La radice del malessere
Gianni Mereghetti - 28-05-2002

Ho letto l’articolo di Gaspare Barbiellini Amidei sul malessere dei docenti e mi sono lasciato interrogare dalle sue riflessioni. Non ho un’analisi per confermare o per criticare quella di Barbiellini Amidei, la mia è solo un’esperienza, quella di un insegnante che tenta indegnamente di farlo nella bassa milanese. Sì, ci sarà un malessere dei docenti, e sarà pure quello di trovarsi davanti ad una generazione informatizzata o di non riuscire a tenere la disciplina, però io non lo percepisco, né rappresenta la questione seria del mio entrare in classe ogni mattina. Tanto più che se partissi da un malessere, poveretto me e poveretti i miei studenti! Con questo non nego i limiti del mio insegnare oggi, limiti che non sono di tipo informatici, ma sono più profondi e si insediano nella sproporzione tra ciò che insegno e lo sguardo di tutti quelli a cui insegno. Questo è il mio dramma, non un malessere, ma l’evidenza che tra ciò che detta il mio lavoro e i miei studenti, uno per uno, vi sta la libertà, la mia, la loro! Questa drammaticità, che fa dell’insegnamento una vertigine, ne rappresenta il fascino, e guai se ci fosse una tecnica, anche informatica, dentro cui colmare questa sproporzione, senza la quale il far scuola diventerebbe la scontatezza di regole che si ripetono. Per questo mi permetto timidamente obiettare all’idea di restituire alle aule una gioventù in sintonia con i suoi professori. Forse la questione è invece quello che i professori devono spendere di loro stessi per rivolgersi ancora alla libertà dei loro studenti. Tanto più che ogni mattina, quand’anche avessi fatto tutto bene, e in duecento giorni di scuola non è mai capitato!, ciò che mi angustia è quando non vedo in azione la libertà di ognuno degli studenti che ho davanti. Senza libertà del resto non c’è conoscenza, tanto meno criticità! Ma perché essa sia in gioco, il primo ad essere chiamato in causa sono io. Così in questo anno che si sta concludendo e in cui si fanno i primi bilanci, se c’è una cosa che debbo dire è chiedere perdono ai miei studenti per tutte le volte che sono entrato in classe lasciando fuori dalla porta la mia povera, fragile, incompiuta libertà!

Gianni Mereghetti
Abbiategrasso
26/5/2002
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 Giancarlo M.    - 03-06-2002
Mi ritrovo nella vicenda della libertà che si deve mettere in campo sia da parte mia che da parte dei miei studenti.
Una cosa che ho imparato un po' di più quest'anno è stato l'apprezzare anche il singolo cambiamento, l'attenzione o lo stupore di uno solo dei miei ragazzi; altrimenti lo sguardo d'insieme (che pur è da avere) rischia di soffermarsi sul negativo, sulla libertà che non si è mossa.
Un'altra cosa è che il cambiamento non coincide automaticamente con un maggiore impegno o in migliori risultati. Ho visto quest'anno ragazzi che mi hanno chiesto scusa per non aver studiato (in situazioni non sospette) come se non fosse in gioco il loro voto o la materia, ma il rapporto con me.
Educare l'ho sempre inteso prima di tutto come rapporto e compagnia alla persona.
Non male per me accorgermi della gratitudine di alcuni genitori per il pezzetto di strada portata insieme.
Il malessere è spesso non saper dove andare e con chi.
Il resto è proprio l'avventura della libertà.
Grazie Gianni