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Sei ragioni per cui era meglio non ammazzarlo
Il Post.it - 04-05-2011
Penso che l'uccisione di Bin Laden sia stata un errore, e questo per ragioni che mi paiono molto razionali e poco morali.

Filippo Facci


Primo. Essere contrari alla pena di morte non c'entra nulla, il blitz è stata un'azione di guerra come lo fu l'attacco dell'11 settembre; in guerra vale perciò la legge marziale, ma catturare prigionieri è ampiamente previsto e non soltanto per rispettare qualche convenzione umanitaria, ma per cinico calcolo. Nulla avrebbe impedito di poter comminare un'esecuzione in un secondo momento, voglio dire.

Secondo. Un bin Laden annichilito, e come tale esibito al mondo, nel tempo avrebbe spazzato via ogni velleitaria leggenda circa la sua effettiva cattura: ogni video o immagine di cadavere potrà sempre essere spacciata come falsa - soprattutto da gente disposta a credere che l'11 settembre sia stato un bluff - mentre l'esposizione di un corpo vivo, e vivido nello sguardo, lascia spazio a meno interpretazioni e rappresenta un certo contraccolpo psicologico. Vero è che in pochi protestarono quando fu umpiccato Saddam Hussein, nessuno tuttavia ebbe dubbi sul fatto che quel tiranno trasfigurato fosse comunque lui.

Terzo. L'evenienza che una sepoltura ordinaria potesse trasformare la tomba di bin Laden in un santuario, possibile meta di pellegrinaggi e martirologi, mi pare un falso problema. Qualsiasi genere di esequia avrebbe sollevato polemiche: ergo, tanto valeva, la sepoltura in mare, differirla. Nulla avrebbe impedito di poter tumulare bin Laden - sempre in mare, all'occorrenza - in una data successiva. Senza contare l'opportunità di spargere le sue ceneri nel vento, come gli israeliani hanno fatto coi criminali nazisti.

Quarto. Gli Stati Uniti avrebbero potuto processare bin Laden con una corte marziale, non incorrendo così nei rischi mediatici di un tribunale internazionale tipo quello per i crimini contro l'umanità. Un processo è comunque un processo, e la nazione uscita macchiata dagli scandali di Guantanamo di Abu Ghraib ne avrebbe comunque guadagnato in immagine, assieme a tutto l'Occidente.

Quinto. L'11 settembre è quello delle Twin towers, chiaro, ma ci sono anche i morti di Londra e di Madrid, oltre al terrore e alle conseguenze pratiche che tutto il mondo ha patito per anni: l'impressione che gli Stati Uniti al dunque facciano tutto ciò che vogliono, prima agendo e solo dopo informandoci - nonostante si abbia, anche noi, il nostro esercito coi nostri morti - resta difficile da scacciare.

Sesto, e volutamente ultimo. La pietas non c'entra, e della morte altrui, a quanto pare, fior di cristiani si possono rallegrare eccome. Resta che «noi» non siamo come loro - come i fondamentalisti islamici - e indubbiamente abbiamo perso un'occasione per dimostrarlo. L'espressione «vendetta» la lascerei ai fondamentalisti o ai film di Sergio Leone, e anche la «giustizia» di cui si parla non pare richiamarsi tanto a una giustizia retributiva, all'americana, laddove il male richiama il male, ma alla legge del taglione. In tal senso resta da spiegare perché siano state fatte fuori senza indugio - se ho capito bene - anche il figlio di bin Laden e forse la moglie, o una compagna.

In sintesi: bin Laden è morto, ma c'era gente che nel 2011 non sapeva più neppure che fosse vivo. Sette o otto anni fa la sua uccisione avrebbe avuto tutt'altro impatto e giustificazione, perché c'era una buona fetta di mondo che era infiammata e dalla sua parte. Oggi le cose sono indubbiamente cambiate, e per uccidere Bin Laden, per qualche giorno o per qualche mese, mediaticamente parlando, era necessario farlo rivivere. Almeno per un po'.


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 da Famiglia Cristiana    - 04-05-2011
L'America che si fa giustizia da sé

Nessun processo per Osama Bin Laden, nessuna Norimberga per Al Qaeda. Obama si trasforma in Ispettore Callaghan

Dunque il mostro Osama Bin Laden, il mandante dell'attentato terroristico più mostruoso della storia dell'umanità, è stato ucciso con un colpo alla testa, senza pietà, in un blitz della Cia che pare non abbia fatto prigionieri. Il suo corpo è finito in fondo al mare. E' la faccia giustiziera dell'America. Incarnata per l'occasione, singolare coincidenza della storia, dal democratico Barack Obama, il raffinato professore di diritto, lo studioso di dottrine umanitarie appassionato di Lincoln, del pensatore radicale garantista Alinsky e del filosofo liberaldemocratico John Rawis. Dal presidente che ha fatto smantellare la prigione-canile di Guantanamo e che ha puntato il dito contro le torture in Iraq.

A ben vedere, l'umanista Obama ha fatto peggio del suo predecessore, il falco George W. Bush, che almeno un processo, al feroce dittatore Saddam Hussein e ai suoi accoliti, lo aveva concesso, istituendo l'Iraqui Special Tribunal. Certo, Bush, aveva evitato che a giudicare fosse un tribunale del Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite, sul modello delle corti di giustizia internazionale che avevano giudicato i criminali della Jugoslavia e del Rwanda. Ma almeno un processo c'era stato. Per Osama Bin Laden, che con la sua morte chiude il decennio iniziato l'11 settembre 2001, nessuna pietà. Né per lui né per le persone che si trovavano vicino a lui, donne comprese, al momento del blitz delle forze speciali dell'intelligence Usa.

Si parlerà a lungo di questo Obama trasformato nell'ispettore Callaghan, anche se a ben vedere non ci sono molte novità sotto il cielo a stelle e strisce. L'America, come aveva teorizzato la dottrina Monroe, non concepisce il limite della sovranità, tranne che per sé stessa, si riserva il diritto di intervenire dove vuole in nome della sua "crusade for freedom" (anche oggi che la Guerra Fredda è finita) e si sente legittimata a fare ciò che vuole nel suo interesse nazionale. Restano le considerazioni di un eventuale processo esemplare, che in linea di principio in una delle culle della democrazia, baluardo dei diritti civili, andrebbe garantito anche al diavolo e che forse sarebbe servito come monito all'umanità e per rendere ancor più noti i suoi aberranti crimini. Oltre che, in fase istruttoria, a smantellare la rete di Al Qaeda e di rivelarne molti segreti. Un processo ci dà l'occasione di penetrare dentro gli abissi del male. Ma forse, tra i segreti dell'aguzzino Bin Laden, ce n'era qualcuno scomodo anche per una forza tranquilla come l'America, fin dai tempi in cui la Cia lo finanziava durante la guerriglia in Afghanistan contro l'l'Unione sovietica.

Anche per questo Obama ha preferito parlare alla pancia dell'America e al suo desiderio di vendetta e tirare fuori la Colt. "Giustizia è fatta", ha detto. Ma è una giustizia che sa più di vendetta, avrebbe forse commentato un po' sconsolato il grande cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal. Quando gli israeliani andarono a prendersi Eichman, in Argentina, se lo portarono a Tel Aviv per processarlo. Se lo avessero ammazzato sul posto, tra le altre cose, il mondo non avrebbe conosciuto il suo orrore e non avremmo avuto un libro fondamentale come "La banalità del male" di Hannah Arendt. E a proposito: non ci sarà una Norimberga di Al Qaeda. Avremmo visto sul banco degli imputati il totalitarismo del nostro secolo: il terrorismo. Forse abbiamo perso una occasione. Storica.

Francesco Anfossi