Le politiche antisociali dell'UE
Fabrizio Valli - 21-09-2011
Riceviamo e volentieri diffondiamo, convinti che la consapevolezza, il dibattito e la voglia di cambiare davvero siano ingredienti necessari per uscire da questo presente assurdo. Red


Un'europa di classe
di Fabrizio Valli - Attac Italia

Le politiche di massacro sociale portate avanti con le ultime manovre non sono soltanto episodi legati a risposte sbagliate alla crisi, rispondono all'identità profonda dell' UE, mercato unico con politiche economiche, sociali e fiscali differenti, libera circolazione dei capitali e primato alla concorrenza ed al mercato, allargamento - dumping sociale, patto di stabilità trattato di Lisbona.
L'Unione Europea è disegnata per portare avanti politiche neoliberiste.
- L'obiettivo dell'Euro come moneta forte, che aspira a divenire valuta di riserva mondiale.
- BCE indipendente dal controllo democratico e avente come unico obiettivo la lotta all'inflazione, che ha come conseguenza il contenimento dei salari.
- La centralità dei vincoli del patto di stabilità e crescita che con i suoi obiettivi di contenimento del deficit e del debito entro ristretti parametri.
Per soddisfare i parametri prima di Maastricht e poi del patto di stabilità e crescita gli stati sono costretti a politiche economiche restrittive (privatizzazioni, tagli all'occupazione ed allo stato sociale) per ottenere gli avanzi di cassa necessari (è il patto stesso che indica la necessità di avere bilanci prossimi al pareggio o positivi).
L'altra possibilità rispetto ad una diminuzione delle spese pubbliche, l'aumento della pressione fiscale, è ostacolata dal libertà di movimento dei capitali nell'UE, che permette alle imprese di stabilirsi negli stati con politiche fiscali più blande verso i redditi da capitale, lasciando solo i redditi da lavoro come platea per eventuali aumenti. Oltre che essere in netto contrasto con le politiche neoliberiste di cui l'UE è alfiere.
Una linea funzionale alle esigenze del capitale finanziario: lotta all'inflazione che avvantaggia i detentori di capitale, evitando che si svalorizzino; politica di riduzione delle tasse che rende necessario agli stati chiedere risorse economiche a prestito dai detentori di capitali, privatizzazioni che aprono al capitale finanziario nuovi campi di investimento.
Capitale finanziario non significa solo speculatori e banchieri; in primo luogo per la compenetrazione tra finanza e industria, le multinazionali sono attori sempre maggiori del mercato finanziario e le attività finanziarie sono ormai voce non secondaria nei bilanci di queste imprese, istituzioni del capitale finanziario sono strumenti in cui si esplica la proprietà ed il controllo sulle imprese da parte dei detentori di capitale.
In secondo luogo perché gli aspetti finanziari non sono separati dal resto dell'economia, ma ne sono una delle parti costitutive. L'esplosione della finanza nasce dai meccanismi centrali del nostro sistema, dalla ricerca della massimizzazione di profitti. Per rispondere alla caduta del saggio di profitto negli impieghi tradizionali i capitalisti riversano capitali in cerca di valorizzazione nella sfera finanziaria, determinando la creazione di capitale fittizio, di titoli che danno diritto a partecipare alla spartizione di profitti, non essendo supportata da valore reale creato, ha determinato lo svilupparsi e l'esplodere delle bolle. Obiettivo di tutto il capitale non è quello di produrre cose utili ma di massimizzare i profitti, di avere alla fine del proprio ciclo più denaro di quanto ne avesse prima, ed in questo industria e finanza non differiscono.
Vi è da aggiungere che queste misure ottengono anche altri obiettivi: Politiche di attacco ai lavoratori, disoccupazione e contenimento salariale, che favoriscono il disciplinamento della forza lavoro; tali misure spingono inoltre il capitale produttivo a abbassare i propri costi migliorandone competitività internazionale; Riducono l'incertezza sui tassi di cambio e sui diversi ambienti finanziari; L'Euro come moneta forte supporta le operazioni di merger & aquisition del capitale europeo in altre parti del mondo Un unico mercato che non contempla però la possibilità di decidere democraticamente politiche economiche, fiscali e sociali comuni lascia strada aperta al dumping continuo tra i diversi stati. Le imprese si trovano così a disposizione all'interno del mercato unico un'ampia gamma di situazioni economiche e sociali in cui collocare in modo ottimale i segmenti dei loro processi produttivi in modo da massimizzare i profitti.
Questa crisi non è detto che possa essere risolta con politiche keynesiane, sia per come si configura, sia per gli effetti che una fase di crescita avrebbe su problemi ambientali, in primis clima.
E' evidente a tutti che il contenimento del salario (nelle sue diverse forme) è un elemento centrale delle politiche europee, sia attraverso i parametri del PSC, sia attraverso l'incoraggiamento della flessibilità portato avanti dall'Unione europea, sia attraverso l'incoraggiamento al dumping salariale che troviamo sia nella Bolkenstein che in alcune sentenze della corte di giustizia europea, sia anche nella concreta attività della BCE che mira di fatto la regolazione dei tassi d'interesse più che sull'inflazione in generale, sulle dinamiche legate agli aumenti salariali.
Non a caso il paese con dati economici positivi in questa fase è la Germania che non si è basato tanto sull'entità della crescita quanto sul contenimento salariale, in concomitanza con una tenuta del debito pubblico favorita dal fatto che i parametri del PSC erano più disegnati su questo paese.
La crescita dei salari è vero che da una parte potrebbe aumentare la domanda, permettendo la realizzazione dei profitti, ma dall'altro l'aumento dei salari riduce il saggio di profitto.
Il riequilibrio tra salari e profitti non è quindi detto che sia una misura che vada a vantaggio di tutti e dovrà scontrarsi con l'avversione delle classi dominanti. Esso andrebbe perseguito come obiettivo in sé, nell'ottica di porre nuove priorità nelle decisioni collettive che vadano oltre la logica del profitto.
Quello che possiamo fare è partire dai bisogni delle persone e dall'ambiente, ribaltando l'ordine delle priorità e delle compatibilità. Su questo il livello nazionale non è sufficiente, abbiamo bisogno di rilanciare la lotta per un'altra Europa, a partire dalla costruzione di movimenti europei che si battano contro le politiche di massacro sociale che la UE sta mettendo in campo. Emerge una sempre maggiore incompatibilità tra profitti da una parte e soddisfacimento dei bisogni delle persone, della necessità di una vita dignitosa, della tutela dell'ambiente dall'altra.
Il restringimento del patto di stabilità e crescita sta diventando lo strumento principale attraverso il quale il capitale impone i suoi voleri a tutta la società europea, provocando devastazione sociale e non risolvendo neanche le radici della crisi. E' ora di cambiare radicalmente rotta.


Da "il granello di sabbia"
Mensile di Attac Italia
Settembre 2011


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