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E Pasolini diventò pisolini
Repubblica - 29-10-2005
lapsus e giochi di parole

Le incomprensioni fra Fidel e il Che sono un argomento amarissimo, tranne una. Conquistata l´Avana, bisognava assegnare gli incarichi di governo. In una sbrigativa riunione di quei guerriglieri esausti e incompetenti, Fidel chiese: «Chi di voi è economista?», Che Guevara alzò la mano, e fu nominato presidente della Banca Centrale di Cuba. Solo che lui aveva capito male. Aveva capito: «Chi di voi è comunista?» (L´ha raccontata Enrico Deaglio: se non è vera, è benissimo trovata). Dei lapsus acustici, il più sensato è quello, prediletto da Baricco, «L´amore è un dardo». Non è facile rassegnarsi ai versi autentici di Cammarano: «Ah! l´amor, l´amore ond´ardo, le favelli in mio favor!»...
Qui nella bella biblioteca ho letto un Avviso al pubblico: «Prima di entrare nei corridoi e di prelevare testi per la consultazione, assicurarsi che non ci siano libri o fermalibri in biblico». Ingegnoso errore, che induce a speculare sull´inconscia invadenza religiosa di chi ha compilato il cartello. È più ragionevole pensare che il nome greco dei libri, che dà origine al composto biblioteca, si sia insinuato - gioco facile, bastava farci scivolare dentro una b - nel bilico. Anche il famoso errore di Silvio Berlusconi, Romolo e Remolo, può essere spiegato in modi piani: l´ottimismo di B., l´amore per la simmetria, il ricordo dei sette nani, o almeno dei cinque sdruccioli (Gongolo, Brontolo, Mammolo, Pisolo, Cucciolo - dunque Remolo)... Chi non si contenti, smaschererà un´aspirazione fratricida di B., la connetterà al carattere fratricida della storia italiana, eccetera. Si può anche sospettare che B. non sapesse che il fratello ammazzato si chiamasse soltanto Remo, così come non seppe che il padre dei fratelli Cervi era morto, e voleva andare a fargli visita. Al giovane Lapo Elkann (tanti auguri!) era successo, a quanto pare, il contrario: che, per deplorare il duo Moggi-Giraudo, li dichiarò "come Caino e Babele". Lapsus che rimuoveva il fratricidio, in cambio di un gran casino.

La televisione patrocina gli errori, le gaffe, i lapsus. Qualcuno ne ha fatto un mestiere. Il lapsus più innocente è l´inversione di ciò che si intende dire. Il ministro dell´Udc Baccini ha detto a La7 che il suo partito era ben deciso a far vincere Prodi. Voleva dire far perdere: naturalmente il conduttore rimandò il lapsus con una malizia freudiana, visto che l´Udc era accusata di fare da quinta colonna al centrosinistra. Spopolò a suo tempo il qui pro quo di Antonella Clerici che, spiegando in un programma sportivo la sua passione per il calcio, disse: «Io non posso vivere senza il cazzo». Gran successo di lei e di Freud, blob eccetera: si sospettò perfino che l´avesse premeditata.

Un furore speciale provocano gli errori madornali e cocciuti del computer. Il mio, prima che riuscissi a impedirgli di eseguire la sua dannata correzione automatica, non voleva saperne di scrivere Pasolini, e lo trasformava ogni volta in Pisolini. Ho perso definitivamente la pazienza quando ho scritto Corneille, e lui ha corretto Corbeille. Di recente la correzione automatica mi ha giocato uno scherzo singolare su Panorama. Era una conversazione fra me e Carlo Ginzburg, e avevo preposto alle mie frasi l´iniziale appuntata S., e a quelle di Carlo la G. Curandone la messa in pagina, il redattore ha sciolto le iniziali nei cognomi interi, ordinando di sostituire S. con Sofri. Solo che in un altro paio di occasioni c´era una s seguita dal punto - era la consonante finale del nome Borges. Così, per due volte, è venuto fuori un Borgesofri, lusinghiero per me, e che forse non sarebbe dispiaciuto a quel grande, che amava i centauri. Per giunta nella stessa conversazione, a me che gli chiedevo se per Italo Calvino avesse contato più l´amore per Ariosto o per Stevenson, Ginzburg aveva risposto scherzosamente "Ariostevenson", volendo dire che avevano contato tanto tutti e due. Il lettore, che si era già trovato davanti due Borgesofri, avrà preso quell´ibrido per un altro stravagante errore della correzione automatica.

Ci sono situazioni in cui un errore meccanico e del tutto innocente la combina così grossa che chi ne è colpito non ammetterà mai che non si trattasse di un agguato deliberato. Tanti anni fa il giornale Lotta Continua venne in possesso dei verbali di un militante "pentito" di Prima Linea, e li pubblicò integralmente. Però dai verbali era stata omessa una pagina, da parte di chi li aveva passati al giornale. Il curatore della pubblicazione segnalò la mancanza con la frase corsiva: "A questo punto del verbale manca un foglio". Solo che il bravo linotipista (si componeva ancora in piombo: lui si chiamava Giovanni) fece il suo banale errore, sicché sul giornale comparve la seguente frase: "A questo punto del verbale manca un figlio". Il fatto era che la pagina mancante conteneva il nome di Marco Donat Cattin: sul cui caso, come i più anziani ricordano, si scatenò una tempesta, e Francesco Cossiga fu accusato di aver voluto coprirlo per connivenza con il padre, Carlo Donat Cattin, ministro e suo compagno di partito e amico. Nessuna spiegazione valse a convincere dell´assenza di dolo di quel foglio-figlio; e neanche questa rievocazione ci riuscirà. (E siccome piove sul bagnato, questo giornale ha pubblicato mercoledì 26 una lettera aperta di Cossiga, sotto la cui firma compare una seconda misteriosa firma: Ar Tondo. Era l´annotazione di servizio - e scherzosa: in romanesco - di chi ha messo in pagina la lettera, da pubblicare in tondo. Poi, per distrazione, è rimasta lì. Ora vaglielo a spiegare a Cossiga!)

Ci sono errori insolubili, nemmeno dalla lettura difficilior. Giorgio Manganelli segnalava la pagina di Pinocchio in cui non si sa se Collodi avesse voluto scrivere "una nottataccia d´inverno" o "una nottataccia d´inferno". Mario Lavagetto ha fatto tesoro di un magnifico errore del proto italiano, che tramutò, in una frase di Freud, "la macchia dell´errore" ne "la macchina dell´errore". (Questi due esempi sono citati nel sito Golem). Alla Scuola Normale i muri hanno orecchie. Studiosi del Laboratorio di linguistica annotano i lapsus che ascoltano in giro, e poi li catalogano. Nel 1987-88 Americo Miranda ne raccolse 500, tutti pronunciati tra le mura della Scuola, distinti in anticipazioni, ripetizioni, scambi, trasferimenti, omissioni, aggiunte, sostituzioni, incroci e punte di lingua...

Ho appena contato 25 errori in una rilettura veloce e incompleta della edizione Bollati Borighieri (2001) del libro di Sebastiano Timpanaro dedicato al Lapsus freudiano - su neanche 200 pagine. Si tratta della ristampa del testo uscito nel 1974 per la Nuova Italia, arricchito di un´introduzione di Fabio Stok. Un tal numero di errori si fa notare, nel libro che tratta più brillantemente, e in alcune parti genialmente, della questione degli errori e dei lapsus. (Il più imbizzarrito in una nota sulle distorsioni di memoria, a proposito del primo verso del sonetto di Foscolo, Non son chi fui; perì di noi gran parte, in cui si correggono gli errori qual fui, e di me, ma si tramuta il perì in però: "Non son chi fui, però di noi gran parte". Però!) Riparlo volentieri del bel libro di Timpanaro, perché un giro di librai mi ha fatto sapere che la riedizione Bollati Boringhieri ha venduto 300 (trecento!) copie. Come è stato possibile? I librai lamentano il titolo e soprattutto il sottotitolo ostico (Psicanalisi e critica testuale). E la difficoltà di collocare libro e autore in una categoria precisa, dato che non era uno psicanalista, e per giunta la sua incursione nel territorio geloso e spesso settario della psicoanalisi eccitò già alla sua prima uscita reazioni irritate, silenziose o gridate.
Timpanaro è morto esattamente cinque anni fa. È stato filologo classico e moderno, militante politico "di base" e saggista, studioso del Settecento e dell´Ottocento (di Leopardi soprattutto) e polemista contro il mitologismo freudiano. Di queste molteplici vocazioni, tenute insieme da un rigore e una coerenza straordinaria, soprattutto mi commuove la sua storia di correttore di bozze. Lavoro più umile e apparentemente insulso non si poteva immaginare. Lo si citava proverbialmente: «Non vuole la cattedra, e corregge bozze». Sebastiano correggeva bozze, e ci ragionava su, e ne faceva un´esperienza capace di ripetere quella del copista, e quella del filologo che in essa si deve immedesimare. Dopotutto, se Freud ha potuto sovrainterpretare i lapsus e indulgere alla psicologizzazione universale, è perché non ha fatto il correttore di bozze.
Il libro sul Lapsus è davvero commovente. Timpanaro ha esitato a lungo. In un carteggio con Francesco Orlando aveva scritto delle «spiegazioni grottescamente sforzate di errori di memoria che qualsiasi filologo (abituato a una certa dimestichezza con errori di copiatura e di citazione mnemonica) spiegherebbe in modo estremamente più semplice e convincente»: sostituite a "qualsiasi filologo" "qualsiasi correttore di bozze", e la frase resterà in piedi, anzi più solida. Ancora, per spiegare la curiosità per Freud e il lapsus, scriveva di esserne interessato «anche "professionalmente", come studioso di critica testuale». Sostituite "Anche professionalmente, come correttore di bozze": fila, no? Benché già nelle prime pagine del volume sul Lapsus l´esperienza della correzione delle bozze venga evocata per spiegare la facilità dei refusi, solo a pag. 82 Timpanaro si decide alla rivendicazione orgogliosa della propria doppia professione: «Estremamente più raro, come sa ogni filologo e ogni correttore di bozze, è il passaggio da una lezione più facile ad una più difficile o disusata» (sott. mia). Finalmente, a pag. 115, si legge: «Voglio citare anche qui un esempio tratto dal mio mestiere di correttore di bozze». Così, l´unico cambiamento nel sottotitolo del Lapsus freudiano che mi sentirei di suggerire, al posto di Psicanalisi e critica testuale, è quello, Psicanalisi e correzione di bozze.

Adriano Sofri
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