Gaetano Arfè - 03-02-2007
Gaetano Arfè non è solo un grande storico, ma anche una delle più lucide e coerenti intelligenze critiche dell'Italia del secondo dopoguerra. Quella che segue è la presentazione da lui scritta per un saggio di Paolo Bagnoli intitolato "La transizione incompiuta", ancora in corso di stampa. Fuoriregistro lo ringrazia per averne consentito la pubblicazione prima che il libro uscisse. Essa costituisce la testimonianza preziosa di un protagonista di sessant'anni della nostra vita culturale e politica, offre mille spunti di riflessione e mette di fronte alle proprie responsabilità la classe dirigente della cosiddetta "Seconda repubblica".
La Redazione
La Transizione incompiuta
Caro Paolo,
mi consentirai di dare alla mia presentazione delle tue pagine la forma inconsueta di una lettera.
La ragione c'è: si tratta di eventi amaramente sofferti, di una sofferenza che dura e che mi angoscia e sulla quale mi è difficile ragionare con la pacatezza che anche il giudizio politico esige e che ho sempre cercato di tenere a regola anche nella polemica quotidiana nei lunghi anni in cui ho diretto l'Avanti!
Non ho difficoltà ad ammettere che quando guardo al quindicennio passato e al presente del quale soffriamo, gli accenti che prepotentemente emergono sono quelli dell'invettiva.
Il titolo dei tuoi scritti è pacato: "la transizione incompiuta". Lo è meno il testo dove l'indignazione in più parti traspare e te ne faccio lode. Molta acqua è passata sotto i ponti da quando si constatò e si proclamò la crisi della nostra repubblica e si pose con grandi e stridenti clamori il problema della transizione a una fase nuova. Quali fossero i nodi tu lo ricordi con grande lucidità ma nessuno di quei nodi è stato sciolto e come il processo sia destinato a chiudersi è ancora nella più fitta nebbia, è impossibile non soltanto intuirne gli sbocchi ma neanche identificarne le tendenziali linee di sviluppo. E questo vale per me che porto sulle spalle l'esperienza intensamente e continuativamente vissuta di oltre un sessantennio, ma vale per gli stessi conduttori della manovra che si muovono - ti rubo l'aggettivo - con determinazione tutta opaca, ignorando i condizionamenti che provengono dalla storia e dai giochi di una dialettica politica aggrovigliata, convulsa, senza regole.
Il merito del tuo lavoro sta nell'avere analizzato, senza enfasi ma senza reticenze questa situazione e il merito è il frutto di un metodo quello di avere scelto gli strumenti della critica politica quale la praticarono i nostri padri alle estemporaneità della politologia che oggi si fregia del titolo di scienza della politica.
La Redazione
La Transizione incompiuta
Caro Paolo,
mi consentirai di dare alla mia presentazione delle tue pagine la forma inconsueta di una lettera.
La ragione c'è: si tratta di eventi amaramente sofferti, di una sofferenza che dura e che mi angoscia e sulla quale mi è difficile ragionare con la pacatezza che anche il giudizio politico esige e che ho sempre cercato di tenere a regola anche nella polemica quotidiana nei lunghi anni in cui ho diretto l'Avanti!
Non ho difficoltà ad ammettere che quando guardo al quindicennio passato e al presente del quale soffriamo, gli accenti che prepotentemente emergono sono quelli dell'invettiva.
Il titolo dei tuoi scritti è pacato: "la transizione incompiuta". Lo è meno il testo dove l'indignazione in più parti traspare e te ne faccio lode. Molta acqua è passata sotto i ponti da quando si constatò e si proclamò la crisi della nostra repubblica e si pose con grandi e stridenti clamori il problema della transizione a una fase nuova. Quali fossero i nodi tu lo ricordi con grande lucidità ma nessuno di quei nodi è stato sciolto e come il processo sia destinato a chiudersi è ancora nella più fitta nebbia, è impossibile non soltanto intuirne gli sbocchi ma neanche identificarne le tendenziali linee di sviluppo. E questo vale per me che porto sulle spalle l'esperienza intensamente e continuativamente vissuta di oltre un sessantennio, ma vale per gli stessi conduttori della manovra che si muovono - ti rubo l'aggettivo - con determinazione tutta opaca, ignorando i condizionamenti che provengono dalla storia e dai giochi di una dialettica politica aggrovigliata, convulsa, senza regole.
Il merito del tuo lavoro sta nell'avere analizzato, senza enfasi ma senza reticenze questa situazione e il merito è il frutto di un metodo quello di avere scelto gli strumenti della critica politica quale la praticarono i nostri padri alle estemporaneità della politologia che oggi si fregia del titolo di scienza della politica.