OVVERO LE INCOGNITE DELLA VALUTAZIONE DEL MERITO.
Dove si evidenzia come la valutazione del merito sia suscettibile di variabili incontrollabili e di iniquità frequenti.
Col ministro Gelmini (presumibilmente non prima né ultima a sostenere a spada tratta questo principio, per esempio sul terreno minato della valutazione del personale della scuola, della qualità delle istituzione scolastiche, oltre che nel tradizionale campo del profitto scolastico con l'oscenità del ritorno ai voti nella scuola elementare e media - operazione purtroppo avviata a suo tempo da Luigi Berlinguer auspice Maragliano dopo l'esperienza importante delle "schede sperimentali" e portata a compimento dalla Gelmini) quello della meritocrazia si configura come un tormentone, a vasto raggio ancor più che al tempo del famigerato "Concorsone", oggi col supporto parlamentare di Valentina Aprea & C.
Una vasta esperienza di candidato, di commissario e di presidente di commissione alla maturità nelle sue molteplici transeunti epifanie mi ha rafforzato in questa convinzione (anche se ritengo possibile essere più equi con un'esplicitazione delle regole ed un'ostinata voglia di correttezza e giustizia da parte di chi le commissioni presiede, dandosi tra l'altro alla maturità - pardon: esami conclusivi di stato - una documentazione ed una presenza di membri interni - assente invece per lo più nelle forme concorsuali) che possono ridurre l'aleatorietà degli esiti, ma anche falsare.
Fanno autenticamente ridere pretese di oggettività fondate su "griglie" o su "punteggi ponderati"; le prime sono spesso inattendibili perché mal costruite e perché il commissario solitamente tende a dare prima una valutazione globalistica su una prova, poi suddivide il punteggio intuitivo tra le varie voci della griglia; per i "punteggi ponderati" ricordo il caso in cui un commissario si era costruito un "modello" per valutare una prova, modello che si rilevò fallimentare: erano tutti da bocciare (e non si trattava di una classe nel complesso disastrosa! ). Dopo di che da presidente l'invitai a rivedere tutto il suo infallibile modellino.
Ricordo come fosse ieri il mio primo esame di maturità da docente come giovanissimo (allora unico) membro interno, quando i membri esterni mi imposero una scorrettissima decisione cruciale: "Due sarebbero da bocciare, scegli tu quale".
La stanchezza e l'emotività giocano brutti scherzi, elemento questo difficilmente ponderabile, per cui talora la faccia tosta o l'adeguamento furbesco all'ideologia dell'esaminatore diventano il criterio determinante del successo e della (supposta) eccellenza del candidato.
Personalmente ho collezionato spesso giudizi "di eccellenza" nelle prove scritte, mentre nelle prove orali mi è capitato di farmi prendere da variabili come emotività e stanchezza..
A parte i fatti emotivi, ho visto sulla mia pelle cadere ogni attendibilità meritocratica in presenza di una commissione incompetente, indisponibile ad ascoltare certe "verità effettuali" ed "esperienziali" su scuole concrete e reali con relativi problemi di direzione / conduzione., rifiutare giudizi motivati ed argomentati non corrispondenti alle attese e modalità stilistiche "personali" di conduzioni del colloqui, contenuti non corrispondenti a quelle attese.
Concorsi alla dirigenza scolastica in cui non si apprezzava la conversazione pacata, sensata, veritiera, aperta alla problematicità del reale, ma si attendeva un certo tipo di risposte memorizzate, possibilmente ben recitate a mo' di orazione o a macchinetta.. Proprio quel che non ho mai accettato che facessero i miei studenti e le mie studentesse, a cui ho sempre richiesto prima di tutto di capire, poi di dire quello che avevano capito, poi di collegare, riflettere ed attualizzare su tutto ciò. Con sincerità.
Insomma, meritocrazia e pensiero unico sono tutt'uno?
Tags: meritocrazia, valutazione, voti, punteggi, esame stato, maturità, giudizi, eccellenza, pensiero unico
Gabriele Boselli - 09-03-2009
|
La divisione del personale secondo fasce di merito (chiamarla meritocrazia è cattiva retorica) è essenzialmente atto non di conoscenza ma di potere; può ridurre l'uomo di scuola a dipendente, compreso d'obbedienza. |