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Uso didattico delle carte da gioco
Repubblica on line - 12-04-2003
WASHINGTON - Che cosa potrebbe esserci di più americano, che un poker finale con il morto, per chiudere la partita tra George Bush e Saddam Hussein, nel saloon Iraq? Qualche anonimo genio della guerra psicologica dentro il Pentagono decide di trasformare la fine del regime iracheno in un ultimo poker, dove il "piatto" è la morte e le carte sono i gerarchi introvabili. Il Comando Centrale fa stampare mazzi di 55 carte, le 52 più tre jolly, con le facce dei ricercati da un lato e il loro nome e il loro ruolo sul dorso e le sta distribuendo a migliaia fra le truppe americane di occupazione.




Saddam è l'asso di picche, i suoi figli Uday e Qusay sono gli assi di cuori e di fiori, Tareq Aziz, il gerarca modello esportazione che non è mai contato nulla, è giustamente relegata a un banale otto di picche. Non sappiamo chi sia la regina di cuori, forse la specialista in armi biologiche con il chador nero che vedevamo muta alle riunioni dei capi, ma sappiamo da dove viene l'idea delle "death cards": viene direttamente da quelle giungle vietnamite, dove le forze speciali americane firmavano le loro azioni lasciando una carta da gioco, quasi sempre un asso o una donna di picche, sui cadaveri.

Ce le ha fatte vedere, con qualche imbarazzo, quel generale con la faccia per bene e un po' malinconica, il generale Brooks, che dall'inizio di questa guerra cominciata 24 giorni or sono e non ancora finita, diffonde i bollettini ufficiali dal podio di Doha, in Qatar. Ne sono state stampate a diecine di migliaia, plastificate per resistere alla sabbia, perché i soldati ci giochino, perché facciano le loro partitine nei bivacchi, familiarizzandosi con naturalezza con le facce dei ricercati, come si fa nelle aule delle scuole elementari e i cartelli con la frutta, gli animali e le parole sotto.

Incoraggiate dal comando sono anche le partite a carte con gli indigeni, purché sia accertato che non portino bombe a mano o tritolo sotto i vestiti, nel caso qualche giocatore iracheno, leggendo la propria mano prima di puntare, scopra di sapere dove è il ricercato ritratto tra cuori, quadri, fiori e picche, che gli farà vincere la benevolenza dei nuovi padroni della città.

L'idea di trasformare in un colossale poker nazionale il finale di questa guerra che Washington sa di non poter vincere davvero fino a quando non avrà la sua Norimberga di gerarchi arresi o impiccati deve essere sembrata carina agli esperti di "psy ops", di guerra psicologica. Ma ai vecchi generali e ai vecchi reporters l'associazione tra morti e assi, fra donne di picche e cadaveri riporta il ricordo di quel maledetto Vietnam che sempre ci annunciano superato e sempre rispunta come un virus insopprimibile. Quella di "firmare" le uccisioni con una carta da gioco era un classico in Indocina, raccontato nelle memorie di tutti i reduci, da Ron Kovic ("Nato il quattro di luglio"), da Nelson DeMille ("Up Country"), dal medico militare Ronald Glasser ("365 giorni") e dal cronista più autorevole di quella guerra, il premio Pulitzer Stanley Karnow.

Lo inaugurò la Prima brigata di cavalleria aereotrasportata, quella che Coppola raccontò nel suo "Apocalypse Now" a lasciare un asso e una figura sui cadaveri, il "black jack", il 21, massimo punteggio nel gioco d'azzardo più popolare, poi furono i tiratori scelti a firmare il loro lavoro, con la dama di picche e spesso il proprio nome sul vietnamita ucciso. "Tra i soldati e le carte da gioco - raccontava Robert Pisor nel suo "L'Assedio di Khe San" - c'è sempre un rapporto intenso, perché il gioco di carte è la rappresentazione del caso, della fortuna, della vita e della morte. Divenne naturale, per i nostri soldati, lasciare carte da gioco sui cadaveri, come il giocatore prende il piatto".

Il "piatto", nel caso di questa smazzata finale con il regime iracheno, sono le vite di quei 55 super ricercati, che le carte autorizzano, spiega il generale Brooks, a "catturare o uccidere a vista", senza aspettare disposizioni superiori. Nella attesa della libertà, della democrazia, dell'ordine e della vita civile che gli occupanti hanno promesso, e dei McDonald's lungo l'ex via Saddam che segnaleranno la definitiva trasformazione dell'Iraq in una democrazia avanzata, Bagdad può cominciare a gustare un assaggio di Las Vegas sul Tigri. Casinò senza uscita, per quei 55 giocatori che hanno già perduto.


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 anthony    - 14-09-2004
non è il caso di parlare di "occupazione"...