La democrazia ha una sola razza: meticcia
Annamaria Rivera - 16-11-2002

Il tema dei diritti dei migranti e della lotta contro l'Europa-fortezza sarà uno degli assi principali del Forum sociale europeo. Non era del tutto scontato. Prima di Genova 2001, i grandi appuntamenti del "movimento dei movimenti" avevano visto la questione delle migrazioni per lo più assente o relegata in posizione marginale. Da Genova in poi è cresciuta la consapevolezza che un movimento che aspira a essere globale deve assumere come decisivo il tema della libera circolazione delle persone e come esemplare la condizione del lavoro migrante, che riassume tutte le trasformazioni subite dal lavoro in epoca postfordista: insomma, l'immigrazione come paradigma fondamentale per comprendere la realtà sociale, politica e culturale del mondo globalizzato.

Questa consapevolezza si è affermata anche grazie al diffondersi di un movimento dei migranti su scala europea. In Italia, esso ha saputo legare la protesta contro la Bossi-Fini e la sua logica segregazionista con il no alla guerra, il rifiuto di farsi ridurre a merce-lavoro priva di ogni diritto con la difesa dell'articolo 18 e dunque dei diritti di tutti i lavoratori, la rivendicazione della libera circolazione delle persone con la lotta contro la globalizzazione neoliberista. D'altra parte come potrebbe un forum europeo eludere questi temi con il clima che oggi si respira in Europa? La xenofobia, le discriminazioni e le violenze razziste rischiano infatti di divenire un dato strutturale nel processo di costruzione dell'Unione europea.

In non pochi paesi europei sono cresciuti o addirittura sono andati al governo schieramenti di destra comprendenti partiti apertamente xenofobi e antisemiti, mentre le socialdemocrazie perdevano consensi anche per la propensione a competere con le destre sul terreno della retorica della sicurezza e della "severità" verso i migranti. Tutto ciò si è accentuato con la guerra "illimitata" contro il terrorismo, che ha comportato provvedimenti legislativi emergenziali, la costruzione sociale dell'immigrato come "nemico interno" e il dilagare dell'islamofobia, un retaggio del colonialismo pronto a riattivarsi in certe congiunture internazionali.

D'altro canto, le politiche comunitarie in tema di immigrazione e asilo tendono ad armonizzarsi ma solo sul versante della lotta contro l'ingresso e la presenza "illegali": un'autentica ossessione dell'Europa unita che la induce a sacrificare la salvaguardia di diritti umani fondamentali sull'altare della chiusura delle frontiere e di dispositivi repressivi che non fanno altro che alimentare irregolarità, precarietà, esposizione dei migranti alla xenofobia, alle discriminazioni, al massimo sfruttamento. Come non si stanca di ripetere Etienne Balibar, non è possibile immaginare la costruzione di un'Europa davvero democratica in presenza di un apartheid di fatto: più di tredici milioni di residenti non-cittadini, esclusi dalle cittadinanze nazionali e dalla cittadinanza europea sancita da Maastricht, da Amsterdam e dalla Carta europea, privi di diritti o con diritti differenziati, costituiscono un apartheid in senso proprio.

A Firenze, nella conferenza dedicata al tema dell'Europa-fortezza e nell'assemblea finalizzata alla costruzione di una rete europea del movimento per i diritti dei migranti, così come nei numerosi seminari e workshop su richiedenti asilo, rifugiati, rom, sarà questo uno dei leit-motiv: la rivendicazione di una cittadinanza europea basata sulla residenza, non subordinata alle cittadinanze nazionali, non fondata sul "sangue", sulla discendenza, sulle "origini", capace di includere quei tredici milioni di persone, in molti casi residenti da lungo tempo o addirittura nate sul suolo europeo, e divenute indispensabili all'economia, alla cultura e alla vita civile dell'Europa. La battaglia per una nuova cittadinanza ha certamente un valore strategico. E tuttavia sarebbe pura utopia se non si misurasse subito con i drammi che qui e ora vivono coloro che tentano di violare l'Europa-fortezza: le ecatombi in mare e le espulsioni collettive; il diniego del permesso di soggiorno e il rifiuto dell'asilo perfino a chi fugge da terribili situazioni di persecuzione, di conflitto, di guerra civile; i centri di detenzione per sans-papiers e richiedenti asilo, veri e propri campi nei quali in tutta Europa sono internate persone che non hanno commesso alcun reato.

Saranno questi i temi caldi che saranno dibattuti nel Forum sociale europeo. Se un'altra Europa è possibile, essa non potrà che essere aperta, inclusiva, "meticcia", rispettosa dei diritti umani fondamentali, a cominciare dal diritto universale, sancito da patti e convenzioni internazionali, a lasciare il proprio paese per un altro. L'Europa che vogliamo costruire, dicono i documenti preparatori del Forum di Firenze, garantisce a tutti, compresi i cittadini dei "paesi terzi", la libertà di circolazione sul suo territorio, esige la regolarizzazione a regime di tutti i sans-papiers e l'abrogazione dei centri di detenzione, radicalmente irrispettosi dello habeas corpus, un principio fondativo del diritto e della democrazia europea. Quanto queste rivendicazioni siano calate nella concretezza della realtà presente è mostrato dalla minaccia che pesa sul Forum sociale europeo: la sospensione dell'accordo di Schengen, dunque il blocco delle frontiere interne per impedire a decine di migliaia di persone da tutta Europa di raggiungere Firenze. Speriamo che non accada e che invece sia garantito a tutti, compresi i non-nazionali, il diritto di circolare almeno nello spazio europeo. Altrimenti dovremmo constatare, ancora una volta, che la libertà di viaggiare liberamente nell'Europa che si dice unita è garantita, in effetti e sempre, solo alle merci, ai capitali, all'euro.

* Annamaria Ravera è antropologa presso l'Università di Bari


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