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La Chiesa non va alla guerra
Il Manifesto - 10-02-2003
Il divino non può non tornare sull'alternativa impostata pochi giorni fa da Famiglia cristiana: «Stai con il Papa o con Bush?». Risposta, piuttosto scontata: 94,7% con il papa, 5,3% con Bush. Ma il sondaggio Abacus su 1000 lettori di Famiglia cristiana rivela anche altre posizioni interessanti. Soltanto il 4%, ad esempio, è d'accordo con l'affermazione di Bush: «La guerra contro Saddam è inevitabile, per fermare il terrorismo», mentre il 93% condivide con il papa: «La guerra non è mai una fatalità, è sempre una sconfitta dell'umanità». E ancora: soltanto il 10% condivide l'opinione di chi (come Ernesto Galli Della Loggia) aveva detto che il pacifismo del Papa sarebbe «a senso unico».

Ma nell'ultimo numero di Famiglia cristiana c'è anche di più.

In una lunga intervista Monsignor Martino, per anni osservatore della Santa Sede presso l'Onu, dichiara con chiarezza che è falso che non ci sarebbe bisogno di un altro pronunciamento da parte dell'Onu, e che è anche falso che il «tempo è scaduto». A questa voce il settimanale aggiunge quella del vescovo di Baghdad, Monsignor Slamon Warduni: «Dio non vuole la guerra in Iraq», anche se «in Iraq vige una dittatura». Dunque si può essere per la pace, anche senza dover essere complice di Saddam.

A queste decise prese di posizione contro la guerra «preventiva», Famiglia cristiana aggiunge un'interessante risposta del teologo Giuseppe Mattai a un lettore - il sacerdote don Gennaro S. di Napoli - che domanda: «In una guerra come quella dell'Iraq un cappellano può assolvere un pilota che bombarda innocenti? Se abortire è peccato, che dire di chi si arruola in una struttura di morte?». Il teologo affronta la questione cruciale senza mezzi termini. «Il caso prospettato non consente risposte positive... Il militare in questione non può essere assolto. Il parallelo con l'aborto è valido». Ma la risposta del teologo procede oltre e arriva a dire che gli stessi cappellani militari sono anch'essi responsabili. «Non è anche la loro una forma di collaborazione alla struttura di peccato, costituita da un intervento armato più o meno giustificato dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu?». E ancora: «Ritengo che un'obiezione di coscienza generalizzata dei cappellani militari, cattolici e no, rappresenterebbe un gesto significativo e un forte stimolo a ripensare con una mentalità nuova ogni guerra moderna...»

E allora cosa fare? «Si tratta di rifiutare di partire assieme alle truppe che commetteranno quello che, a giudizio del magistero della chiesa è essenzialmente ingiusto, cioè peccaminoso...». Più chiaro di così. Il discorso etico si pone ben al di là di quello politico dei se e dei ma. E anche ben al di là delle impostazioni sacrali care a Bush e altri, per i quali, ancora una volta, «Dio lo vuole».

Filippo Gentiloni
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