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È guerra sul Concilio
Repubblica - 02-07-2005
A colloquio con lo storico Giuseppe Alberigo

Le critiche astiose di monsignor Marchetto
L´"Avvenire" e "Il foglio" hanno aperto le ostilità

Il Vaticano II non creò rotture nella Chiesa: è la tesi del cardinal Ruini
Sotto accusa è l´opera edita dal Mulino di cui ora esce una sintesi


BOLOGNA

«Il cardinal Ruini m´accusa d´essere un novello Paolo Sarpi? Ma per uno storico è più un elogio che una critica. La storia del Concilio di Trento raccontata da quel frate servita ebbe un impatto culturale invidiabile». Giuseppe Alberigo ha un tono pacato, a tratti divertito, di chi in ottant´anni ne ha viste tante. Illustre storico della Chiesa, può vantare tra i suoi maestri don Giuseppe Dossetti e Delio Cantimori, personalità diversissime che pure hanno lasciato una traccia profonda. Dal primo ha ereditato l´Istituto di scienze religiose, oggi al centro d´una nuova bufera. È quella "Scuola bolognese" contro cui s´è pronunciato di recente l´Avvenire, il quotidiano dei vescovi, con l´accusa di "partigianeria" e "ideologismo". Un addebito di "intemperanze progressiste" fulmineamente sposato da Il Foglio, l´organo degli "atei ortodossi". Lui replica un po´ rassegnato: «Quarant´anni fa era di moda accusare gli avversari di subalternità ai francesi, oggi li si accusa di ideologismo: niente altro che patacche».

Di quale colpa si sarebbe macchiato il professor Alberigo? L´opera sgradita al cardinal Camillo Ruini è la monumentale Storia del Concilio Vaticano II, cinque volumi con i contributi dei maggiori specialisti a livello mondiale (uscita dal 1995 al 2001 nelle edizioni del Mulino e tradotta nelle principali lingue). Ciò che non piace al presidente della Cei è l´interpretazione di quell´evento nel segno dell´innovazione, la sottolineatura della carica dirompente rispetto alla storia precedente della Chiesa. «Una lettura poco obiettiva», ha stigmatizzato pubblicamente il cardinale. «Serve una ricostruzione in positivo che non presenti quelle assise come una cesura rispetto al passato, ma nella continuità con la tradizione». Significativa anche l´occasione di questo intervento: la presentazione del libro a firma di monsignor Agostino Marchetto - Il Concilio Ecumenico Vaticano II - concepito proprio come "contrappunto" all´opera di Alberigo. La quale sta per uscire (14 luglio) nelle edizioni del Mulino in una sintesi assai efficace (Breve storia del Concilio Vaticano II, 1959-´65).

Semplice disputa storiografica, professor Alberigo?
«Ho l´impressione che la severa critica alla mia Storia del Concilio sia stata un´occasione per formulare una "propria" visione del Concilio».

È in gioco la portata innovativa di quell´evento.
«Non sottovaluti la coincidenza tra l´inizio del pontificato di Benedetto XVI e l´imminente ricorrenza del quarantesimo anniversario della conclusione del Concilio, l´8 dicembre del '65: queste due circostanze tendono a far contatto. Molti di noi s´aspettano che il pontefice prosegua su quella strada, riprendendo l´auspicio espresso nel suo testamento da Giovanni Paolo II».

Altri invece preferiscono che papa Ratzinger segua direzioni diverse.
«Si vorrebbe annullare la "svolta" conciliare, accantonando anche l´insegnamento del Concilio sulla Chiesa: mi riferisco alla sacramentalità dell´episcopato, che ne rinsaldò l´autonomia rispetto al potere centrale, e alla collegialità del Papa con i vescovi».

Insomma, un ritorno alla tradizione.
«Sì, la tradizione: ma non come tradere, cioè consegnare - e nel passaggio di mano in mano inevitabile è il mutamento - piuttosto come monumento di pietra, chiuso e immodificabile».

Alla tradizione si richiamava anche monsignor Lefebvre, il maggior oppositore del Concilio.
«Lo contrastava perché - cito un suo appunto del 1965 - "in rottura con il passato e con la tradizione". Finì scomunicato anche grazie a Ratzinger. Un buon auspicio».

Sta dicendo che le sue idee potrebbero tornare di moda?
«Alcune delle obiezioni che mi sono state mosse assomigliano in modo impressionante a ciò che scriveva Lefebvre. C´è il rischio d´una deriva, specie per coloro che si sono formati in una stagione pre-conciliare. Non è un caso che le critiche provengano dalle persone della mia età, cresciute prima del Vaticano II».

Cosa vuol dire?
«Accantonando malizie e animosità, rilevo un limite oggettivo. Oltre al cardinal Ruini, a quel dibattito che ha dato inizio alle polemiche partecipavano anche Francesco Cossiga e il professor Brandmüller, presidente del Pontificio Comitato di scienze storiche. Scorrendo i resoconti dell´incontro, ho l´impressione che sia emersa una lettura del Concilio fatta con gli occhiali del "prima". È evidente che la sua assimilazione ha bisogno di tempi lunghi, e probabilmente anche della fine della generazione che l´ha vissuto».

Ha letto il libro di monsignor Marchetto?
«Sì, m´è sembrato un´opera priva di spessore culturale, composta esclusivamente di critiche astiose e aprioristiche a ricerche altrui».

L´accusa a lei rivolta è di aver utilizzato fonti non ufficiali.
«Sì, i diari e le testimonianze di chi vi partecipò, oltre naturalmente i protocolli ufficiali. Ma è davvero curiosa questa allergia alla viva documentazione personale: il problema di solito è quando questo materiale non c´è!».

La sua Storia del Concilio, oggi contestata, ricevette un´accoglienza ufficiale da papa Wojtyla.
«Ebbi l´opportunità di consegnargliene personalmente sia il primo che l´ultimo volume, ricevendo vivi apprezzamenti per l´iniziativa. Naturalmente questo non significa automaticamente che il Pontefice ne sposasse i contenuti. Qualche giorno fa ho chiesto di poter consegnare questa nuova sintesi a Benedetto XVI, al quale ho presentato via via i volumi dell´opera maggiore».

Lei, professore, fu anche testimone diretto dei lavori del Concilio.
«Mi toccò questa fortuna. Ero assistente di Dossetti, il quale affiancava come teologo il vescovo di Bologna Giacomo Lercaro, destinato ad avere un ruolo importante. Da qui il coinvolgimento del nostro gruppo».

Una sorpresa in tutti i sensi.
«L´annunzio conciliare di papa Giovanni XXIII arrivò inatteso. Tutto lasciava credere che fosse stato eletto perché anziano e bonaccione, insomma lì lì per andarsene. A meno di cento giorni dalla sua elezione, fece lo storico proclama».

Era il gennaio del 1959: non tutti nella curia la presero bene.
«Alcuni sperarono che morisse prima, altri che si limitasse a concludere il precedente concilio del 1870. Ma papa Roncalli li smentì ancora una volta, distinguendosi anche nella denominazione da quel Vaticano I e fissando la data d´inizio all´11 ottobre del 1962: proprio per evitare slittamenti».

Personalità importanti del pontificato lo avversarono.
«Si distinsero i cardinali Spellman e Ottaviani, che era responsabile del Sant´Uffizio, oltre al vescovo di Genova Siri. Temevano la portata innovativa del Concilio».

Una paura che ritorna.
«Un filo che arriva fino a oggi».

Cosa temevano, allora?
«Erano spaventati dall´idea di una Chiesa non più eurocentrica. L´Africa era ancora tutta coloniale, l´America latina solo un´espressione. Il Concilio portò a Roma centinaia di vescovi neri e sudamericani: ha cambiato la geografia del cattolicesimo».

Sconvolse la liturgia.
«Sostituì il latino con la lingua madre. A quei monsignori sembrava inimmaginabile: ignoravano che già quattro secoli prima due monaci camaldolesi avevano scritto al Papa: "Guarda che non ci si capisce più niente". Eppure ancora alla metà del Novecento si era ancora nel timore che, levando il latino, cascasse tutto».

Quarant´anni dopo non sembra cambiato granché: papa Ratzinger vuole tornare alla messa in latino.
«Sicuramente il Pontefice intende solo affermare la possibilità - ora che la liturgia in volgare s´è affermata - di celebrazioni in latino in occasioni straordinarie. Penso che questo non corrisponda al desiderio dei giovani che acclamavano in piazza Giovanni Paolo II».

Lei scrive che il Vaticano II ruppe con l´immobilismo degli anni Cinquanta.
«Le racconterò un episodio, che spiega molte cose. In quegli anni talvolta veniva a casa un padre benedettino, pio e assai famoso. Si fermava anche a dormire. Una sera, sul finire del 1953, al momento delle preghiere chiamò me e mia moglie Angelina: "E ora preghiamo per la morte del Pontefice". Con mia moglie ci guardammo stupefatti: papa Pio XII stava benissimo. Lui, quieto, replicò al nostro disagio: "Ora il santo Padre è un peso per la Chiesa. Preghiamo perché il Signore se lo prenda presto"».

Che cosa cambiò con il Concilio?
«Ne uscì profondamente modificato lo stile del cristiano, finalmente fondato sul principio della responsabilità personale: nel fedele comune sottratto all´inerzia come nei sacerdoti rafforzati nell´autonomia o nei vescovi affrancati dalla passiva sudditanza a Roma. Furono rotti tabù che parevano intoccabili».

Una fiammata di libertà destinata però a spegnersi.
«La digestione conciliare è sempre lenta. Tra le indicazioni finora disattese colpisce quella sulla collegialità episcopale. Abbiamo assistito nei mesi scorsi alla drammatica agonia di Wojtyla, schiacciato dalla responsabilità individuale. Se fosse stata realizzata una collaborazione, il pontefice ne sarebbe stato notevolmente alleggerito».

Proprio Dossetti propose in Concilio un´innovazione dottrinale che investiva i vescovi.
«Una sera, nel settembre del 1963, piombò a casa nostra agitando un foglietto di carta. Lo leggemmo senza immaginarne l´importanza. Era un breve testo sull´origine divina della carica vescovile. Questo implicava che il prelato fosse consacrato con rito sacramentale, il quale lo dotava di volontà personale. In sostanza: il vescovo non era più tenuto alla passiva sudditanza al Pontefice».

E il testo passò?
«Sì, fu votato dalla maggioranza, contro il parere della Commissione dottrinale presieduta dal cardinal Ottaviani. Quei voti documentarono in che direzione andava il Concilio».

Tra gli effetti benefici del Vaticano II, lei indica anche l´indebolimento del rapporto privilegiato tra la Chiesa e la Democrazia Cristiana.
«Appena eletto, Giovanni XXIII disse subito che la politica italiana non riguardava la Chiesa, tanto meno il Papa. A Siri, presidente dei vescovi italiani, questa uscita piacque poco: eravamo agli albori del centro-sinistra, guardato con sospetto da gran parte del Vaticano. Ma papa Roncalli non ne voleva sentire di interferenze politiche: un giorno si rifiutò di ricevere la presidenza della Confindustria. Era in discussione la nazionalizzazione dell´energia elettrica, e il Santo Padre voleva starne fuori».

Altri tempi.
«Il recente referendum ci ha messo di fronte a fantasmi del passato».
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 Pierangelo    - 07-07-2005
da Repubblica del 7.7.2005

La bussola della Chiesa

L´attacco al Concilio e l´interventismo dei vescovi: intervista con Achille Ardigò (a cura di Cervia)

Achille Ardigò dice «noi mistici» senza la minima ironia, però si gode l´attimo di sorpresa dell´interlocutore. Mezzo secolo da sociologo nelle aule universitarie e da politico nel mondo cattolico fanno del professore di Bologna, almeno all´apparenza, il contrario di un asceta. Ma la lezione di Giuseppe Dossetti, l´«onorevole di Dio», poi frate di Monte Sole, di cui Ardigò fu discepolo e collaboratore, non l´ha scordata: per un credente la politica è pensabile solo se illuminata dalla trascendenza. Proprio questo legame, per Ardigò, oggi rischia di essere spezzato dalla svolta ratzingeriana, dal nuovo interventismo delle gerarchie cattoliche non solo nella politica, ma anche nell´etica quotidiana, nei comportamenti, nelle scelte di vita dei cittadini, fondato solo sul richiamo al «razionalismo» di un´asserita «legge naturale».
Sulla scrivania del suo appartamentino balneare di Cervia, al terzo piano di un condominio, accanto al computer e agli appunti di un imminente libro «sulla devastazione della famiglia italiana», Ardigò ha l´intervista a Repubblica di un vecchio amico e condiscepolo dossettiano, Giuseppe Alberigo: la risposta alle critiche ecclesiali contro la sua storia del Concilio Vaticano II. Allora, partiamo da qui.

Lei ricorda bene il Concilio, professore?
«Altroché. L´ho vissuto al fianco di Dossetti, ero all´Avvenire con Raniero La Valle, fu la grande stagione della nostra vita, gravida di enormi energie spirituali. Ci investì come un fiume in piena. Ricordo come fosse ora quando il cardinal Lercaro, con tono entusiasta e agitato, telefonò da Roma, alle tre di notte, a Dossetti che era il suo segretario: "Stanno succedendo grandi cose, venga subito, ho bisogno del suo aiuto ". Naturalmente Dossetti non aspettava altro».

Quindi fu svolta autentica, strappo, discontinuità?
«Si realizzò in quei mesi una tale concentrazione di intelligenze e spiriti che non poteva non accadere qualcosa di profondamente nuovo. Del resto papa Giovanni XXIII sapeva perfettamente cosa sarebbe successo convocando a Roma i migliori teologi e i più fervidi uomini di fede: sapeva che la Chiesa aveva bisogno di una scossa, e ne creò le condizioni».

Ma oggi il cardinal Ruini sostiene che il Vaticano II rappresentò una «continuità nella tradizione»…
«Fu un momento di grande comunione ecclesiale e di grande ispirazione divina, che cambiò profondamente il rapporto tra la Chiesa e il mondo. Se ne accorse proprio Dossetti, che qualche anno prima aveva lasciato il parlamento e la Dc spiegando a noi allievi costernati che l´unica condizione per un radicale rinnovamento della politica era un radicale rinnovamento della Chiesa. Quel rinnovamento ci fu, lasciò frutti, ma più tardi fu riassorbito. Temo che anche questa rilettura normalizzante del Concilio faccia parte del nuovo modo di interpretare il ruolo della Chiesa nella società».

Come lo descriverebbe?
(Sospira) «Vede, ogni mattina io prego umilmente lo Spirito Santo affinché induca il Papa e il cardinal Ruini a non perseverare nella loro teologia razionalista…».

Razionalista papa Ratzinger?
«L´insistenza sul fatto che la "legge di natura", più che la parola di Dio, sia la bussola che deve orientare il comportamento sociale degli uomini, compresi i credenti, finisce per confinare l´etica in una dimensione naturalistica, dove tutte le norme morali necessarie all´uomo sono reperibili nella sua ragione, e la trascendenza non trova più posto».

La ragione è pur sempre un dono di Dio, le risponderebbe il suo arcivescovo Carlo Caffarra.
«Altro grande razionalista… Certo, la ragione viene da Dio, ma se poi è solo l´uomo che la fa funzionare, è un Dio lontano, a cui non è necessario ricorrere».

Insomma, la stessa Chiesa che propone ai laici di comportarsi "etsi Deus daretur" auspica una ragione che funziona come se Dio non esistesse?
«Rifiuto entrambi questi "come se", perché mettono in discussione il nucleo fondamentale della fede cristiana, ovvero il mistero della Rivelazione. Escludono il ruolo della trascendenza nell´agire umano; e questa, per una comunità di fedeli, mi sembra una rinuncia radicale, impossibile. Vede, per noi mistici è importante la sicurezza, anche se misteriosa, che ci offre la nostra Guida nella notte oscura».

Parla come un profeta, professore, lei che fa politica da una vita…
«Le leggo una frase di Dossetti: "La comunità dei credenti non può seguire nessun anarchismo. Deve cercare la propria coesione non in un qualsiasi progetto sociale ad essa specifico, ma solo nella Parola di Dio. Come vede, tutto il contrario di un ricorso alla "legge naturale" che relega Dio sullo sfondo».

Non è invece un modo più laico di dialogare con la società civile?
«Il dialogo ha bisogno di rispetto, non di confusione dei ruoli. Ho avuto la fortuna di conoscere Habermas, filosofo marxista, e concordo col suo monito: la Chiesa non pretenda di occupare tutto il campo della ragione, e i laici abbandonino il sogno di far fuori la presenza spirituale della Chiesa nel mondo».

Un altro modo per dire: date a Cesare...
«Non è pensabile che l´agire del credente nella società si riduca a un problema di formazione delle opinioni, di opzioni organizzative, e magari di qualche scelta utilitaristica».

Pensa al modo in cui è stata condotta la battaglia astensionista al referendum?
«Penso che quella scelta, tecnicamente vittoriosa e molto festeggiata, presto o tardi si rivelerà molto più dannosa che utile».

Non crede sia stata l´unica scelta per una Chiesa che si sente minoritaria di fronte al laicismo "relativista"?
«Ma anch´io temo lo zapaterismo. Temo i danni che può fare l´oltranzismo laicista alla famiglia, oggi in condizioni quasi disperate. Non sto consigliando certo alla Chiesa di arrendersi, di rinunciare ai propri valori».

Infatti difende ogni centimetro del campo, con ogni mezzo. Molti avvistano una Chiesa sempre più invadente nel campo delle scelte di vita degli individui: preferenze sessuali, forme di vita familiare, opzioni genitoriali...
«Noto anch´io un interventismo sempre più pressante su specifici aspetti della vita sociale. Ma non è l´interventismo in sé il pericolo che vedo. Non trovo scandalo se la Chiesa testimonia la propria visione del mondo e si batte perché diventi opinione generale. È suo diritto farlo... ».

È suo diritto indicare valori o anche dettare, o contrastare, norme legislative?
«Le rispondo con un esempio: il riposo domenicale. È un precetto religioso da rispettare, per i credenti; ma difendere il diritto al riposo è anche una battaglia sindacale, un´esigenza sociale, un contributo alla salute della famiglia: la coscienza cattolica non è obbligata ad occuparsi solo della santificazione della festa».

Allora dove vede il pericolo?
«Nella volontà ormai esplicita delle gerarchie di scendere direttamente, in prima persona, sul terreno politico più operativo, quello dell´organizzazione, delle scelte tattiche, delle valutazioni di convenienza e opportunità, del fine che giustifica i mezzi».

Insomma non le piace vedere i vescovi nei cortei contro una legge dello Stato, come in Spagna?
«La Chiesa è una comunità ricca di spiriti e di intelligenze, dal più remoto convento di clausura alla più piccola associazione parrocchiale. I vescovi dovrebbero avere fiducia in questo immenso patrimonio: se scendono in campo direttamente, vuol dire che non ne hanno più».

Forse perché non c´è più un partito cattolico al quale delegare la direzione dell´agire pratico?
«Può essere, ma la Chiesa non può farsi partito politico senza rischiare di dissolvere il proprio fondamento mistico. M´intenda bene: io capisco Ruini, capisco Ratzinger, i problemi che devono affrontare sono immensi, e i rischi di isolamento e di arretramento per la Chiesa sono reali. Ma non è questa la strada per affrontarli».

Ce ne sono altre?
«Se c´è una cosa che mi addolora è la sensazione che Ruini non abbia più stima nei laici credenti. Come se ci ritenesse tutti incapaci di ricavare norme di comportamento personali e opzioni politiche positive dai principi indicati dalla Chiesa. Noto con dispiacere che vescovi e cardinali si fidano, lusingandoli, molto più dei cosiddetti "atei devoti", i Ferrara, le Fallaci, che dello spirito e della mente dei credenti. L´unica speranza è che il laicato cattolico ricordi di possedere un mandato, lo rivendichi e lo eserciti».