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Eresia d'amore
Adista Contesti - 30-05-2007
Il missionario canadese Claude Lacaille scrive al papa: sulla teologia della liberazione sei tu a non aver capito nulla.

Ti scrivo questa lettera perché ho bisogno di comunicare con il pastore della Chiesa cattolica e perché non esiste nessun canale di comunicazione per raggiungerti. Mi rivolgo a te come ad un fratello nella fede e nel sacerdozio, perché abbiamo ricevuto la missione comune di annunciare il Vangelo di Gesù a tutte le nazioni. Sono prete missionario del Québec da 45 anni; mi sono impegnato con entusiasmo al servizio del Signore all'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Sono stato condotto a lavorare negli ambienti particolarmente poveri: nel quartiere Bolosse, a Port-au-Prince, ad Haiti, sotto François Duvalier, poi tra i Quichuas in Ecuador e infine in un quartiere operaio di Santiago del Cile durante la dittatura di Pinochet. Nel leggere il Vangelo di Gesù durante i miei studi superiori, sono stato colpito dalla folla dei poveri e dei feriti dalla vita di cui Gesù si circondava, mentre i numerosi preti che ci accompagnavano in questo collegio cattolico non ci parlavano che della morale sessuale. Io avevo 15 anni.

La teologia della liberazione, un mix errato di fede e politica?
Nell'aereo che ti portava in Brasile, tu hai ancora una volta condannato la teologia della liberazione come un falso millenarismo e una mescolanza erronea di Chiesa e politica. Sono stato profondamente scioccato e ferito dalle tue parole. Avevo già letto e riletto le due istruzioni (Libertatis Nuntius e Libertatis Conscientia n.d.r.) che l'ex cardinale Ratzinger aveva pubblicato sul tema. Vi si descrive uno spauracchio che non corrisponde per nulla al mio vissuto e alle mie convinzioni. Non ho avuto bisogno di leggere Karl Marx per scoprire l'opzione per i poveri. La teologia della liberazione non è una dottrina, una teoria; è un modo di vivere il Vangelo nella vicinanza e nella solidarietà con le persone escluse, impoverite. È indecente condannare così pubblicamente credenti che hanno dato la loro vita: e siamo in decine di migliaia tra laici, religiosi, religiose, preti venuti da tutte le parti ad aver intrapreso lo stesso cammino. Essere discepoli di Gesù significa imitarlo, seguirlo, agire come lui ha agito. Non capisco questo accanimento e questo assillo nei nostri confronti. Appena prima del tuo viaggio in Brasile, hai ammonito padre Jon Sobrino, teologo impegnato e devoto, compagno dei gesuiti martiri di El Salvador e di monsignor Romero. Quest'uomo di 70 anni ha servito con coraggio e umiltà la Chiesa dell'America Latina con il suo insegnamento. È un'eresia presentare Gesù come un uomo e trarne le conseguenze? Ho vissuto la dittatura di Pinochet in Cile in una Chiesa coraggiosamente guidata da un pastore eccezionale, il cardinale Raul Silva Henriquez. Sotto il suo governo, abbiamo accompagnato un popolo spaventato, terrorizzato da militari fascisti cattolici che pretendevano di difendere la civiltà cristiana occidentale torturando, sequestrando, facendo scomparire e assassinando. Ho vissuto questi anni in un quartiere popolare particolarmente toccato dalla repressione, la Bandera. Sì, ho nascosto delle persone, sì, ne ho aiutate a fuggire dal Paese, sì, ho aiutato le persone a salvare la pelle, sì, ho partecipato a scioperi della fame' Ho anche dedicato questi anni a leggere la Bibbia con la gente dei quartieri popolari: centinaia di persone hanno scoperto la Parola di Dio e questo ha permesso loro di affrontare l'oppressione con fede e coraggio, convinti che Dio li accompagnasse. Ho organizzato mense popolari e atelier artigianali per permettere a ex detenuti politici di ritrovare il loro posto nella società. Ho raccolto i corpi assassinati all'obitorio e ho dato loro una sepoltura degna di un essere umano. Ho promosso e difeso i diritti della persona rischiando la mia integrità fisica e la mia vita. Sì, la maggior parte delle vittime della dittatura era marxista e noi ci siamo fatti vicini perché essi ed esse erano nostri simili. E abbiamo cantato e sperato insieme la fine di questa ignominia. Abbiamo sognato insieme la libertà. Che avresti fatto al mio posto? Per quale di questi peccati mi vuoi condannare, fratello Benedetto? Che cos'è che ti indispone a tal punto nella mia prassi? È così lontano da ciò che Gesù avrebbe fatto nelle stesse circostanze? Come pensi che io mi senta nel momento in cui ascolto le tue ripetute condanne? Arrivo come te alla fine del mio servizio ministeriale e mi aspetterei di essere trattato con maggiore rispetto ed affetto da parte di un pastore. Ma tu mi dici: "Tu non hai capito nulla del Vangelo. Tutto questo è marxismo. Tu sei un ingenuo". Non vi è in questo molta arroganza? Rientro dal Cile dove ho rivisto i miei amici del quartiere dopo 25 anni; erano in 70 ad accogliermi a gennaio. Mi hanno accolto fraternamente dicendomi: "Hai vissuto con noi, come noi, tu ci hai accompagnati durante gli anni peggiori della nostra storia. Tu sei stato solidale e ci hai amati. Ecco perché ti vogliamo così bene!". E questi stessi lavoratori e lavoratrici mi dicevano: "Siamo stati abbandonati dalla nostra Chiesa. I preti sono tornati nei loro templi; non condividono più con noi, non vivono più tra noi". In Brasile, è la stessa realtà: per 25 anni, si è sostituito un episcopato impegnato con i contadini senza terra, con i poveri delle favelas delle grandi città, con dei vescovi conservatori che hanno combattuto e rifiutato le migliaia di comunità di base, in cui la fede si era vissuta a livello di vita concreta. Tutto ciò ha provocato un immenso vuoto che le Chiese evangeliche e pentecostali hanno colmato: sono restate in mezzo alla gente e i cattolici passano a queste comunità a centinaia di migliaia. Caro Benedetto, ti supplico di cambiare il tuo sguardo sulla realtà. Non hai l'esclusiva del Soffio divino; tutta la comunità ecclesiale è animata dallo Spirito di Gesù.

Ti prego, ritira le tue condanne; sarai presto giudicato dall'Unico che può collocarci a destra o a sinistra e tu sai quanto me che saremo giudicati sull'amore.

P. Claude Lacaille
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 Laura Tussi    - 30-05-2007
IL DIALOGO ECUMENICO.
VOCABOLARIO MINIMO DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO.
Per un’educazione all’incontro tra le fedi.

Il dialogo è il presupposto comunicativo tra esseri umani, una modalità relazionale e trasmissiva di contenuti, nozioni e semplici messaggi, come espressione di idee, di valori ed anche sentimenti, emozioni e stati d’animo. Il dialogo diventa però opera di cammino comunitario, di percorso ecumenico, quale intento volutamente costruttivo, quando implica atteggiamenti di accoglienza, nel confronto, nell’interscambio proficuo di identità diverse, in relazioni dialogiche di dinamicità dialettica, nel contenere in sé la diversità di cui l’altro si fa portatore. Accogliere, ma anche tollerare e (perché no?) anche sopportare l’entità altra, la differenza altrui, quale vessillo e memoria che l’”altrui” identità ha effigiata ed impressa nel suo essere “altro” da noi.
Il dialogo, il confronto, l’interscambio, la condivisione, oltre che a costituire nobili intenti etici, di corretto vivere comunitario, implicano il rapporto con la diversità, nel tollerarla, assimilarla, riconoscerla ed accettarla, farla propria, pur mantenendo le distinte identità degli interlocutori, i caratteri imprescindibili di ogni cultura, di ogni credo, di ogni ideale politico, nel confronto dialettico tra memorie, storie di vita, narrazioni di esperienze, individuali e collettive, dove le ideologie, le fedi, le culture hanno aperto un solco, lasciato un’impronta, depositato un seme da cui germogliano prolifiche idee, innovativi contenuti, fecondi valori.
La dinamicità dialettica del confronto sottintende atteggiamenti di umiltà, a scanso di equivoci di prepotenza o di imposizione sull’altro, e implica la deposizione, disposta all’ascolto, della propria precipuità e recondita ipocrisia individualistica, alimentando propositi costruttivi rispetto al rapporto con le alterità.
L’autore considera un’auspicabile “pedagogia del dialogo”, necessaria e di augurabile attuazione in una società multiculturale, multietnica, multiconfessionale. Il cammino di confronto tra le grandi religioni sfocia e progredisce nella concezione ecumenica del concetto di fede: una grande comunità interconfessionale, il mondo intero, in cui si confrontano e coesistono le differenti culture, i credi, i rituali, le cerimonie, per cui dietro a questi aspetti fenomenologici della pratica di culto, sussiste un’unica e imprescindibile entità creatrice del cosmos, un unico Padre, grande e globale, universale punto di riferimento per l’umanità tutta. Questo concetto di matrice prettamente rinascimentale -sviluppato da Pico Della Mirandola e Cusano- e illuministico (Montaigne ed altri) dovrebbe abolire per sempre lo spettro delle lotte interconfessionali e le guerre civili e fratricide, combattute in nome di un simbolo conteso o di uno specifico credo, quale vessillo prepotente e prevaricatore di un’identità su un’altra. Oltre alla pedagogia del dialogo, necessita un’educazione all’interiorità , alla memoria, non solo collettiva, ma anche individuale, un ripensarsi come soggetti portatori di fede e di fedi e di credi, mettendosi in discussione, rivedendo la propria storia di vita, ricostruendo le tappe di formazione dei percorsi del proprio sé e della costituzione delle nostre idee e della nostra identità in base alle relazioni con gli altri da noi. Solo recuperando una dialettica dell’interiorità, potremo ripartecipare la nostra identità precipua e solida e costruita con fatica dialettica e più consapevole, insieme all’altro da noi.
E’ necessario un primo ripiegamento su se stessi, un ritornare a ripensarsi, un conoscersi di stampo socratico, per far fronte alle avvincenti seduzioni delle logiche del pensiero unico, portatore di schiaccianti mitomanie dell’effimero, con gli esproprianti dettami del mercato e del consumismo capitalista, in metropoli deturpate ed esacerbate da un erroneo progresso. Proprio qui, al centro del mondo industrializzato, dovrebbero risorgere le piazze, le agorà, per incontrarsi tutti, insieme, cattolici, islamici, ebrei ed altri…e costruire il futuro in un pluriverso di idee, culture e fedi, a confronto, nel microcosmo ecumenico dell’agorà e nel macrocosmo del mondo intero, dell’universalità.