Effetto Versailles
Vittoria Menga - 19-04-2009
Ho spiegato di recente la storia dell'assolutismo nella Francia del '600 e le strategie messe in atto da Luigi XIV per accentrare tutto il potere nelle sue mani. Tra queste strategie, famosissima e originale rimane quella di far trasferire la nobiltà a Versailles, nella grande reggia opportunamente realizzata per ospitare una grande corte. L'intento di sradicare la nobiltà dai territori che possedeva da generazioni e portarla a corte, dove, indifesa e indebolita, sarebbe stata più controllabile e facilmente risucchiata dai meccanismi di fidelizzazione, si concretizza in un gigantesco sistema di rituali, convenzioni, gerarchizzazioni, concessione di privilegi o emarginazione e penalizzazione di quanti non si conformano alla volontà del re. Tutti, nel bene o nel male, dipendono dai desideri del re. Interessante notare come la costruzione di questa "dipendenza" e di una sostanziale sottrazione di libertà venga presentata dal re e vissuta dai nobili come un grande "privilegio". Il pensiero corre al presente e il parallelo che si può stabilire è tra quella dipendenza, datata storicamente, e quella che, mutatis mutandis, il sistema-mercato ha costruito nella società attuale e che ci vede tutti consumatori-dipendenti, privati della possibilità di scegliere liberamente, fortemente orientati al conformismo e convinti tuttavia di essere dei privilegiati (rispetto agli esclusi) in quanto ammessi a partecipare al grande banchetto del consumo. Un altro parallelo è possibile tra la situazione della corte di Versailles e quella dei consumatori di oggi. I nobili a corte vivevano separati dal mondo reale, come in una bolla di sapone, tutti presi dalle beghe quotidiane, dal gossip di corte, dalle piccole e grandi gelosie, invidie, competizioni e, soprattutto, dal "grande" problema di vincere la noia (vedi "Il mattino del giovin signore" di Parini). Anche oggi la società dell'Occidente capitalistico dà l'idea di una grande Versailles, dove ognuno, chiuso nel suo ristretto ambito individuale, tutto preso dalle beghe quotidiane e da un sistema che impone a tutti ritmi accelerati, pena l'emarginazione, perde i contatti con la realtà complessa della società e con le grandi sfide epocali, da quella dell'ambiente a quella della crisi economica, a quella dell'iniqua distribuzione delle ricchezze e dei poteri. Oltre che consumatori, noi tutti siamo anche consumati e anche il nostro tenpo si consuma insieme a noi, ma non affrontare i problemi che urgono non ci servirà. Nel 1789 la bolla di sapone costruita a Versailles fu dissolta da un grande botto, la rivoluzione francese. La separatezza costruita oggi tra un pubblico anestetizzato dai media e dai modelli consumistici, che manifesta indifferenza e disinteresse sia a livello culturale che a livello politico, e una realtà globalizzata che preme con urgenze non ulteriormente derogabili, preluderà ad un nuovo botto, modello '89? La domanda è legittima e i segnali di paralisi emotiva, mancanza di empatia e spaesamento sono particolarmente evidenti nella fasce più giovani della popolazione. Ma non mancano profeti di speranza. Lo psicanalista Adam Phillips e la storica Barbara Taylor hanno pubblicato in Inghilterra "On Kindness", che sembra una risposta alla crisi attuale: basta con i soldi, la carriera, lo stress, la competizione. Secondo gli autori, dalla crisi ne usciremo trasformati. Ci sarà una svolta. In tempi di penuria si ritornerà a bussare al vicino di casa per chiedergli un po' di zucchero o un po' di olio. E così si riscoprirà il valore della condivisione, della gentilezza, della collaborazione. Non ci resta che sperare!

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