Arroganza
Antonio Vigilante - 12-09-2009
"Se l'insegnamento della religione fosse limitato ad un'esposizione delle diverse religioni, in un modo comparativo e neutro, si potrebbe creare confusione o generare relativismo o indifferentismo religioso", dice la lettera della Congregazione per l'educazione cattolica a proposito dell'insegnamento della religione nella scuola. E allora? In uno stato democratico, laico, pluralistico, l'indifferentismo in fatto di religione e il relativismo sono esiti possibili e legittimi di un processo educativo. Piuttosto, crea problemi il rischio contrario. Perché, se è vero (ma è vero?) che una esposizione neutra delle religioni può generare indifferentismo (ma non si sono alimentati e non si alimentano alla fonte delle altre religioni grandissimi pensatori religiosi, da Simone Weil a Raimon Panikkar?), è vero anche che un'educazione religiosa centrata sul solo cattolicesimo, tenuto da docenti scelti dalla Chiesa (benché pagati dallo Stato) con obblighi di ortodossia, può suscitare fanatismo, chiusura mentale, bigottismo.
In uno Stato democratico, ciò che una organizzazione religiosa considera un esito desiderabile del processo educativo è indifferente per lo Stato. Non è la Chiesa che decide a cosa deve portare l'educazione. A dire il vero, sarebbe meglio che non lo decidesse nemmeno lo Stato, ma questo è un altro discorso.
Ha ragione Ermanno Genre, che sulle colonne del "manifesto" (10 settembre) dice che si tratta di semplice paura: paura del confronto, paura del dialogo. Qualcosa che fa pensare alla scritta adesiva "Siamo testimoni di Cristo", che alcuni cattolici attaccano dietro la porta di casa per evitare le visite dei Testimoni di Geova. Mi sono spesso interrogato sul senso di questo rifiuto. Se fossi credente, mi piacerebbe parlare di Dio. A dire il vero, mi piace parlare di Dio anche non essendo credente; se lo fossi, mi piacerebbe di più. Passerei molto tempo a discutere con i Testimoni di Geova. Perché la Chiesa invita i cattolici ad evitare i Testimoni di Geova? La Chiesa pensa che sia dovere di un cattolico propagare la fede. Non dovrebbero allora i cattolici cercare loro per primi i Testimoni di Geova per discutere con loro di Dio?
Il problema è, appunto, che la Chiesa ha paura. Non è sicura di sé, non è sicura dei suoi. Chi ha paura in genere retrocede, si chiude in un angolo, si fa piccolo. Con la Chiesa abbiano invece questo paradosso: una istituzione fatta da gente che ha paura, che tuttavia cerca di espandersi, di accaparrare, di imporsi. L'esito inevitabile di questo movimento in avanti di chi dovrebbe retrocedere è la violenza. O meglio: l'arroganza. Arroganza è chiedere ciò che non spetta. La Chiesa è una istituzione che non ha più il suo mondo, è un residuo del passato, un pezzo di Seicento nell'età post-moderna. Ciò che una volta le spettava - perché le circostanze storiche e culturali erano tali da giustificare le sue richieste - oggi non le spetta più. Ma la Chiesa continua a chiedere. Continua ad arrogarsi ciò che non le spetta. Ad alzare la voce.
Si legga questo altro passo del documento, che è una citazione di Giovanni Paolo II:

"La questione dell'educazione cattolica comprende (...) l'insegnamento religioso nell'ambito più generale della scuola, sia essa cattolica oppure statale. A tale insegnamento hanno diritto le famiglie dei credenti, le quali debbono avere la garanzia che la scuola pubblica - proprio perché aperta a tutti - non solo non ponga in pericolo la fede dei loro figli, ma anzi completi, con adeguato insegnamento religioso, la loro formazione integrale. Questo principio va inquadrato nel concetto della libertà religiosa e dello Stato veramente democratico che, in quanto tale, cioè nel rispetto della sua più profonda e vera natura, si pone al servizio dei cittadini, di tutti i cittadini, nel rispetto dei loro diritti e delle loro convinzioni religiose."

Questa affermazione è assolutamente folle. Dice che la scuola, anche quella pubblica e statale, non deve mettere in pericolo la fede dei cattolici. Consideriamo soltanto il corso di filosofia. Anche a volersi servire di un manuale addomesticato, come il Reale-Antiseri (che, spiegando i rapporti tra pensiero greco e pensiero cristiano, sentenzia: "L'agape cristiano può vivere senza l'eros greco, ma non l'eros greco può vivere senza l'agape cristiana"), capita di incontrare ad ogni passo qualcosa che può mettere in crisi la fede. Per me molto ha contato, ad esempio, Protagora. Lo incontrai prima ancora di studiare filosofia, sfogliando l'enciclopedia Curcio, che era la mia (imperfettissima) finestra sul mondo quando avevo tredici anni. "L'uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono, di quelle che non sono per ciò che non sono". La mia iniziazione filosofica è avvenuta sotto il segno del relativismo tanto aborrito dalla Chiesa. Non c'è dubbio che le idee di Protagora possano mettere in crisi la fede di un adolescente. E allora? Via Protagora? E Senofane? Ed Epicuro? E Spinoza? E l'illuminismo? E il pensiero contemporaneo? Tutta roba da cassare, evidentemente. O di cui parlare con quel pudore che già pesantemente si abbatte sulla letteratura latina, con Catullo che diventa il candido poeta di "da mi basia mille", mentre una malintesa decenza induce a sopprimere il non meno candido poeta di "pedicabo ego vos et irrumabo". Oppure idee che è lecito esporre solo accompagnate da ampia e circostanziata critica, come già fecero i padri della Chiesa con qualche autore pagano o eretico.
Quello che più colpisce, e intristisce, è la visione della scuola e la concezione dell'insegnamento. Lo studente appare come un idiota assoluto, uno che non è capace di vagliare da sé la bontà e la ragionevolezza delle idee che gli si propongono. Come la Chiesa, anche la scuola dovrebbe essere una di quelle madri che organizzano la vita dei figli affinché mai abbiano ad imbattersi in nulla di sgradevole, in nulla di imprevisto, in nulla che possa indurli a mettere in discussione il potere e, s'intende, la benevolenza della Madre.
Questa non è educazione, né istruzione. Non ha nulla a che fare con l'una e l'altra cosa. Istruzione vuol dire conoscere, educare, vuol dire far crescere mettendo in contatto con i valori. Entrambe le cose o sono libere, o non sono. Non si cresce negli orti chiusi, non si cresce nei recinti ideologici (ed è davvero incredibile che il documento, dopo le premesse di cui ho detto e ricorrendo ancora a una citazione, questa volta da Benedetto XVI, dica che grazie all'insegnamento della religione cattolica "si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto e a raffinare il senso critico...").

Tags: Chiesa, ora di religione, democrazia


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 Maria Grazia Bernardi    - 12-09-2009
Basterebbe leggere alcuni articoli della Costituzione della Repubblica italiana per capire che l'educazione religiosa a scuola non è catechesi e quanto il sistema scolastico debba assoggettarsi all'arroganza dalla Chiesa cattolica.