Campanella a lutto
Monica Capezzuto - 14-09-2012
E' iniziato un nuovo anno scolastico, ma le scuole del comune di Napoli (asili nido e scuole dell'infanzia che ospiterebbero ben 9000 bambini) non erano pronte. Fisicamente e psicologicamente. Perennemente sotto organico, con i vincoli di bilancio e una sudata delibera sull'indispensabilità dei servizi, con ben - ironico - 37 incarichi annuali conferiti a fronte di un fabbisogno che sfonda il muro delle 300 unità, è suonata la campanella. Ma sembrano più campane a lutto. Bambini in una fascia d'età delicatissima - 0 a 6 anni - si sono ritrovati facce nuove ad accoglierli. Se non hanno addirittura trovato i portoni chiusi. In un giorno si sono frantumati tutti i principi che vogliono, nell'accoglienza, una delle fasi più delicate di un intero anno: sbagliare l'accoglienza nei primi giorni, significa distruggere un anno scolastico. E quest'anno al comune di Napoli è iniziata così: educatrici e insegnanti dell'infanzia ritenute in esubero, sradicate dalle scuole di appartenenza e messe in mobilità su altri plessi, con colleghe sconosciute e bambini orfani di punti di riferimento; personale fuoriclasse dagli uffici amministrativi riposizionato nelle sezioni. Con la prospettiva che poi saranno ricollocate nuovamente. Pacchi. Tutto perché le "scuole vanno aperte". Come? Sulla pelle di tutti gli attori in campo: genitori spaesati per aumenti di rette legati ad un tempo pieno e una refezione ancora virtuali; bambini in età tenera in ambienti privi di volti familiari e inconsolabili; la stragrande maggioranza dell'esercito di insegnanti ed educatrici precarie ancora a casa nonostante le promesse di rinnovo degli incarichi; colleghe di ruolo col morale sotto i tacchi costrette ad abbandonare i posti in cui lavoravano da anni e trattate da tappabuchi, senza dignità lavorativa a cui ormai anche fare un sorriso costa uno sforzo sovrumano. E ne raccogli i cocci mentre i dirigenti scolastici brancolano nel buio senza fari, seppelliti nella notte più lunga della scuola comunale napoletana. Una volta fiore all'occhiello della giunta Iervolino, un meccanismo oliato, che aveva raggiunto un suo equilibrio. Ognuno aveva la propria certezza:le insegnanti la certezza della precarietà, in continuità coi propri alunni, le famiglie fiduciose, consapevoli di lasciare i propri figli in mani professionali ed affidabili. E questo era già tanto in una Napoli pesantemente colpita dai tagli, che oggi sciupa soldi per l'apparenza e ammazza la sostanza. Da qualche mese a questa parte, sistematicamente, si sta smantellando uno dei pochi supporti sociali radicati nel tempo, quegli asili nido nati oltre 50 anni fa come servizio socio-assistenziale nelle zone periferiche più bistrattate della città e diventati poi un valido aiuto per le mamme che lavorano. E ora? Caos assoluto, provvedimenti arraffazzonati, improvvisazione travestita da competenza, una gestione impropria di una rete scolastica che, affiancata a quella statale e quella privata, ospita oltre 30.000 bambini ma che ne lascia in lista d'attesa molti altri. E il prezzo troppo alto lo pagano ancora una volta proprio loro, gli anelli più deboli della catena, quei bambini che dovrebbero essere il futuro della città.E che nessun provvedimento ha preso una volta in considerazione, sacrificando il loro benessere a logiche che di umano non hanno nulla. Numeri. Messi ordinatamente in colonna, sforbiciati, razionalizzati. Tutti i colletti bianchi hanno imparato bene a fare di conto. Ma non a leggere che, dietro quei numeri, ci sono persone che potrebbero anche stancarsi di essere incolonnate da altri. Ma si può avere ancora speranza di cambiare qualcosa nel piccolo? Se ognuno recitasse la propria parte mettendo di lato i propri interessi, si potrebbe anche pensare di non intonacare più su mura marce, ma di ricostruire daccapo tutti insieme. Potremmo impedire al lupo cattivo di soffiare per scardinare le mura pubbliche e costruirne di private. E uso il condizionale. Si potrebbe.Tutti insieme.

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