Né servi, né ribelli
Giuseppe Aragno - 05-05-2004
Inutile nasconderlo: faccio fatica. Ancora una volta stento a tenere disciplinatamente il campo e non so perché mi torni in mente, come fosse il ritornello d’una marcetta, lo slogan che fu all’origine della nostra prima sindacalizzazione: “né servi, né ribelli”. Così ci voleva nel 1901 Luigi Credaro per l’Unione Magistrale Italiana al suo primo congresso.
Milito, mi batto, sto alle regole del gioco ma, come fosse un dolore, una fatica già nota mi cresce dentro, mi interroga e mi chiama a ragionare. Non sarebbe così - lo so, lo sento - se tutto avesse origine solo dallo sconcerto per la marea degli impegni sormontanti, dalla tensione d’una discussione che impegna sino allo spasimo le energie fisiche e mentali, dalla oggettiva difficoltà dello scontro. Non sarebbe così. C’è dell’altro: è una ribellione sorda, un intollerabile fastidio per me stesso. E se appena mi guardo dentro con quel tanto di onestà intellettuale necessaria a far luce, la prima, la sola parola che so dirmi è ipocrisia.
E’ così. Mento a me stesso.
Guarda che ragioni di scuola - mi ripeto - che ti prende?
Mi prende che “ragionare di scuola” non mi pare questo. E ci provo ancora: storicizzo.
Da anni non abbiamo una buona scuola. Ne ottenemmo una di massa e prometteva bene, ma ebbe le strutture della scuola d’elite, gli insegnanti di quella di classe e ci investimmo spiccioli. Siamo al capolinea: l’idea di “riformare” la scuola non è un’esclusiva della destra.
E’ questo un punto - direi il punto - da cui partire per provare a far quadrare i conti.
Non abbiamo una buona scuola e le proposte avanzate dalla sinistra e dalla destra per migliorarla si dovrebbero inserire nella cornice di contrapposte analisi della società e di filosofie della vita alternative; al contrario, si ritrovano ad avere più di un valore in comune.
Appartiene ad entrambi i poli riformatori un’acuta propensione alla rivalutazione del “privato”. Sul principio c’è un’indubbia concordia. Manca, questo sì, l’accordo sulle modalità d’azione, ci sono differenze sulle vie da perseguire, si fanno distinguo, esistono contrasti, ma sulla linea di fondo c’è consenso. Come non bastasse, ad unire l’intera classe dirigente c’è la convinzione che siamo alla “seconda repubblica”, peraltro federale: ciò che non poté Cattaneo hanno prodotto il ricatto della Lega Nord, offertasi al miglior offerente, la scelta maggioritaria – anche qui c’è stato accordo – l’impoliticità della cultura media delle terze file dei partiti, le sole uscite indenni dai processi per corruzione. Certo, ci sono stati distinguo, precisazioni, persino contrasti, ma sulla morte certificata della prima repubblica – quella dei padri costituenti – il consenso è stato ed è totale. Un consenso tale che le Foibe detronizzano la guerra partigiana, che da supremo conflitto europeo è ridotta al rango di guerra civile, e la legittimazione politica del revisionismo storico di marca fascista ha trovato in Luciano Violante il più convinto garante. Che la Costituzione vada riscritta è pacifico per la destra come per la sinistra: ci si divide – e magari ci si scontra – sulle procedure, ma sulla necessità di tornare a scriverla splende il sole del più assoluto consenso.
Unanime è il coro spudorato – destra, sinistra – che recita la litania della guerra al terrorismo. Qui, è vero, l’unanimità assume connotati ideologici e culturali per certi aspetti grotteschi, tuttavia, di fatto, ovunque un popolo aggredito rivendichi armi in pugno il diritto a decidere di se stesso, destra e sinistra, in perfetta sincronia, applicano ai “ribelli” l’etichetta di terroristi, votano per un qualche intervento militare italiano che consenta di spartire il bottino con gli aggressori e sono d’accordo sulla necessità che l’ONU, esalando gli ultimi sospiri, faccia il notaio degli aggressori.
Su lavoro e diritti, i riformatori di ogni colore accettano le modifiche imposte dal mercato: la storia delle riforme del sistema pensionistico attesta la sostanziale coincidenza delle posizioni. Se un tempo la destra guardava all’azienda e la sinistra ai lavoratori, oggi entrambi antepongono il capitale al lavoro. L’aziendalismo è la nuova religione, il mito unificante, il vero collante della nostra vita politica e sindacale.
In questo quadro di valori che impedisce di investire sulla scuola statale, ma consente di regalare quattrini ai privati attraverso le famiglie o le scuole paritarie e antepone le spese per la guerra a quelle per la formazione – ma si può fare lo stesso discorso per ambiente e salute, lavoro e pensioni – in questo quadro di valori condivisi, dicevo, destra e sinistra possono costruire un unico sistema formativo: quello di Berlinguer, che apre la porta alla Moratti, e quello della Moratti, per il quale gridiamo allo scandalo e ci pare di poter rimpiangere la scuola che avevamo rifiutato. Procedendo così, alzeremo bandiera bianca davanti ad una sintesi bipartizan e potremo metterci l’animo in pace.
E’ questo il circolo vizioso nel quale siamo stretti. Questa la palude nella quale ci lasciano annegare questa destra e questa sinistra. Non ci sono all’orizzonte né un liberale come Giolitti né un riformista come Turati: l’intesa che cacciò via gli spettri del ’98, l’idillio che aprì una stagione di riforme non sono possibili e, se un paragone storico è lecito tentare, siamo all’impensato svolta nazionalista e alla guerra di Libia. Nel migliore dei casi ci attende Salandra. Per la stagione delle riforme mancano gli uomini e manca il progetto: non avremo né una legge modesta ma seria come la Daneo-Credaro, né il macigno classista disegnato da Gentile. Non avremo null’altro che il conto delle spese. Quello che una esperta massaia farebbe assai meglio. Pagheranno i nostri figli.
Come uscirne?
Gaetano Salvemini, che nel 1901 federò tra loro gli insegnanti classici, tecnici e normali nella Federazione Nazionale Insegnanti Scuola Media, a Firenze, al loro primo congresso, il 22 settembre 1902, indicò una via che ancora oggi mi pare maestra, se davvero pensiamo che per essere docenti occorra sentirsi anzitutto cittadini: “il partito della scuola che oggi si fonda – ebbe a dire quel giorno l’insigne storico – non è né fuori né dentro nessun partito: ma quando le circostanze lo richiederanno nell’interesse della scuola e della educazione nazionale, esso si associerà coraggiosamente a quei partiti, i quali dei diritti della scuola si dimostreranno validi e non platonici difensori”.
Bene. Chiediamo al sindacato, se un sindacato ancora c’è, di fare il sindacato. Si impegni a lottare per ottenere uno stipendio dignitoso per tutti gli operatori della scuola, senza accettare alcuna trattativa sulla progressione di una carriera la cui retribuzione è uno schiaffo assestato alla dignità dei docenti. L’unità sindacale si misura in concreto su questo terreno: è una misura che potrebbe fare da cartina di tornasole per la stragrande maggioranza delle categorie organizzate in sindacato. Non c’è unità? Su questo tema? E allora perché difendere una formula che esprime un’astrazione?
Mi pare di sentirli i cani del padrone: i soldi non ci sono.
Non è vero.
I partiti svolgano il loro ruolo in Parlamento: facciano i partiti - di sinistra se possibile - e analizzino gli sprechi. Chiedano anzitutto di utilizzare per la formazione e la ricerca tutte le risorse destinate alla operazioni di pace e di guerra e propongano di trasformare in reato penale e conseguente galera l’evasione fiscale.
Lo so. Questa è rozzezza. Così non si parla di scuola e, soprattutto, così la sinistra si squaglia come neve al sole.
La sinistra. Quale? E di quale scuola parliamo?

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Emanuela Cerutti    - 06-05-2004
Ti regalo questo manifesto, con un rammarico: troppo sintetico il punto 8 a riguardo della scuola. Non ho trovato un eventuale approfondimento neppure nel successivo commento di Tranfaglia che sull'argomento letteralmente sorvola. Questo mi dà da pensare, forse perchè sono convinta che nessun atto politico possa prescindere dal momento formativo e dalle scelte chiare che ne conseguono, soprattutto se si vuole ragionare al di là del proprio naso. Ma capisco: è ancora tutto un programma.

11 punti per rinnovare la sinistra e sconfiggere la destra

L’Associazione “Aprile per la sinistra” considera prioritario l’impegno per battere il governo di centrodestra, pericoloso sul piano democratico e antipopolare sul piano sociale.
Per sconfiggere la destra bisogna cambiare la sinistra. Ciò significa superare le divisioni e il riformismo debole che ci hanno condotto alla sconfitta del 2001. Bisogna quindi riportare al voto i milioni di cittadini di sinistra insoddisfatti, che sono decisivi come hanno dimostrato le recenti elezioni di Spagna e Francia.
C’è bisogno di una sinistra rinnovata e rafforzata. C’è bisogno di un’opposizione più forte, alternativa e propositiva ma soprattutto di una campagna elettorale unitaria tra le forze del centrosinistra – pur nell’autonomia delle singole liste – per le elezioni europee, locali e regionali.
L’Associazione, sottolineando la priorità dei contenuti, ne propone alcuni alla discussione collettiva:

1) la fine dell’occupazione dell’Iraq da parte delle forze di armate anglo-americane e alleate, il ritiro immediato del contingente militare italiano e l’intervento dell’Onu per garantire libere elezioni e l’autogoverno del popolo iracheno;
2) un’Europa di pace, che contribuisca alla creazione di un sistema multilaterale di sicurezza e di collaborazione, che escluda il ricorso alla guerra come mezzo per la soluzione delle controversie internazionali e si impegni per azioni di pace e per il rispetto della legalità internazionale, nel quadro di una Onu rinnovata; un’Europa che sappia mettere in discussione i suoi privilegi a favore dei paesi poveri e in via di sviluppo in tutte le sedi internazionali (Omc, Banca mondiale, Fondo monetario);
3) più diritti e più tutele per chi lavora in un’Europa sociale e del lavoro che si opponga alla flessibilità selvaggia e si impegni per la piena e buona occupazione; conseguentemente, chiediamo l’impegno alla cancellazione della Legge 30 che precarizza il lavoro e a favore di uno Stato sociale con maggiori risorse finanziarie pubbliche per coprire chi oggi è escluso dalle garanzie; un’Europa in cui sia centrale il servizio pubblico socio-sanitario che è elemento stesso della civiltà del vecchio continente; in Italia, inoltre, occorre definire con la massima urgenza una legge sulle rappresentanze in grado di garantire un sistema di relazioni sindacali effettivamente democratico;
4) un’Europa multietnica e multiculturale, che preveda la cancellazione della Legge Bossi-Fini e l’abolizione dei “centri di permanenza temporanea” nonché un impegno positivo per favorire l’integrazione scolastica e per accogliere gli immigrati in un percorso che giunga fino alla cittadinanza e al diritto di voto;
5) tutelare l’ambiente, il paesaggio, il patrimonio artistico e culturale, il territorio, impedendone ogni forma di privatizzazione e garantendone una fruizione pubblica e partecipativa; promuovere uno sviluppo ambientalmente sostenibile e combattere condoni, abusi, leggi che favoriscano il saccheggio del paese; ridisegnare e rilanciare il sistema dei servizi pubblici (acque, energia, ecc.) in grado di garantire una sempre migliore qualità del vivere collettivo;
6) ristabilire eguaglianza e giustizia per tutti i cittadini con l’abrogazione delle leggi vergogna (falso in bilancio, rogatorie, ecc.), con l’accelerazione dei processi penali e civili le cui lentezze sono sofferte soprattutto dai cittadini deboli e col rispetto pieno dell’autonomia della magistratura; combattere i paradisi fiscali e la grande evasione;
7) una riforma democratica del settore dei media in applicazione dei principi stabiliti dalla Corte costituzionale, attraverso una seria legge anti-trust e la sua rigorosa applicazione, contro i monopoli privati per Tv, radio, giornali, e altri mezzi di comunicazione e una legge contro il conflitto di interessi e politiche che favoriscano in diritto all’informazione e alla comunicazione per tutti i cittadini; valorizzazione del servizio pubblico della Rai, che deve rimanere pubblica, e suo sganciamento dal controllo governativo;
8) una scuola pubblica di tutti, pluralista e di qualità: la controriforma Moratti va abolita;
9) maggiori finanziamenti per la cultura, la scienza e l’innovazione che non possono essere le cenerentole dell’impegno politico, al fine di accrescere il livello dei saperi degli italiani valorizzando la storia e le risorse del nostro paese;
10) la laicità delle istituzioni, particolarmente nel campo della scuola; difesa della legge sull’interruzione di gravidanza e cancellazione dei caratteri restrittivi della libertà di procreare contenuti nella legge sulla fecondazione assistita;
11) una forte sinistra unitaria in una coalizione democratica larga e inclusiva, garantendo a ogni formazione politica uguale dignità, escludendo qualunque idea egemonica e promuovendo una forte integrazione dei movimenti, delle associazioni e della società civile in un centrosinistra plurale, unito sul programma, sulle idee, sui valori.

L’Associazione “Aprile per la sinistra” chiede a tutte le liste e singolarmente a tutti i candidati di impegnarsi a sostenere questi contenuti nel corso della campagna elettorale per il rinnovo del parlamento europeo.