Rick's bar
Marino Bocchi - 26-09-2003
Chi ha la passione della montagna, conosce il suono della valanga. Il vecchio che procedeva ansimando sul sentiero che taglia il confine tra Francia e Spagna quel sordo rumore lo aveva nelle orecchie da tempo. La minaccia lo inseguiva come una disdetta, con i tedeschi ormai alle porte di Parigi, dove Walter Benjamin si era rifugiato. Luogo di profughi ebrei in cerca di un piroscafo per l’America, la Capitale del XIX secolo, come Benjamin l’aveva disegnata nel prologo ai Passages, si era incupita, alla vigilia della catastrofe. E cupo era diventato ormai il vecchio, presago del destino. Così almeno lo ricorda Hannah Arendt, nel loro ultimo incontro. Lei era in attesa della nave che l’avrebbe condotta a New York. Ma nessun piroscafo avrebbe salvato la vita del grande filosofo, privo del visto d’uscita. Oltre i Pirenei c’era Port Bou, sulla costa, dove la polizia franchista gli ritirò i documenti prima di farlo rimpatriare. Benjamin non aspettò che gli sbirri venissero a prenderlo: la notte stessa dell’arrivo si uccise in un alberghetto di fronte alla casa dove un vecchio anarchico spagnolo aiutava la fidanzata nel contrabbando al di qua e al di là delle montagne. L’irriducibile guerriero, piegato dalla guerra civile ma non vinto, non temeva le valanghe e non temeva la polizia di Franco. A lui Benjamin consegnò le sue ultime volontà e i manoscritti che portava con sé. Fu seppellito nel cimitero locale, dove tuttora si trova. Ma la storia dell’anarchico è un’invenzione letteraria di un bravo scrittore italiano, Bruno Arpaia, che ha raccontato la biografia (vera) degli ultimi anni di Benjamin e quella (leggendaria) dell’anarchico spagnolo in L’angelo della storia, Guanda, 2001.

Ci mancava pure che la parte di Rick in Casablanca fosse affidata a Ronald Reagan. Eppure è questo il rischio che abbiamo corso. Fu solo per il rifiuto del futuro presidente americano che il ruolo venne assegnato ad Humphrey Bogart. Non riesco ad immaginarmi Reagan che consegna i due visti d’espatrio per l’America alla Bergman e al marito o che, presso la scaletta dell’aereo su cui sta per abbandonarlo per sempre la donna enormemente amata, pronuncia la battuta “Buona fortuna, bambina”. Non ci saremmo persi solo un grande film ma, con quello, anche la lettera che ai fratelli Warner indirizzarono i fratelli Marx, scritta da quel genio beffardo e sublime che era Groucho. I primi avevano chiesto i danni ai secondi per avergli rubato il logo in “A night at Casablanca”. Groucho faceva notare che gli spettatori avrebbero saputo distinguere tra la Bergman e suo fratello Harpo. E’ il primo attacco al diritto d’autore che si ricordi e resta il più geniale.

Napoleone non è morto a Sant’Elena ma a Parigi, sotto mentite spoglie. Perché grazie ad un sosia che lo aveva sostituito era riuscito a rientrare clandestinamente in patria nella speranza di sollevare il popolo contro la Restaurazione. “I vestiti nuovi dell’imperatore” non è solo un bel film. Raccogliendo una tradizione popolare che ha attraversato i secoli, è anche una stupenda parabola della storia, dove la leggenda si tramanda e la realtà, che è molto più mediocre, viene giustamente negata. “Nel West, tra realtà e leggenda, vince sempre la leggenda”, fa dire John Ford ad un suo personaggio ne “L’uomo che uccise Liberty Valance”. Umiliati, ormai vinti, i francesi prendono l’uomo che si spaccia per Napoleone, e lo è, come un pazzo. Credono al racconto dei giornali, che quotidianamente li informano sullo stato di salute del loro imperatore, che è un sosia, a Sant’Elena. Realisticamente ciò che il vero Bonaparte racconta è una cosa impossibile. E così la realtà, che orfana del mito è sempre menzognera, assolve al compito che le è proprio. Li inganna.

L’arte della fuga io non l’ho imparata dai miei studenti. Una volta si fuggiva davvero, ti prendeva il bisogno o l’incanto di raggiungere un altrove che era anche un punto della carta geografica. Un luogo fantastico come la geografia immaginaria di Borges. Coincidenza perfetta tra leggenda e realtà, in cui la seconda non riusciva mai a scalfire la prima, creando con essa un equilibrio instabile e vitale. L’America sognata da Benjamin o da Rick, o la Francia verso cui Napoleone si imbarca come finto mozzo, erano luoghi reali perché nascevano da un bisogno reale. I miei studenti non credono più in nessuna leggenda. Una generazione disperata e pervertita, la nostra, ha insegnato loro che il mondo è così dappertutto e chi non è come noi è solo perché sta peggio di noi. E chi fugge cerca l’impossibile perché il possibile è limitato all’orizzonte ristretto dei confini in cui li abbiamo rinchiusi. Filosofia di San Patrignano. Ma i miei studenti fuggono lo stesso. Non più verso un altro luogo ma verso l’unico non luogo che gli abbiamo concesso: il silenzio, l’apatia, l’indifferenza, e, al limite, la morte. Loro esprimono un bisogno, noi lo chiamiamo disagio. E li affidiamo agli aguzzini professionisti del Recupero. E le Comunità terapeutiche hanno sostituito il Rick’s bar di Casablanca che era il ricovero di tutti gli individui in fuga dal mondo, ad inseguire un sogno. La libertà. La scuola dovrebbe essere come il Rick’s bar. Avrà per modello San Patrignano.

La leggenda sopravvive nel sogno dei migranti. C’è un siriano, a Roma, che tiene un banchetto abusivo ai Fori imperiali. Vende cose belle perché inutili ed è capace di fare di seguito anche cento palleggi di testa. Dice di essere un gran calciatore e presto si accorgeranno di lui. C’e’ un buco in un muro, a Milano, nella via della moda, in cui si entra in una vecchia e abbandonata casa di ringhiera, dove vivono abusivamente decine di profughi dell’Europa dell’Est. C’è un vecchio, fra loro, che legge la Bibbia. Si e’ convertito al cristianesimo in Albania, durante gli anni del regime comunista. Costretto ad emigrare, seduto sui gradini del palazzo, venerato da tutti, recita i salmi. Dice di parlare con Dio. C’è nello stesso palazzo una ragazza rapita e trasferita con la violenza in Italia, per essere avviata alla prostituzione. Nei giorni in cui il suo sfruttatore era finalmente in carcere, si è innamorata di un giovane, anche lui immigrato. Vivono insieme, si sposeranno. Lavorando entrambi, dice che presto avranno i soldi per tornare in Albania a farsi una casa vera.

Bruce Chatwin era convinto di aver trovato la tomba di Butch Cassidy in Patagonia, dove il leggendario bandito, inseguito dalla Pinkerton, si era rifugiato sotto falso nome con il suo amico Sundance Kid. Probabilmente quella della tomba di Cassidy è una leggenda ma Chatwin, che aveva inseguito le vie dei canti e dei sogni degli aborigeni australiani, ci ha creduto. E Sepulveda giura che, coi proventi delle rapine in banca, i due finirono col finanziare rivoluzioni anarchiche fino alla Terra del Fuoco. All’inizio della prima guerra mondiale si svolse in Patagonia una leggendaria partita di calcio tra gli operai tedeschi da una parte e quelli italiani e di altri paesi europei dall’altra, che lavoravano per le industrie estrattive. Lo racconta Osvaldo Soriano, insieme alla storia di un arbitro che diceva di essere il figlio di Cassidy e che dirigeva le partite con il revolver. Soriano era amico di Maradona.

“A che servono i libri? Non ne ho mai letto uno. Io posso solo faticare”, mi disse pochi giorni prima dell’esame di Stato un mio alunno napoletano, trasferitosi a Modena con la madre. Avevo quella sola copia del testo di Soriano da cui ho tratto i due episodi precedenti. Gliel’ho regalata. Recentemente ho visto sua madre, che abita ancora qui. Il figlio è tornato nella sua Napoli. Mi ha detto che si e’ iscritto ad Economia. Sono sicuro che lo ha fatto anche per aver letto quel primo libro. E per aver scoperto che chi lo ha scritto era amico di Maradona. Per la forza della leggenda. Ma senza queste leggende le scuole sarebbe meglio chiuderle. Per non dover accettare la realtà menzognera di tutte le San Patrignano del mondo...






















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