In basso la resa
Andrea Tornago - 16-11-2010

L'ombra del governo dietro alla resa di Kuldip e Papa?





Dodici e quattordici giorni vissuti a stretto contatto con i compagni sulla gru di via San Faustino con la determinazione ad andare fino in fondo e poi improvvisamente, quasi si fossero sbagliati, ognuno per conto proprio due dei ragazzi scendono lasciando gli altri in bilico senza cibo e al freddo a trentacinque metri d'altezza. Basterebbe questa considerazione per sospettare che qualcosa di poco chiaro si celi dietro alla decisione di Kuldip Singh, indiano, e Papa Modou, senegalese, di abbandonare l'occupazione della gru del cantiere Metrobus.

Le prime indiscrezioni giungono a metà della scorsa settimana, quando il Giornale di Brescia parla dell'arrivo di una task force di mediatori inviata dal Ministero dell'Interno direttamente da Roma per trattare con i dimostranti sulla gru. Specialisti delle emergenze impiegati nella risoluzione di crisi con ostaggi, tutti stranieri di nazionalità corrispondente alle diverse provenienze dei migranti, incaricati di parlare e trattare con loro in lingua. Un'opzione assurda, dato che non si tratta di un atto terroristico né di una rapina con prigionieri, ma di un'occupazione accompagnata da precise e manifeste richieste politiche riguardanti una categoria sociale.

Ma il ministero, per mezzo della prefettura di Brescia, decide di non trattare. Linea dura con gli occupanti della gru e con chi li sostiene, blocco degli approvvigionamenti e delle comunicazioni, interdizione delle cure mediche e persino dell'alimentazione. Fino a pochi giorni fa sembrava questa l'irresponsabile strategia del governo, ma forse si riesce a scorgere qualcosa di più e di peggio dietro all'ufficiale richiesta di scendere senza condizioni. A fronte di un'assenza totale di risposta politica le istituzioni cercano in modo oscuro di corrompere i dimostranti con minacce e promesse rivolte ai singoli, spingendoli a cedere e a spezzare il fronte comune.

Che condizioni ha contemplato la trattativa condotta dai mediatori, sfociata nella resa individuale di Kuldip e Papa? Quali minacce sono state rivolte a Kuldip Singh dal mediatore, in lingua urdu, cui il ragazzo indiano ha risposto con rabbia? Quali promesse e quali privilegi sono stati accordati prima a Kuldip e poi a Papa, e a quali condizioni? S'è trattato di soldi, protezione, documenti? O quali altri privilegi, vincolati a quali obblighi? I cittadini italiani hanno il diritto di ricevere una risposta a queste domande, i giornalisti il dovere di formularle.

Una volta scesi, i due ragazzi che per quasi due settimane hanno animato la clamorosa protesta hanno rilasciato dichiarazioni che vanno ben oltre le comprensibili esigenze difensive concordate con il proprio legale. «Scendete, ho sbagliato. Non lo farò più, bisogna rispettare le regole», ha dichiarato Kuldip assieme al questore di Brescia Vincenzo Montemagno. Sembra inoltre aver dichiarato di essere stato spinto a salire da italiani mediante la rassicurazione che avrebbe ottenuto così il permesso di soggiorno.

Mentre Papa, sceso dalla gru dopo il discorso del padre (la cui identità nessuno ha ancora potuto verificare) avrebbe preso in considerazione il fatto che la sua domanda di regolarizzazione non era stata ancora rigettata. Sceso l'ultimo gradino, il 25 enne ha baciato la terra e se n'è andato tra le lacrime, concordando con il padre che era la forma di protesta sbagliata. Un po' tardiva per essere una semplice intuizione.


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 Doriana Goracci    - 16-11-2010
Da 17 giorni aspettiamo che siano riconosciuti i diritti umani per quelli che erano in sei e sono rimasti in quattro. Stasera siamo tutti con quelli che sono giù.
Oggi abbiamo avuto notizie molto dure da mandare giù, aspettando che scendessero giù dalla Gru, perchè ” La prefettura di Brescia ha bocciato la controposta dei migranti . Nel tardo pomeriggio di lunedì, infatti, i legali che rappresentano i quattro che da 16 giorni occupano una gru del cantiere in San Faustino, si sono visti rifiutare la richiesta di moratoria, e la possibilità di discutere i rigetti dei migranti bresciani uno ad uno in un tavolo prefettizio con le istituzioni. Rimangono valide le garanzie per i singoli individui, ai quali è stato assicurato che non finiranno in un Cie nè che saranno espulsi una volta scesi. Ora gli avvocati Vicini, Savoldi, Zucca e Pezzucchi, che rappresentano i manifestanti hanno raggiunto la gru, per spiegare gli sviluppi della trattativa.”
Era una notizia attesa, ed è arrivata: sono tornati giù. In questa Italia che non riesce a lottare per i diritti per tutti , che scorda il suo recente passato di noi migranti, di noi in cerca di pane e il coraggio non si compra e non si vende come la libertà. Grazie per questa amara lezione dove non ci sono vinti e vincitori dove sappiamo solo che la risposta è ancora soffiare nel vento senza fine e insieme…per difendere almeno la dignità di esseri umani.

 Federazione anarchica torinese    - 20-11-2010
Torino. Sabato 27 novembre corteo antirazzista ore 14 da Porta Nuova contro la sanatoria truffa, il permesso a punti, vecchi e nuovi pacchetti sicurezza, la militarizzazione del territorio, i CIE. Promuove la Rete "10luglioantirazzista"

Di seguito il volantino distribuito mercoledì al corteo di studenti e lavoratori della scuola:

Da Brescia a Torino. Sulla stessa barricata Hanno resistito per 17 giorni, arrampicati su una gru a 30 metri d’altezza, nel centro di Brescia.
Intorno a quella gru erano in tanti: il presidio è stato caricato più volte, i manifestanti dispersi. Qualcuno è finito in galera, altri sono stati rinchiusi in un Centro di Identificazione ed Espulsione. Sei egiziani, rastrellati durante la carica dell’8 novembre, sono finiti nel CIE di Torino e deportati in Egitto.
Come tanti altri avevano in tasca la ricevuta della sanatoria del 2009: tanti immigrati avevano sperato che quella sanatoria fosse l’occasione per emergere, per uscire dalla clandestinità. Molti di loro hanno pagato migliaia di euro ai padroni e ai mediatori che li hanno truffati. I più “fortunati” sono stati denunciati per truffa. È una delle tante trappole in cui incappano i lavoratori immigrati, poiché chi è senza documenti non può denunciare i finti datori di lavoro, pena la reclusione nei CIE e l'espulsione dal Paese per il reato di clandestinità.
A Brescia gli immigrati hanno alzato la testa: da due mesi lottano contro la truffa della sanatoria, per il pezzo di carta che permette loro di uscire dal buio, dalla paura, dalla precarietà.
Il lavoro che ricatta la vita di noi tutti, italiani ed immigrati, è una vera catena per gli immigrati. Una legge razzista, una delle tante, sancisce che può vivere nel nostro paese solo chi ha un contratto di lavoro, chi accetta di lavorare per quattro soldi, senza tutele e senza orario. Oggi i migranti, con permesso o in nero, sono i nuovi schiavi di quest’Europa fatta di confini e filo spinato.
I lavoratori immigrati, ponendo al centro la lotta contro l’asservimento degli stranieri, indicano a tutti un percorso di opposizione ad un quadro normativo che, passo dopo passo, getta il basto sulle schiene di tutti.
Le leggi sull’immigrazione sono parte del mosaico normativo che incastra le vite dei lavoratori immigrati e, in prospettiva in rapido avvicinamento, dei lavoratori italiani, non di rado incapaci di cogliere il nesso tra leggi contro la clandestinità e riduzione di salari e tutele per tutti.
Le leggi sul lavoro sono lo specchio dei rapporti di forza tra capitale e lavoro, la cui bilancia pende a favore dei padroni. Per invertire questa tendenza servono robuste spallate. Spallate tanto più efficaci quanto più si sapranno costruire percorsi di lotta comune tra lavoratori immigrati e italiani.
I ragazzi della gru, Rachid, Sajad, Jimi e Arun hanno lanciato un segnale forte di lotta e solidarietà. Le prime parole di Arun, sceso tra gli applausi degli antirazzisti sotto la gru, sono state per gli egiziani deportati quello stesso giorno: “non abbiamo fatto nulla per loro, abbiamo fallito”. Dignità e forza nelle parole di un uomo rimasto sospeso a 30 metri per 17 giorni, mentre l’assedio si stringeva, sotto la pioggia, al freddo, per 48 ore senza cibo né acqua.
Si tratta di riannodare i tasselli della questione sociale, mettendo insieme le lotte per il salario con quelle per la casa, la scuola, i servizi. Ma non solo.
Se rompiamo l’isolamento dei lavoratori immigrati e di quelli più sfruttati, gli irregolari, possiamo cominciare a spezzare la rete di oppressione che lega tutta la società. Costruire solidarietà a partire da loro significa rovesciare la piramide dello sfruttamento ed abbattere i muri che altri hanno alzato tra di noi per imprigionarci e meglio sorvegliarci.
I nostri nemici siedono nei banchi del governo, nei consigli di amministrazione di banche e aziende.
È tempo di mettere insieme le resistenze, di passare all’offensiva, di spezzare il cerchio di un’organizzazione sociale basata sull’oppressione e lo sfruttamento.
La barricata è per tutti la stessa.

per info e contatti: torino fai_to@inrete.it