Contro le armi, contro la guerra
Greenpeace - 13-02-2003



Fermare la produzione e l’uso di armamenti nucleari è uno dei nostri cavalli di battaglia, sin da quando Greenpeace è nata, più di trent’anni fa. E in questi decenni, da una parte la guerra fredda e dall’altra i movimenti per il disarmo hanno insegnato che lo sviluppo, la produzione e l’uso, o la minaccia dell’uso, di ordigni nucleari alimentano un circolo vizioso. Il possesso di armi di distruzione di massa non garantisce una maggiore sicurezza interna e non porta a una maggiore stabilità internazionale; il patto delle superpotenze per disfarsi di parte degli armamenti nucleari non ha messo fine alla guerra fredda: la proliferazione nucleare si è interrotta solo quando la percezione dell’ostilità e delle minacce tra i due blocchi contrapposti è diminuita, e non certamente, come sostenuto dalle diplomazie, in virtù di considerazioni morali e politiche sul possesso e sul possibile uso delle testate.
È importante ricordare queste lezioni ora che la comunità internazionale sta valutando se intraprendere una guerra diretta teoricamente contro le armi di distruzione di massa.

Le nostre ragioni

Sappiamo che la guerra all’Iraq porterebbe enormi benefici economici alle compagnie petrolifere occidentali e restiamo convinti che la strategia degli Usa non sia solo rivolta a sradicare il terrorismo o a fermare lo sviluppo degli armamenti di distruzione di massa, ma anche a dominare il mercato delle forniture petrolifere.

Ma non è questo il tema che vogliamo affrontare. Prendiamo invece per buone le dichiarazioni ufficiali secondo cui gli Usa si occupano dell’Iraq per i rischi connessi alle armi di distruzione di massa, e in particolare testate atomiche, di cui si sarebbe dotato e analizziamo i fatti.

La non proliferazione è stata costantemente ostacolata proprio dalle potenze nucleari, che da sole vogliono continuare a possedere arsenali atomici: un comportamento che dimostra quanta fiducia ripongano in tali armamenti per la loro sicurezza interna. Ancora, le stesse potenze nucleari hanno snobbato gli accordi internazionali e le Nazioni Unite: il Senato statunitense ha rifiutato di ratificare il Trattato internazionale per bando dei test (Ctbt) e l’Amministrazione Bush ha impedito l’attuazione del Protocollo di verifica del Trattato sulle armi biologiche. In più, il trattato bilaterale firmato con la Russia per ridurre l’arsenale atomico non contiene quegli elementi di trasparenza, di norme vincolanti e di effettiva distruzione delle testate che sarebbero, al contrario, necessari. Il Presidente Bush ha affermato che il nucleo del problema non è l’invio degli ispettori Onu ma l’attuazione di un disarmo,verificabile. Un concetto certamente condivisibile ma che cozza con la pratica degli Usa, che possiedono oltre seimila testate nucleari. Insomma, è singolare che una potenza nucleare come gli Stati Uniti rivendichi l’autorità e l’autorevolezza per fissare norme vincolanti di non proliferazione al resto del mondo senza prima mettere mano ai propri arsenali di ordigni di distruzione di massa. Analogo discorso vale per la Russia: è necessario un programma di contenimento della disponibilità di tecnologie nucleari nonché misure di controllo efficaci per prevenire la vendita di tecnologie e materiali utili alla costruzione di ordigni di distruzione di massa.

In ultima analisi, c’è bisogno di ridefinire il concetto di deterrenza. Crediamo che il disarmo nucleare di tutti i Paesi sia un prerequisito fondamentale per futuro sostenibile della Terra nel XXI secolo ed è quindi imperativo che la comunità internazionale, compresa l’amministrazione Bush, affronti il problema della proliferazione atomica e del disarmo nucleare in maniera coerente. Un attacco contro l’Iraq per privarlo del materiale nucleare rappresenterebbe un caso senza precedenti dal momento che gli Usa non hanno mai, finora, minacciato di attaccare Israele, l’India o il Pakistan per i loro programmi nucleari.

L’opzione militare non potrà funzionare. C’è bisogno di un complesso di risposte per risolvere il problema, ma è necessario innanzitutto capire chi decide e sulla base di quali presupposti politici. Il pianeta non può essere guidato dagli interessi privati di singoli paesi o leader. Un mondo in pericolo ha bisogno di guide che siano altrettanto globali e che rispondano a necessità e imperativi morali per il nostro comune futuro. Se ciascun abitante della terra fosse un elettore, quale futuro potrebbero avere le testate nucleari se si votasse per la loro eliminazione?


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