Cecità, direbbe Saramago
Giuseppe Aragno - 21-10-2011
Avrebbero avuto ben altro senso, la condanna della violenza e l'improvvisa passione legalitaria, se ci si fosse sdegnati con pari veemenza per i patti con Gheddafi, gli omicidi libici e le leggi razziste di questi anni. Non è stato così e i nuovi "nonviolenti" hanno votato indifferenti due destre responsabili di violenze ben più gravi di quella che li indigna. Sarebbe stato credibile il palpito di "nonviolenza", se dei presìdi messi in piedi dai nostri figli contro i campi di concentramento per stranieri, avessimo fatto bandiera di legalità violata da una inaudita violenza di Stato. Se, dico per dire, quando i giovani, violentemente privati del futuro, lottavano per la scuola della Costituzione, tra cariche e lacrimogeni, i "neononviolenti", nati evidentemente a Roma il 15 ottobre del 2011, fossero stati con loro per protestare sull'invalicabile linea rossa che il 14 dicembre scorso protesse i violentissimi tagli della Gelmini e la compravendita parlamentare. Mi sarei "tolto il cappello" se, in nome della "nonviolenza", si fosse scesi in piazza per restarci, quando i responsabili dell'ordine pubblico condannati per i fatti di Genova furono premiati con oscene promozioni. Se, vado a caso, quando fu ucciso vilmente Cucchi, avessimo incrociato le braccia per condannare la violenza di Stato che l'ammazzò. Non è stato così, ma prendo atto: alleluia! Il 15 ottobre è resuscitata la "nonviolenza". Forse non era ciò che volevano gli ignoti quindicenni incappucciati, che sono figli nostri, forse il parto è stato così travagliato che la creatura, se non cieca, ora è orba - qui combatte animosa la violenza, lì è complice e non sai perché - ma, dice il poeta, "nunc est bibendum". Col tempo migliorerà.

In piazza il 15 ottobre parlava la gente che soffre. Più voci, certo, non ancora l'armonia del coro, qualche stecca, la nota stonata, ma un pullulare d'anticorpi e la rappresentazione plastica d'una "crisi di rigetto". Era lampante: il circo Barnum ha messo le tende a Montecitorio, l'antipolitica governa la politica e invano pennivendoli e velinari aprono un fuoco di fila di analisi a "senso unico", recitano l'opera buffa dello sdegno e fanno i paladini di "indignati" traditi da "teppisti". "Buoni" contro "cattivi". il potere sperimenta la sapienza latina: divide et impera. E' il vizio di chi, perso il pelo, non solo rimane lupo ma, per sopramisura, si fa pure volpe.
Scatenato, il circo mediatico fa lo specchio deformante. Il punto, dice, è la violenza, ma lo sapevano tutti: c'era chi la voleva, chi la temeva e chi la preparava. Nessuno parlava, perché, a cose fatte, serviva l'allarme: "è ora di reagire". E via con le leggi speciali. Tempo perso. Se schiacci i popoli, la rabbia cresce e non bastano prediche di neopacifisti o minacce di provvedimenti. La storia non fa sconti e il punto non è la violenza, il punto è la sofferenza.

Violenza, si ripete. Qualcuno sta li a rivendicarla con passione quasi "estetica" - e magari se n'è stato prudentemente a casa - altri, puntano il dito su compagni diventati d'un tratto nemici, e non manca chi prende la via sperimentata del "complotto" e degli immancabili infiltrati. In tanti, e qui forse è il punto delicato, sorpresi e impauriti, danno l'addio alle armi e in piazza non si vedranno più. Non gli servirà a molto: la fame attraversa i muri e apre ogni porta.
Violenza, dite? D'accordo, violenza se ci tenete, ma una parola ha mille sfumature e spesso cela inganni. La violenza del dissenso siriano, per esempio, qui trova mercato, ha la bellezza struggente e il fascino della libertà. E' una rivoluzione asettica, fa impazzire di passione democratica e non fa paura, tanto, si sa, che c'entriamo? "Lì c'è una dittatura". Sfumature così sottili e ingannevoli, che s'è "scoperta" persino la violenza "umanitaria", proditoria, sanguinosa e spudorata come in Libia, ma capace di passare per un'affermazione della democrazia. Il monopolio della violenza, che tocca allo Stato, fa i miracoli dei santi: le bombe per un verso sono una straordinaria "difesa dei civili", per l'altro fanno a pezzi con tanto di diritto legale al macello. Bollo e timbro delle Nazioni Unite. Che volete di più? La violenza è il barbaro pilastro della guerra alla barbarie del terrorismo, un totem da venerare ovunque c'è una rapina di petrolio da legalizzare, diritti di popoli da negare e uno sconcio da contrabbandare per amara necessità di "esportare democrazia". L'immancabile, ambigua, nobile e diabolica "democrazia occidentale".

Ma cos'è oggi la democrazia cui si consente tutto e contro la quale la violenza è prima bestemmia e poi sacrilegio?
Il diritto riconosciuto a Trichet di imporre licenziamenti di massa e uccidere la speranza, l'arbitrio concesso a Marchionne, che schiavizza i lavoratori, la lettera di Draghi che affama i vecchi e rapina i giovani, questo è democrazia. Atroce messinscena. La violenza, oggi, si chiama così: democrazia. Violenza e democrazia sono allo stesso tempo i conti pubblici piegati agli interessi delle banche e la vita della povera gente sacrificata alle regole del mercato. La democrazia oggi è la violenza usata a Montesquieu in nome dei profitti, la restaurazione della Bastiglia, il commercio dei voti in un Parlamento che fu tabernacolo di "civiltà borghese". Democrazia è violenza di leggi fuorilegge. Democrazia è polizia armata fino ai denti coi soldi di tutti noi, ipocriti moralisti, per internare gli immigrati, massacrare di botte i pastori sardi nel porto di Civitavecchia, sostenere con la forza armata bande di privilegiati, tutelare gli evasori, i "condonati" e i loro padrini politici, imporre a manganellate discariche velenose a popolazioni che non ci stanno. Questo è democrazia: lunghe file di immigrati davanti alle questure, il miserabile contrabbando di permessi di soggiorno e la guerra tra poveri e disperati.
Questa inaudita violenza è oggi la democrazia, ma va bene così e si dice che mercato e profitto son legge di natura, che il capitale non è un fenomeno storico intessuto di arbitrio e sopraffazione, ma l'ultima delle tavole consegnate a Mosè.

A ben vedere, la sola violenza che apre la porta della galera e accende i salotti buoni televisivi è la rabbia dei giovani che si rivoltano per tirarsi dietro precari scippati, lavorati sfruttati, disoccupati umiliati e poveri sempre più poveri e disperati. Questa sì, questa è violenza. E qui, tutti allerta, qui ci schieriamo contro, scandalizzati: il fenomeno è italiano. E' falso. Cameron insegue teppisti, la Grecia ha gli anarco-insurrezionalisti e se non ci sarà via d'uscita, non so quando, non so con quale nome, sarà rivolta ovunque una lettera di Draghi produrrà disperazione.
La verità è che quando i popoli lottano per la sopravvivenza e la dignità, quando si dice crisi per dire che si rifiuta la terapia del dolore ai malati terminali e si avvelenano l'aria, l'acqua e il suolo in nome del delirio neoliberista, quando lo sfruttamento feroce nega speranze a intere generazioni di giovani, la violenza è nelle cose, si chiama potere e colpisce le ragioni della civile convivenza. In queste condizioni, la rivolta, esito fatale di inaccettabili provocazioni, è racconto di una indicibile sofferenza, narrazione leggibile e comprensibile di un terremoto annunciato. Non c'è dubbio, c'è un'incalcolabile differenza tra un'auto bruciata e l'urto contro la "zona rossa"; tuttavia la tensione crescerà e, violenza o non violenza, conterà soprattutto l'efficacia della "narrazione". Se i fatti parlano, il dolore aggrega. Si dice - ma andrebbe verificato - che questo non è politica, perché la politica suscita e orienta forze, indica modi e pratiche che producono incontri e "civilizzano" lo scontro. Ma dov'è la politica? E' il dito di Bossi la politica? Lo è diventato perché per D'Alema è "costola della sinistra"? E' D'Alema, che battezza Bossi? E' Berlusconi, che il partito di Bersani salvò dall'inferno con la bicamerale? Sono Fini e Casini la politica, gli ex amici dell'amico di Mangano? Dov'è la politica che ora, scandalizzata, invoca leggi speciali? Si chiama Vendola che da sinistra fa blocco con sceriffi alla Di Pietro? E' Draghi la politica o per caso Trichet? Dov'è la politica? In quanto all'etica, che d'un tratto trova mille amanti, se un ruolo vuole avere occupandosi di violenza, si guardi attorno: il campo della violenza del potere è inesplorato.
Non si governa senza crimine, insegnò Machiavelli, ma i rivoluzionari borghesi elessero la loro risposta a principio universale: la rivolta contro i governi ingiusti è diritto dei popoli, legittima difesa.
Il dito puntato di chi mi farà la lezione, lo metto nel conto: "questo è giustificazionismo delirante".

Tags: nonviolenza, antipolitica, Circo Barnum, Cucchi, Di Pietro, Draghi, Gelmini, Gheddafi, Maroni, Montesquieu, Saramago, terapia del dolore, terrorismo di Stato, Trichet, violenza, violenza di Stato, violenza umanitaria


interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 Giovanni Lamagna    - 24-10-2011
Caro Geppino, come potrai immaginare (se hai la bontà di leggere qualcosa di quello che scrivo anche io) non condivido. Io il 15 c'ero (come te) a Roma e non solo non mi sono fatto trascinare da quei giovani che hanno devastato il percorso del corteo, ma non li ho per niente sentiti vicini alle mie ragioni e a quelle di tanti altri compagni (la gran parte!), i quali gridavano:"Fuori!Fuori!Fascisti!Fascisti!" Le avrai sentite anche tu quelle grida; e non ti hanno detto niente? No, caro Geppino, contro la violenza di quei giovani non hanno strepitato solo i poteri forti e i massmedia che di questi poteri si fanno servili megafoni. (E le ragioni di questi io non le condivido e anzi le combatto.) No, contro la violenza di quei giovani, abbiamo gridato in tanti che eravamo a Roma come te. Solo che a Roma evidentemente c'erano due cortei: quello di chi pensa che dare sfogo alla rabbia e alla rivolta sia il meglio che si possa fare; e quello di chi ritiene che alla giusta rabbia occorra trovare uno sbocco politico, che (sono d'accordo) attualmente non c'è, ma questo non vuol dire che non sia necessario costruirlo;e che a questo non ci sia alternativa, se la rabbia non vuole restare lo sfogo eclatante e distruttivo di una giornata. Io facevo parte di questo secondo corteo parte. Mi dispiace, caro Geppino, di dover prendere atto che tu ti riconoscevi di più nel primo.

 Emanuela Cerutti    - 25-10-2011
Il 15 ottobre a Roma sono successe molte cose e di difficile interpretazione, perlomeno e certamente non univoca. La "violenza" stessa ha avuto più volti, quello degli infiltrati, quello degli esasperati, quello degli esagerati, quello dei disillusi. Condannare la violenza è auspicabile e, come dice Aragno, la condanna deve doverosamente e coerentemente allargarsi a ogni sua forma. Da quelle più evidenti a quelle più nascoste e subdole. Ci sono stati giovani, a Roma, che il casco se lo sono portati perchè ne avevano già prese di botte in Val di Susa, dove la "violenza subdola" ha dichiarato l'esistenza di campi di addestramento. Ce ne sono stati altri che avrebbero voluto arrivare a Montecitorio in 100.000, perchè nelle manifestazioni pacifiche non credono più, dal punto di vista delle risposte della politica. Ci sono stati giovani e adulti che in piazza San Giovanni hanno affiancato i "violenti" a mani alzate, affrontando i blindati che caricavano a tutta velocità. E ci sono stati giovani "violenti" che hanno fatto uscire i carabinieri dal blindato, concentrando sull'oggetto-simbolo la loro rabbia. La violenza è da condannare, ma la rabbia è da leggere e da ascoltare. Quale politica lo fa? Quale politica riesce a non mettere "etichette" moralistiche, che fanno comodo al suo potere di voto, e a lavorare per un bene comune in cui non c'è tutto il male da un parte e tutto il bene dall'altra?