breve di cronaca
Se il Concordato sale in cattedra
Il Manifesto - 03-03-2003

La vicenda dell'insegnante toscana licenziata perché ragazza madre mette in evidenza la difficile conciliazione tra la cultura religiosa nella scuola pubblica e la catechesi ecclesiale. Le contraddizioni dell'insegnamento confessionale nel contesto dell'Europa multiculturale

ALBERTO PISCI *

Forse perché questo Paese ci ha abituato ai paradossi, rischiamo di accogliere come «legittime» norme e disposizioni che il comune buon senso (prima ancora che l'analisi critica) respinge come antistoriche, urtando contro l'identità stessa dei soggetti coinvolti. Il fatto che l'insegnante di religione toscana avrebbe mantenuto il suo posto se avesse accettato di interrompere la gravidanza, è solo l'ultimo esito di un paradossale (e ridicolo) gioco delle parti in cui la confusione dei ruoli tra Stato e Chiesa ha il sapore del comico se non sconfinasse a volte nel tragico. Potremmo forse individuare i prodromi del paradosso in quel governo a guida socialista (tradizionalmente quella più anticattolica nell'area della sinistra) che firmò con la Chiesa gli Accordi di Villa Madama del 1984. Accordi in virtù dei quali lo Stato si delegittima in favore del Vescovo locale per la selezione e la rimozione dell'insegnante di religione nelle proprie scuole pubbliche. D'altra parte non è per il capriccio del Vescovo locale se anche il Dio-della-Vita deve inchinarsi al can. 804 del Codice di diritto Canonico. Magari, se Simonetta fosse appartenuta a quache altra diocesi sarebbe rimasta al suo posto, si parva licet componere magnis

Certo, sappiamo tutti che l'irrinunciabile principio di separazione tra Stato e Chiesa prevede l'incompetenza dello Stato in materia di religione (non me ne vogliano i proff. Filoramo, Bolgiani, Sacchi, Piantelli, Bertolino che mi hanno formato all'Università di Torino e i loro colleghi afferenti discipline religiose attivi nelle università italiane), ma forse questo principio non comporta, da parte dello Stato, l'abbandono al suo destino di una cittadina che è stata (anche) a suo servizio. E che dire del maggior sindacato italiano che, di fronte alle legittime aspirazioni della categoria al ruolo professionale e, più in generale, alla tutela del posto di lavoro, risponde, invece e solo, con il mantenimento dello status quo che ha determinato la situazione in cui si è trovata Simonetta? E che dire di certe anime belle (soprattutto fra i Ds) che dall'opposizione si scandalizzano per l'attuale disegno di legge (già approvato alla Camera) per l'immissione in ruolo di questi insegnanti, quando nella passata legislatura erano pronti a «baciare la pantofola» con un altro disegno di legge, poco dissimile, passato al Senato ma non convertito in legge per la chiusura prematura delle camere? Certo, la parte delle anime belle la fanno anche quei colleghi di religione che si ostinano a guardare alla propria come ad una disciplina inter pares. Sanno bene che così non può essere fino a quando la confessionalità dell'insegnamento (e la sua conseguente non-obbligatorietà) determinerà dei canali di reclutamento differenti dagli altri; canali che il concorso pubblico, previsto nell'attuale disegno di legge, solo parzialmente potrà correggere.

La ricaduta sociale del problema è tanto più rilevante se si considera che sono laici il 76,2% degli insegnanti di religione. Le situazioni di precarietà nell'orario cattedra si vanno riducendo sempre più, pur rimanendo alte: si attestano infatti ben sopra il 40%. Quello della confessionalità appare il vero nodo da sciogliere e per il quale la Chiesa Cattolica non mostra cedimenti: eppure si sente sempre più spesso parlare, non solo in Italia, del superamento dell'insegnamento confessionale sulla base stessa dei suoi effetti: la conoscenza del fatto religioso presso gli studenti non sarebbe infatti mai stata così bassa, nonostante il 93% di avvalenti su scala nazionale, dato brandito volentieri dalla Chiesa a difesa della presenza dell'istruzione cattolica nella scuola. Mentre non stupisce che la Francia (unico stato in Europa che non annovera l'insegnamento religioso nella scuola pubblica) giunga a discuterne l'inserimento sotto diverse forme, appare più sconcertante che in Italia, dove tale insegnamento è realmente capillare, domini l'ignoranza religiosa (e non solo fra gli studenti: d'altra parte ci si può laureare in lettere senza aver mai sostenuto un solo esame di storia o filosofia cristiana, men che meno islamica o ebraica). Ma se questa ostinazione verso la presenza confessionale della materia è incomprensibile da parte della Chiesa che non ne coglie i frutti nemmeno in parrocchia, ugualmente sconcertante appare l'assenza dello Stato di fronte al fabbisogno di una forma specifica di cultura dei suoi cittadini, per la quale non sa offrire una valida alternativa, obbligando di fatto lo studente a compiere una scelta «debole».

Nell'attuale scenario italiano ed europeo la priorità spetta ai contenuti e alla formazione dei docenti, soprattutto in ragione della mutata situazione sociale, segnata da un pluralismo religioso sempre più accentuato. Le stesse comunità confessionali, se desiderano veramente salvare il sapere e non mantenere delle posizioni acquisite, dovranno occuparsi di questi aspetti, consolidando scientificamente l'insegnamento religioso, potenziando la dimensione culturale, il rapporto con le altre religioni, l'interazione con le università. In particolare in Italia si registra la debolezza di un'autentica cultura laica, capace di interpretare il fenomeno religioso in quanto tale, oltre le futili polemiche anticlericali.

Il fatto che l'ex Ministro della Pubblica Istruzione, Luigi Berlinguer, nel programma di riforma della scuola pubblica italiana non abbia inserito il tema della cultura religiosa non può che lasciare attoniti. La stessa Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia (Fcei), da sempre schierata contro la presenza dell'insegnamento confessionale nella scuola pubblica, ha lamentato il silenzio relativo ai fatti religiosi e che ... una società moderna non può esimersi dall'includere, nei vari saperi e nelle diverse chiavi di lettura proposte agli alunni, uno spazio adeguato sui fatti religiosi e sulle loro implicazioni.

Trovare la soluzione a questi problemi non vuol dire mettere in pericolo la laicità dello Stato: perché la laicità è una condizione della mente che interpella tutti gli insegnanti; perché laica è quella scuola che fa accedere in sé tutte le forme di pluralismo sociale; perché si è laici non per l'eventuale esclusione della religione dalla scuola, ma per i metodi con i quali se ne impartisce l'insegnamento e per gli obiettivi che ci si propone. Proprio il caso della Francia, in cui da diversi anni si stanno formulando e applicando modalità d'introduzione della cultura religiosa nella scuola pubblica da cui era sempre rimasta esclusa, dimostra che il concetto di laicità è praticabile se capace di flessibilità culturale e di contestualizzazione funzionali alla comune convivenza.

Solo così si potrà legittimamente rivendicare la volontà e l'esigenza di costruire una cultura della cittadinanza europea che si riconosca nello stato moderno come stato laico, al disopra delle parti e garante delle libertà religiose.

L'Europa ha un urgente bisogno di dialogo, all'insegna della pacificazione, del rispetto reciproco, della riconciliazione, abbandonando ogni posizione intransigente, autoritaria e sottoponendo a lettura critica le proprie convinzioni. Con queste premesse le diverse culture religiose e non religiose europee potranno crescere insieme, confrontarsi democraticamente, mantenendo ciascuna la propria identità, in un clima di dialogo aperto e rispettoso delle diversità.

* dottore di ricerca di Diritto Ecclesiastico, Università di Parigi Sud, insegnante di religione al Liceo "Einstein" di Torino




  discussione chiusa  condividi pdf