Ho una storia da raccontare: riguarda l'Europa, l'Italia fascista e Napoli soprattutto, icona della "
città di plebe", formicaio "
di pitocchi, scugnizzi, prostitute e camorristi", come la vide da giovane Labriola e quasi la fissò nel tempo: "
un invito permanente a rivoltarsi, insorgere, levarsi contro tutti" che, se qualcuno l'accoglie, si fa "
fuoco di paglia": vampata nobile d'incendio e nulla più. Così fu la breve stagione del '99, così le Quattro, ardenti giornate del '43.
Davanti ho carte d'archivio. Lasciamole parlare. Per sentito dire, tutti più o meno sanno di Spinelli a Ventotene; di un'Europa dei popoli per la quale finisce nel carcere fascista un manipolo di soldati napoletani del Genio, spediti in Libia tra il '38 e il '39, mentre l'altra Europa, quella tutta banche, Borse, aziende, mercato e profitto, affila le armi, pronta a mandare i giovani al macello, questo no, questo non lo si sa, nemmeno per sentito dire. Nessuno ne ha mai parlato, nessuno ci fa convegni e non c'è una via che li ricordi; si fa fatica a crederlo, ma è vero. Napoli, sì. Napoli europeista durante il fascismo e una "società segreta" che non si quota in Borsa, non si occupa di spread, non fa compravendita di titoli, ma ha altri valori: un ethos europeista, che - fatta salva la pace del mercato - ha un orizzonte più vasto. I nomi forse contano poco, ma è giusto farli: Ciro Reale, Salvatore Maraffa, Russo Giovanni, Antonio Ottaviano, gente di cui non s'è parlato mai. Ricordiamoli perciò, facciamogli festa, troviamogli un po' di spazio nei "
salotti buoni", dove ci si riempie la bocca di "
storia e memoria".
Soldati del Genio, gente che non fa politica per mestiere, eppure finisce "
sovversiva" per amore di libertà, e questo assai spesso si paga. Gente che l'ha capito in anticipo sui tempi: contro ogni guerra, anche quella economica che spesso preannuncia i bombardamenti, i popoli hanno una sola via. E non è l'Europa delle agenzie di rating, del debito e della democrazia sospesa. No, è proprio il contrario e ce l'hanno chiaro: è l'Europa della solidarietà che s'erge a baluardo dei diritti. Per questo hanno fondato una società segreta, chiamandola semplicemente "
«Europa» per non confonderla con partiti o sette" e perché sia chiara l'ispirazione unitaria di un progetto che, in fondo, ha un solo scopo: far nascere "
Stati europei [...] unificati per la pace e il benessere dei popoli".
Nel mirino hanno Hitler e Mussolini,"
i due compari", come li chiamano i nostri bravi soldati antifascisti, e di nascosto fanno propaganda. Intendono "
dare tutte le energie per conseguire l'unità degli Stati Europei, così come la sognava il grande Mazzini, del quale oggi è scomparsa la memoria". Giornali d'opposizione non se ne trovano e si fanno opuscoli e volantini, ma si sa, chi non sta zitto, finisce male: il potere sa quando e come colpire.
Ce l'hanno con Hitler, ma soprattutto con Mussolini di cui, scrivono in un opuscolo, non c'è da fidarsi, perché i lunghi anni spesi a seminare odio fra i popoli d'Europa, lo aiutano a giocare una pericolosa partita personale. Il Duce, annotano preoccupati i giovani europeisti, accecato completamente dall'ambizione, è "
entusiasta di sentirsi appoggiato dalla Germania, pur sapendo che domani il popolo tedesco sarà più forte del nostro e potrebbe avere il sopravvento sull'Italia". Hitler e Mussolini, quindi, ma è questione di momenti storici e di contesti. Ognuna delle loro parole e delle loro idee si potrebbe utilizzare oggi per la "nostra" Europa, quella che affama i greci, chiude i giornali e ha fastidio della democrazia.
Pedine d'un gioco forse più grande di loro, ma lucidi quanto basta, per capire dove vadano a parare i generali, le armi acquistate nonostante la miseria e certi trattati pericolosi in cui gli interessi della finanza vengono prima delle persone, essi hanno in mente una Federazione di Stati in un'Europa libera, con una sola lingua e un'unica moneta. Un'Europa nemica della guerra e di una divisione della ricchezza che è così ingiusta, da "
distruggere i nobili sentimenti della solidarietà per inculcare l'odio". Non temono i tedeschi, questi bravi soldati. Temono i ceti dirigenti d'una Germania egoista che, cito testualmente, "
ora si finge amica dell'Italia" e sarà poi "
una potenza che sottometterà gli Stati minori". La centralità d'un europeismo antifascista, che coinvolge immediatamente i popoli e li coalizza contro ogni forma di terrore, in una unione politica fondata su principi di solidarietà economica, contro lo strapotere del mercato e il rischio d'una perniciosa separazione dei cittadini dalla politica - che in ogni età della storia, al di là della qualità degli uomini, è connaturato a un governo di non eletti, in un Parlamento di "
nominati", che mette mano ai diritti - questi sono i pilastri dell'Europa per cui si battono i nostri isolati e animosi genieri. Sono, pochi, è vero, ma guardano avanti e disegnano tutt'intero un mondo. Non l'Europa d'oggi, però, priva di una Costituzione che abbia superato la prova del voto, che è scelta collettiva, e faccia sentire il peso specifico della storia e dei suoi succhi vitali. In tempi che non sono poi così lontani, finiscono in catene davanti al Tribunale Speciale fascista, ma oggi si troverebbero di fronte a Parlamenti sempre più delegittimati; oggi sarebbero in Grecia, contro gli interessi di un nuovo polo imperialista, col partigiano manganellato che un tempo, a rischio della vita, sfidò la furia nazista e ammainò la bandiera con la svastica dal Partenone.
I tribunali non bastano a piegare i popoli e le armate prepotenti scatenate contro i diritti se li trovarono ovunque contro. Qui, a Napoli, Antonio Ottaviano prese le armi e salì sulle barricate della Quattro Giornate. Dietro c'era Rosselli, un europeista che aveva pagato con la vita la sua coraggiosa preveggenza: noi non vinceremo domani, ma vinceremo!
Sento dire che si lasciano morire giornali. Mi domando se non si debba tornare agli opuscoli clandestini e mi ricordo di Gaetano Arfé, partigiano, storico, giornalista e senatore, collega di Monti e di Napolitano. Negli ultimi anni della sua vita ripeteva, orgoglioso e ahimè, quasi profetico: "
torneremo al ciclostile". E quando gli parlavi di "
liberali", lui, ch'era stato allievo di Croce, si levava il cappello poi, ironico e tagliente, borbottava: va bene, sì, Dio solo sa, però, quante volte i "
liberali" hanno ammazzato la democrazia.
Uscito su "Repubblica - Napoli" il 3 marzo 2012
Giuseppe Annulli - 26-02-2012
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Una bella "testimonianza" a documentazione che, e ciò vale per tanti luoghi comuni e stereotipi sociali, Napoli e i napoletani non sono stati e non sono solo quello che si è detto e si continua a dire in negativo, ma, anche, generosità e senso civico, passione sociale e desiderio-azione per il cambiamento. Non vorrei entrare in questioni di partito (politiche si) ma mi pare di poter affermare che anche la Napoli attuale ha qualcosa di insegnare, e lo sta facendo, agli altri cittadini italiani.
Sui "liberali", e soprattutto sul liberalismo economico, invece, il mio giudizio è completamente negativo e la situazione attuale è sotto gli occhi di tutti, tranne di quelli che o non vogliono vedere o non hanno occhi per vedere. Solo due esempi per spiegarmi: il blocco delle grandi opere (sacrosanto) e la conferma dell'acquisto degli aerei per la difesa (un eufemismo!!!); il no alle olimpiadi a Roma (sacrosanto) e la marcia indietro sulla diminuzione della pressione fiscale. Due decisioni giuste e due sbagliate. Non mi pare che sia un granché!!! |