagogisti e psicologi trasformarsi in uomini spettacolo .
Ho visto colleghi scaricarsi tranquillamente dal fardello educativo e tirare avanti indifferenti ad ogni responsabilità o ad ogni stimolo che non fosse quello economico, ho visto mè stesso invecchiare e perdere la capacità di indignazione..
Ho visto anche dei ragazzi trasformarsi in giovani uomini; e questo basta a dare la forza per continuare a resistere alle frustrazioni e all’avvilimento che ti assediano quotidianamente, ma non basta a giustificare lo scempio che viene fatto di questa povera scuola da parte di tutti, non basta a tollerare che diventi la piazza politica dove si contendono spazi le fazioni avverse e le lobbies, non basta per sopportare la strumentalizzazione politica e il vaniloquio demagogico, non basta per rassegnarsi agli sproloqui di improvvisati esperti che non sono mai stati in un’aula.
E allora preferisco il minimalismo, preferisco girare con la lanterna e suonare il mio fischietto, preferisco il comportamento virtuoso di uno che la cecità e la sordità di centomila convinto che solo dall’esempio dei pochi si possano attivare comportamenti virtuosi di reciprocità, solo la pazienza e l’ostinazione pervicace di alcuni può migliorare quella realtà quotidiana che rimane l’unico parametro indicativo della qualità della scuola.

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 Vittorio Delmoro    - 06-01-2004
Perché questo lungo intervento di Claudio Sgarbi (nome che mi sembra nuovo da queste parti), invece di suscitarmi un’ovvia simpatia, mi infastidisce un po’?
Sarà perché mi riconosco in alcune delle tipologie docenti da lui sprezzate?
Sarà per quel suo porsi al di fuori dell’arco politico, così ricercato da chi teme di esserne contagiato?
Sarà per quell’individualismo esasperato che trasuda da tutta l’invettiva?
Se forzassi un po’ l’interpretazione, potrei pensare che Claudio Sgarbi in questi mesi di battaglia antimorattiana si è mantenuto sulle sue, non ha firmato appelli, non ha restituito agende, non ha partecipato a manifestazioni, ritenendole tutte pratiche inserite nel gran circo della scuole, guidato dal direttore di turno, oppure trampolini per l’imbonitore d’occasione, tutto teso a guadagnare (o mantenere) la sua poltrona di potere (piccola o grande che sia).
Se l’interpretazione fosse corretta, si spiegherebbe il profondo pessimismo individualista che soggiace a tutte le considerazioni espresse : la scuola morirà nonostante quelle poche brave persone che ne hanno portato il gravoso carico senta tanta propaganda.
Io la penso in modo opposto : la scuola vivrà soprattutto perché il risveglio di questi ultimi due anni, la presa di coscienza di un ruolo sostanziale nella società, l’assunzione di responsabilità, la partecipazione alla cittadinanza comune hanno contagiato la stragrande maggioranza degli insegnanti italiani.
Partecipare ad un corteo urlante e coscienzioso assieme ad altre centomila persone con la stessa carica ideale, sapendo dei tanti che sono restati a casa, ma che condividono le stesse motivazioni, non può farci più sentire soli e deboli; e Claudio fa senz’altro parte di questa maggioranza che non muore.