Il congresso del 1892
Grazia Perrone - 07-11-2006
Dallo Speciale Il tempo e la storia


Il 14 agosto 1892 si apre alla sala Sivori di Genova l'ultimo congresso del Partito Operaio Italiano, destinato a diventare il Congresso costitutivo del Partito dei Lavoratori Italiani: più noto come ... Partito Socialista Italiano.

Di questo famoso e storico congresso - dal quale la delegazione anarchica guidata da Pietro Gori e Amilcare Cipriani fu espulsa con la forza - non mi interessa, qui, rifare la storia nelle sue particolarità, ma solamente riassumere, sinteticamente, i termini teorici, storici e ideologici che separarono, definitivamente, i marxisti dagli anarchici. Essi si riferivano - come ho già riferito in altre occasioni - alla diversa concezione teorica fra marxismo ed anarchismo ed in particolare alla diversa concezione su come impostare la lotta sociale in Italia.

Nel nostro Paese il movimento socialista e operaio era stato fino quel momento un insieme composito ed eterogeneo di istanze e tendenze diverse e disparatissime che Pier Carlo Masini definisce (...)"un combinato di organizzazione economica e di associazione politica (...) senza un organo di stampa, un'efficiente struttura permanente esterna atta a collegare circoli e sezioni locali e, soprattutto senza un'anima di "partito" tesa all'espansione e alla conquista (...)" del potere .... aggiungo io. [1]

In questo contesto occorreva, secondo i "socialisti scientifici", dare ordine e strategia unitaria per razionalizzare le forze e dare un unico fine al movimento: il che comportava la scelta definitiva e storica per la via gradualista, riformista, parlamentare, legalitaria e "politica" (intesa come lotta per la conquista del potere politico).

Era questa una via già "battuta" dal movimento operaio e socialista tedesco (influenzato da Engels), che si sforzava di applicare, pedissequamente, la dottrina marxista. Sotto l'influenza e l'entusiasmo per alcuni successi elettorali, i socialdemocratici tedeschi erano convinti di arrivare al socialismo utilizzando la via elettorale. Questo entusiasmo e convinzione - dopo l'esito positivo della candidatura "protesta" di Andrea Costa - contagiò definitivamente i socialisti italiani: soprattutto il gruppo milanese guidato da Filippo Turati e da Anna Kuliscioff e "influenzato"- attraverso il Turati - da Antonio Labriola [2].

Questo cambio di strategia si sostanziò in una specie di "rivoluzione copernicana" nelle modalità di azione del movimento di emancipazione sociale dei lavoratori poiché - escludendo aprioristicamente le masse contadine (e il Sud del Paese) - metteva al primo posto(considerandolo ... "all'avanguardia") la lotta condotta dal proletariato operaio urbano (subordinando, quindi, tutti gli altri strati sociali sfruttati all'azione di questo) e si riassumeva nella formula del "partito piccolo"[3].

A questa, classica, concezione marxista (che si ripeterà anche in Spagna nel 1936) si univa una visione particolare della situazione italiana di allora, che vedeva il proletariato meridionale in posizione, oggettivamente, assai arretrata e frenante. Vale a dire si considerava utopistico, illogico ed avventuristico fondare una lotta che partisse da quelle precise condizioni economiche e geografiche. Per i socialisti italiani, dunque, l'emancipazione del Mezzogiorno d'Italia passava in modo obbligato attraverso l'emancipazione prioritaria del proletariato operaio urbano, l'unico in grado di conquistare il potere.

Questa scelta strategica di fondo, che - a parer mio - è stata una delle cause principali di tutte le sconfitte del movimento operaio italiano, lasciava aperto un altro grosso problema che consisteva nella incapacità di rendere omogenee le forze che si riconoscevano in questo programma.

Ad ogni buon conto con l'espulsione degli anarchici il congresso di Genova si illuse di aver liquidato la corrente operaista (che, oggi, definirei, "movimentista"), mentre essa continuerà ad esistere fino alla metà degli anni venti [4]. Questa errata convinzione, infatti, subirà in seguito continue smentite storiche: alcune brucianti. Agli "operaisti" faranno seguito i sindacalisti rivoluzionari, ad essi i "massimalisti", poi nel 1921 i comunisti, sul finire degli anni '60, infine, gli extra-parlamentari. Per non parlare, poi, delle scissioni dal 1945 e che, a tutt'oggi, ci "consegna" (per restare solo ai gruppi rappresentati in Parlamento) due partiti socialisti e tre partiti che si rifanno - più o meno esplicitamente - al Partito comunista.

L'antica accusa fatta dal Malatesta di dividere e disorientare le masse, si ritorcerà tutta intera sulle spalle dei socialisti legalitari e dei, futuri, comunisti. Egli aveva previsto già da allora molti di questi futuri errori, ma al di là delle dispute dottrinarie, la preoccupazione maggiore che assillava i libertari era dovuta alla convinzione, purtroppo confermata dalla prassi e dalla Storia, che la struttura organizzativa che i marxisti chiamavano "partito", avrebbe subito, nel corso dello sviluppo storico, una metamorfosi decisiva: in pejus.

Il "partito", allora considerato un mezzo, o meglio, il mezzo privilegiato per la conquista del potere, sarebbe diventato un fine poiché in virtù della sua struttura piramidale e gerarchica esso avrebbe permesso la formazione di una nuova classe dominante e sfruttatrice che si sarebbe sostituita alla precedente.

Ecco quello che scriveva con straordinaria lucidità e chiarezza, qualche mese prima del congresso di Genova dal quale sarebbe stato escluso, Pietro Gori "(...) e contro gli anarchici si trovano pur coalizzati nei momenti supremi tutti gli altri partiti sedicenti popolari, democratici, repubblicani, e socialisti legalitari. Bando dunque agli equivoci! E sappiano i lavoratori che i socialisti-anarchici nulla hanno di comune con tutte coteste fazioni, soggette alla volontà ed ai capricci degli avidi di potere e di dominazione in cui l'osservatore sereno sa fin d'ora discernere le stoffe di altrettanti futuri nemici. Di questi ultimi, ora, bisogna che parliamo. Vogliamo dirvi di cotesta gente insidiosa e più pericolosa dei vostri stessi nemici, i ricchi e i potenti, vogliamo mettervi in guardia contro quanti si servono di voi per le loro mire ambiziose di potere. Qualcuno si è lasciato nominare deputato con la speranza di giovare anche dal parlamento alla causa del proletariato. E forse anche per avvicinarsi a quella mostruosità che si chiama socialismo di stato. Ma essi hanno dimenticato che l'ambiente finisce sempre per corrompere chi ci vive dentro. È lontano il tempo in cui Andrea Costa dichiarava di accettare la candidatura politica come semplice protesta, e poi diceva di andare in parlamento solo per gridare tutti i giorni la sfida del socialismo contro la borghesia! Oggi Andrea Costa è divenuto un socialista legalitario tale, che se nel 1874 gli avessero predetto che sarebbe giunto a tal punto, egli avrebbe considerato tale previsione come il più offensivo degli insulti.... Detto questo, o lavoratori, torno a ribattere ciò che forma il leite-motive della conferenza di questa sera. Occorre che nella battaglia nostra non sorgano altre autorità, che un giorno o l'altro possano sostituirsi alle antiche. È anche per questo che noi combattiamo il socialismo legalitario, per l'organizzazione autoritaria assunta dal partito che lo rappresenta" [5].

Il partito politico del proletariato era dunque - per coloro che decisero di denominarsi, semplicemente, anarchici, - uno strumento pericolosissimo e di intralcio per una vera unità degli sfruttati. La scissione di Genova, inoltre, sanciva - in modo ufficiale ed inequivocabile - la separazione della lotta politica dalla lotta economica: quest'ultima, infatti, doveva servire "come leva" per far avanzare il partito sulla via del potere [6].

E cosa promettessero, allora, i socialisti parlamentari e legalitari agli sfruttati, una volta giunti al potere, è cosa nota a tutti.


NOTE:

[1] cfr. Pier Carlo Masini - Storia degli anarchici italiani - Vol. II Rizzoli Editore - Milano 1981

[2] cfr. G. Manacorda, Il movimento operaio italiano attraverso i suoi congressi, Roma 1963, Ed. Riuniti, pagg. 345-346.

[3] Questa denominazione che stava ad indicare la concezione marxista del partito, fu data da Turati in un suo articolo su l'Avanti. La concezione marxista del partito sarà, successivamente, modificata da Lenin (avanguardia rivoluzionaria) e "adattata" alla situazione russa del decennio 1905/1917. Per quanto attiene la definizione turatiana confronta L. Cortesi - "La costituzione del partito socialista italiano" - Milano 1962, pagg. 152-153.

[4] cfr. L. Briguglio, Congressi socialisti e tradizione operaista, Tipografia Antoniana, Padova, 1972.

[5] Discorso tenuto a Milano al Consolato Operaio il 4 aprile 1892. Riportato nelle Opere complete Vol. X pag. II, Ed. La Sociale, La Spezia 1912.

[6] Vedi anche la divisione "formale" (o delle "due gambe") dei due punti distinti formulati nel programma politico approvato a Genova il 1892. Negli anni successivi questa teoria si sviluppò ulteriormente (ad opera, soprattutto, dei marxisti di "scuola" staliniana) e fu riassunta nella formula del sindacato come cinghia di trasmissione del partito.


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