27 gennaio 2003
Pippo Emmolo - 03-02-2003
Premessa: come non eravamo d’accordo ieri con la Commissione parlamentare che chiedeva la revisione dall’alto dei libri di storia, così oggi – a distanza di tre anni dalla sua istituzione- continua a non piacerci questo Memorial Day impostoci dal Parlamento italiano. C’è qualcosa che ci inquieta in questa “dovere” della “memoria” e non solo perché nessuno ha il diritto di imporci ciò che dobbiamo o non dobbiamo ricordare! E’ soprattutto perché a forza di richiami “ritualistici” si continua come prima e più di prima con i massacri e le censure sui massacri (che non magari non piace ricordare!) L’inquietudine quindi non deriva solo dal fatto che nel “dovere della memoria” sono escluse le vittime del gulag. La verità è che non bisogna “ cadere nella trappola del dovere di memoria” ma sviluppare il più possibile un “lavoro di memoria”( Paul Ricoeur).


1°- Il dovere della Memoria può essere una trappola!
Non esiste dovere di memoria in sé; la memoria può essere messa al servizio del bene come del male, utilizzata per favorire il nostro interesse egoista o la felicità altrui. Il ricordo può restare sterile, addirittura fuorviarci. Se si sacralizza il passato, ci si impedisce di capirlo e di trarne lezioni che concerneranno altri tempi e altri luoghi.


1.1Nel suo libro sul genocidio ruandese Gourevitch racconta che nel 1994 si era recato alla Casa Bianca per assistere alla conferenza stampa sulla scelta del governo americano di non intervenire in Ruanda. Per un caso dovuto alla vicinanza dei luoghi, Gourevitch si è trovato davanti al museo dell’Olocausto dove proliferavano gli slogans mai più, ricordiamoci,Non dimentichiamoci mai Ma questo richiamo alla memoria non combatteva affatto la rimozione di ciò che stava accadendo in quel medesimo istante; a suo modo vi contribuiva!

1.2Non molto tempo fa si è svolto in Francia il processo contro i responsabili del regime di Vichy e in quell’occasione si è somministrata ai francesi una visione caricaturale di quel pagina di storia francese, peraltro in un modo adatto ad attrarre il pubblico. Il regime pétainista sarebbe stato uno scudo contro l’invasore tedesco (risparmiare il peggio al popolo francese) oppure Vichy sarebbe stato solo un regime fascista, attivamente partecipe allo sterminio degli ebrei. Vari sondaggi hanno mostrato che nell’insieme i francesi erano soddisfatti di questa duplice versione del loro passato. E’ sconcertante: i francesi condannavano unanimemente i personaggi di un’ altra epoca perché non si riconoscevano in loro; così potevano lusingare a piacere la propria buona coscienza, i cattivi essendo sempre gli altri! in quegli stessi giorni dai risultati di un sondaggio, si veniva a sapere che il 43% dei francesi si dichiarava almeno un po’ razzisti. Non si spiega così anche l’irresistibile ascesa di Le Pen e degli insorgenti razzisti di Francia che nelle recente presidenziali ha visto l’intera sinistra d’oltralpe concentrare obtorto collo i loro voti sul “corrotto” Cirac?

1.3 All’inizio degli anni Cinquanta Sartre si opponeva alle rivelazioni sui campi in Unione Sovietica: secondo la sua formula divenuta celebre, non bisognava “rendere disperata Billancourt” cioè la classe operaia rivelandole che la patria del socialismo non era ancora il paradiso terrestre. Simili rivelazioni- si diceva- rischiavano di nuocere alla causa della pace, o che potevano fare il gioco dell’imperialismo americano. In quest’ottica lo storico non ha più doveri verso la verità ma solo verso il bene, egli non è che un propagandista fra altri- posizione che può essere difesa se si è convinti che i fatti non esistono ma solo i discorsi sui fatti.

Regola aurea
Lo storico “non deve, in nessun modo, nel proprio lavoro, farsi il servitore di questa o quella memoria particolare” (Azema). Lo scopo dello storico è condurre alla conoscenza e non alla fede: “La trasmissione del passato non deve riassumersi nel culto passivo degli eroi e delle vittime” (Rousseau)

2°- La storia è sacrilega, la commemorazione è sacralizzante.
Bisogna rendersi conto che, quando si sentono questi richiami contro l’oblìo o a favore del dovere di memoria, non si tratta, nella maggior parte dei casi, di un invito al recupero della memoria, alla sistemazione e all’interpretazione del passato ma semmai alla difesa di una selezione di alcuni fatti fra altri: quella che assicura ai suoi protagonisti di mantenersi nel ruolo di eroe, di vittima o di moralizzatore, in opposizione a tutt’altra selezione che rischierebbe di attribuire loro altri ruoli meno gratificanti.

2.1 Al museo di Hiroshima ci si è compiaciuti nel ruolo esclusivo di vittima, senza sollevare la
minima questione concernente la responsabilità del governo giapponese nello scoppio e nel proseguimento della guerra né nei trattamenti disumani che i prigioni di guerra o le popolazioni civili subivano da parte dei giapponesi.

2.2 Un grande parco, dentro il quale troneggiano il museo e un monumento funebre contenente i nomi delle 176.964 vittime della bomba, permette a 1 milione e mezzo di visitatori annui di commemorare questo avvenimento; ma il monumento alla memoria dei 20.000 coreani, presenti sui luoghi in quanto lavoratori forzati e uccisi nello stesso momento, è situato fuori da questo territorio.

2.3 D’altronde nulla nella città di Hiroshima ricorda i massacri di Nanchino, perpetrati in Cina nel 1938 dall’esercito giapponese e precisamente dalle guarnigioni di stanza a Hiroshima, massacri le cui vittime ammontano a 300.000. E chiaro che tanto gli avvocati americani della narrazione eroica che i difensori giapponesi della narrazione di vittimizzazione si limitavano, gli uni e gli altri, a promuovere i <>.

Regola aurea
La sacralizzazione, o isolamento radicale del ricordo, è paradossale perché afferma al tempo stesso che il passato deve servire di lezione e che esso è senza rapporti con il presente (sic!): ciò che viene sacralizzato in questo modo non può assolutamente aiutarci nella nostra esistenza attuale. Se si vuole mantenere l’avvenimento passato in quarantena, si può conservarlo in memoria ma non servirà a comprendere meglio la specie umana e il suo destino. Il passato fa schermo al presente e diventa una scusa per l’inazione.

3°- La banalizzazione, o assimilazione abusiva del presente nel passato è pericolosa. La banalizzazione fa perdere agli avvenimenti presenti la loro specificità essendo assimilati a quelli del passato.

3.1 Un sito internet americano presenta Barak sotto i tratti di Hitler, in uniforme nazista, che sventola una bandiera palestinese dicendo:Sto finendo il mio lavoro mein Fuhrer. Le proiezioni puramente affettive del passato non permettono di capire il presente, o addirittura impediscono che sia percepito in quanto tale. Dire che Putin, nuovo presidente russo, cammina sulle orme di Stalin impedisce di saper chi era Stalin e chi sarà Putin.

L’unicità di ogni avvenimento è in se stessa un’evidenza e non ha bisogno di essere rivendicata. Ciò che è specifico e merita di essere interrogato è il senso dell’avvenimento.

3.2 In caso contrario cadremo nella logica e kafkiana della concorrenza delle vittime.
Louis Farrakhan, capo della “Nazione d’Islam” ha dichiarato: “Cosa sono 6 milioni di ebrei fuori dell’America? L’olocausto del popolo nero è stato cento volte peggiore dell’olocausto degli ebrei” . E’ vano, per non dire di più, voler stabilire gerarchie nel martirio, soprattutto perché, come dice uno dei personaggi lucidamente disperati di Woody Allen a proposito del giudeocidio, i record sono fatti per essere battuti.

3.3 Che gli avvenimenti del passato siano unici e che ciascuno abbia un senso specifico non impedisce di metterli in relazione con altri – anche se al contrario. La specificità non separa un avvenimento dagli altri, essa li lega.

3.4 Spesso si portano a paragone le vittime del nazismo con quelle del comunismo. Ciascuno dei due regimi però mantiene la propria specificità nonostante la somiglianza dei programmi. Nessun dubbio che la condanna a morte fosse lo scopo dei campi di sterminio nazisti. Nessun dubbio che nei gulag la privazione della vita fosse una perdita o un incidente insignificante. Mentre Kolyma e le isole Solovki sono l’equivalente russo di Buchenwald e di Dachau, non c’è mai stata una Treblinka in Unione Sovietica. E infatti non è la morte che qui assume un senso, è la vita che non ha più alcun valore. Le grosse masse di vittime in Urss sono generate da un’altra logica. Le classi nemiche devono ben essere eliminate, ma sarà essenzialmente il lavoro della storia e della natura (la tundra ghiacciata della Siberia). I nazisti praticano lo stesso disprezzo per la vita nei campi di concentramento. “Gli uni sacrificano delle vite umane come se non valessero nulla, gli altri sono colti da un’autentica frenesia del delitto” (Buber-Neumann) Il comunismo non è peggiore del nazismo, ma neppure migliore.

3.5 Il negazionismo. Come si è potuto arrivare a tanto? Certo c’è la diffusione di un’idea “sventurata”di storiografia secondo la quale non sarebbero importanti i fatti storici quanto la loro interpretazione. Ma vi è di più. Rammentarsi: tentativo di comprendere il passato nella sua verità. Commemorazione: adattamento del passato ai bisogni del presente. Si capisce in questo contesto perché il termine “revisionista” sia arrivato a significare il rifiuto delle camere a gas nei campi tedeschi, ciò che indica assai meglio la parola “negazionismo”. La commemorazione ha i suoi luoghi privilegiati: la scuola, i media, le riunioni di ex combattenti, la vita politica, i dibattiti parlamentari, gli articoli di giornali…Però mentre la storia rende la complessità del passato; la commemorazione la semplifica poiché il suo obiettivo più frequente è di procurarci degli idoli da venerare e dei nemici da aborrire. La stessa definizione di “memoria collettiva” è sviante: la memoria è sempre e soltanto individuale. La memoria collettiva è un discorso che riflette l’immagine che una società, o un gruppo all’interno della società, vorrebbero dare di se stessi.

4°- La famosa frase “quelli che dimenticano il passato sono condannati a ripeterlo”. (George Santayana, filosofo americano) è insensata. La memoria non è né buona né cattiva. E’ chi non capisce il senso degli eventi accaduti che è condannato a ripetere il passato, chi si limita a recitarlo e commemorarlo! Il passato infatti non ha senso in se stesso, non secerne da solo alcun valore: senso e valore vengono dai soggetti umani che li interrogano e li giudicano. Il medesimo fatto può ricevere interpretazioni opposte e servire di giustificazione a politici in contrapposizione tra di loro. Per esempio è certo che solo l’armata rossa poteva fare aprire le porte ad Auschwitz, ma questo non vuol dire che la loro fosse una azione propriamente umanitaria (sic!). invece l’hanno creduto pensato e difeso!

Regola aurea
La via fra sacralizzazione e banalizzazione del passato può sembrare stretta, fra servire il proprio interesse e fare la morale agli altri; e tuttavia esiste.

5°-Un vero umanesimo si distingue per due caratteristiche : 1°- il riconoscimento dell’orrore di cui sono capaci gli esseri umani. Il punto di partenza qui sono i campi di Auschwitz e della Kolyma, la prova più grande che ci sia data in questo secolo del male che l’uomo fare può fare all’altro uomo; 2°- affermare la possibilità del bene, non di quello universale ma di un bene che conduce a prendere l’uomo, nella sua identità concreta e individuale, come fine ultimo della propria azione, a prediligerlo e ad amarlo.
N.B. queste due caratteristiche traggono la loro forza dalla loro stessa compresenza.

5.1Auschwitz non è servito a niente! paragonati alle manipolazioni genetiche, i mezzi grossolani dei comunisti, che cercano di mettere al mondo un uomo nuovo con la rieducazione e il terrore , o dei nazisti, con il controllo della riproduzione e l’eliminazione delle razze e degli individui giudicati inferiori, sembrano appartenere alla preistoria.
Se si sacralizza il passato, ci si impedisce di capirlo e di trarne lezioni che concerneranno altri tempi e altri luoghi. Stigmatizziamo il razzismo o la violenza degli altri, nostri vicini o nonni, e questo non ci impedisce di mantenere i nostri: non si impara affatto dagli errori altrui.

Quando definiamo azioni orribili quali quelle di Stalin o di Hitler oppure folli, paranoiche o irrazionali, o anche demoniache, innalziamo una barriera tra noi e loro, cerchiamo inconsciamente di proteggercene, spingendo i loro agenti verso i margini dell’umanità: bisogna essere pazzo per agire così, un essere normale come me non potrebbe mai fare altrettanto! Questo ci permette di non sentirci troppo minacciati dai loro atti.

5.2 I nazisti erano umani. E ciò che vi era di umano in loro, era la loro inumanità( (Gary R.) Colui che rifiuta il racconto eroico come il racconto della vittima, che rinuncia a pensare che il male sia riservato esclusivamente a una categoria di uomini, il bene a un’altra, è condannato al racconto tragico.
Non c’è maggior pericolo in agguato per noi che la strana difficoltà che proviamo a riconoscere l’uomo nell’uomo…La propaganda americana rappresenta i giapponesi come cani, maiali o scimmie, animali rabbiosi che meritano solo lo sterminio. “Quando una guerra è vinta, sono i vinti che sono liberati, non i vincitori” (Gary Romain) I vinti sono liberati dall’illusione che si confondono con il bene, mentre i vincitori sono pronti a ricominciare subito.

5.3 Il totalitarismo a volte può apparirci, a giusto titolo, come l’impero del male; non ne consegue affatto che la democrazia incarni, dovunque e sempre, il regno del bene. E’ meglio non porsi l’obbiettivo di guarire l’umanità da tutti suoi mali (progetto scientista di Condorcet & c.)
E’ possibile resistere al male senza soccombere alla tentazione del bene. Voler sradicare l’ingiustizia dalla superficie della terra, instaurare un nuovo ordine mondiale da cui sarebbero bandite le guerre e le violenze, è un progetto che si unisce alle utopie totalitarie nel loro tentativo di rendere l’umanità migliore e stabilire il paradiso in terra.. Esso implica anche la convinzione la sola e unica incarnazione del bene. Il male non è un’aggiunta accidentale alla storia dell’umanità di cui ci si potrebbe sbarazzare facilmente; esso è legato alla nostra stessa identità; per eliminarlo bisognerebbe cambiare specie..


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 Chris    - 28-04-2004
Salve, sono uno studente liceale, dell'ìultimo anno, quando alla fine di questo articolo citi "il male non è un'aggiunta...", lo riprendi da un famoso personaggio che è intervenuto sul dibattito internazionale dei diritti umani, mi potresti comunicare il nome.
Grazie Chris