Gaetano Arfè: per ricordare
La Redazione - 04-10-2007
Nello Speciale La linea del tempo




Lo scorso 13 settembre Gaetano Arfè se n'è andato per sempre e, per incanto, il silenzio e l'isolamento che hanno tentato di "imprigionarne" in qualche modo le ultime, scomode riflessioni, hanno ceduto il posto al rito del "ricordo": ne è nata una valanga di parole che hanno avuto l'involontario pregio di aiutarci a misurare ad un tempo il gran vuoto che egli lascia e la reale statura etica, politica e culturale di buona parte della nostra attuale classe dirigente. Di lui, in questi giorni hanno parlato in tanti: i politici che lo avevano emarginato, i giornali che per anni gli hanno cestinato articoli sempre più scomodi, i "compagni"(?) che lo avevano abbandonato, esponenti dell'accademia, che il giorno dopo il pensionamento lo aveva letteralmente sfrattato: al preside serviva la sua stanza.
Arfè aveva però il senso dell'ironia e sorrideva: "mi toccherà tornare al ciclostile" mormorava. E chissà che qualche volta "Fuoriregistro", di cui è stato collaboratore, [digitando Arfè nella pagina di ricerca è possibile risalire ai suoi interventi - ndr] non sia stata davvero il suo ultimo ciclostile. Soffriva molto per questa sorta di esilio, ma aveva lucidamente trovato una spiegazione e la ripeteva, attribuendola per modestia a Francesco De Martino: "Sono un rimprovero vivente. Aspettano solo che muoia. Poi mi seppelliranno sotto le parole".
Di sé e di ciò che aveva scritto negli ultimi anni, andava ripetendo: "Non è storia, ma una polemica storiografica calata nella politica. E' tutto quello che ancora so fare e lo faccio per farmi credere vivo". Così s'era abituato a vedersi e altro non gli pareva di poter dire, perché era restio ad ammettere di essere ormai parte significativa della vicenda culturale e politica del nostro paese. Glielo impediva l'innata modestia che fu tratto costante della sua vita ed è costume sempre più in disuso. Era invece vivo - più vivo, quanto più evidentemente solo - e ciò che ha scritto sino all'ultimo è storia di altissimo profilo, che occorrerà far conoscere ai giovani: storia di una battaglia coraggiosa e per certi versi disperata, combattuta in un crescente isolamento, in difesa dei valori fondanti di quella Repubblica che, appena diciottenne, aveva contribuito a far nascere, rischiando in prima persona, sulle montagne della Valtellina in una formazione paritigiana di "Giustizia e Libertà".
Ci sono uomini - diceva, ricordando antifascisti come i fratelli Rossell - che non possono trionfare, e che, tuttavia, non furono mai vinti. Anche lui era così, anche Arfè: uno di loro, uno che non ha mai vinto, ma non potrà essere sconfitto. Nei suoi scritti è possibile incontrare giudizi duri sul Pci e, allo stesso tempo, l'appassionata difesa dei militanti comunisti, un antistalinismo senza concessioni all'ambiguità ed un rifiuto nettissimo dell'equivalenza comunismo-fascismo. Socialista "turatiano", intese il riformismo come lotta per sconfiggere il capitalismo e il feticcio del mercato selvaggio che non accetta regole. Fu protagonista della battaglia di Nenni per l'autonomia socialista, ma lavorò sempre per costruire una sinistra unita. Mancanza di coerenza? Può darsi. Forse, e più probabilmente, uno sguardo singolarmente "lungo" capace di veder lontano, di intuire - i comunisti non l'hanno saputo o voluto capire - i rischi del revisionismo, capace soprattutto di vedere nell'attacco portato al Pci, dall'interno del partito molto più che dal di fuori, il grimaldello utile a scardinare l'impianto della nostra Costituzione. Ciò che, in ultima analisi, si sta progressivamente facendo e meglio si progetta di fare, da parte di molti di quelli che oggi lo ricordano.
Non è passato molto da quando Sergio Luzzatto, storico di nome, ha avuto l'animo di scrivere che sui vecchi partigiani come Arfè - "l'ombra del comunismo, con il suo carico di atrocità, si allunga [...] - nonostante la loro estraneità personale agli orrori del Gulag - sino a farli apparire improbabili come campioni di moralità e maestri di democrazia". La sinistra ha applaudito e c'è chi ha steso tappeti rossi per accogliere questo campione. Ricordare Gaetano Arfè significherebbe con molta probabilità partire da questo oltraggio sanguinoso. Noi della redazione, però, che l'abbiamo avuto tra i collaboratori, preferiamo ricordarlo come uomo vicino al mondo della scuola, orgoglioso del padre, maestro elementare e, non a caso, egli stesso, non è cosa da poco, insegnante nella scuola di Don Milani.
Ai lettori offriamo - e speriamo che giunga così in mano ai nostri ragazzi - l'ultimo dei suoi libri: Maria Teresa Proto Pisani, che più di tutti gli è stata vicina in questi anni, volle che uscisse a novembre del 2005, in occasione del suo ottantesimo compleanno: un libro che val la pena di leggere.

GAETANO ARFE': SCRITTI DI STORIA E POLITICA
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 Massimo Bonicelli    - 05-10-2007
Gaetano Arfè è stato uno degli intellettuali più onesti, preparati e coerenti del Novecento. Condivido l'iniziativa della redazione. Leggerò con grande attenzione questo suo ultimo libro, come leggevo anni fa il suo "Avanti" e sono certo che saprà insegnarmi ancora qualcosa.

 Trimigno Giuseppe    - 07-10-2007
Sono commosso. Arfè l'ho incontrato da studente e ha lasciato in me un ricordo vivissimo. Era un vero maestro. Addio professore.

 Maria Teresa Proto Pisani    - 10-10-2007
Carissimi amici e compagni,
desidero sottolineare quanto sia stata ricca, significativa, poliedrica, la personalità di Gaetano - già nota a moltissimi - che continua ad emergere di giorno in giorno attraverso le molteplici e diverse testimonianze scritte e orali che stiamo ricevendo.
Gaetano ha trasmesso a ciascuno di noi, che ha avuto la gioia di poterlo conoscere direttamente o indirettamente - giovanissimi, adolescenti, adulti - un frammento indelebile e personalissimo di se stesso. Questo frammento è in noi, ci accompagna e ci aiuta a comprendere la vita, la società; ci stimola a nutrire sentimenti di speranza, desiderio di lottare ed anche di sorridere.
Sì, Gaetano è stato un Uomo, un cantastorie, un comunicatore, indubbiamente ineguagliabile.
L’allievo, il politico, lo storico, il compagno di lotta, l’Amico, donne di differenti provenienze socio-culturali, giovani desiderosi di approfondire culture e civiltà multiformi, anche attraverso ricordi e aneddoti, o tasselli ancora sconosciuti della vita dei propri familiari, tutti – indistintamente - porteranno per sempre dentro di sé il suo insegnamento, la sua mitezza, la sua capacità di ascoltare e rispondere - poi – all’interlocutore nel modo più giusto e adeguato.
Ciao Gaetano, vivrai per sempre dentro di noi, con noi; ci hai donato molto; sarai sempre accanto a noi, nei momenti felici e in quelli difficili da affrontare, per condividere e sostenerci!

 Nicolino Corrado - Imperia    - 14-10-2007
La notizia della morte di Gaetano Arfè mi ha profondamente rattristato. Mi ha riportato indietro nel tempo, al 1975, ai miei diciott'anni dell'ultimo anno di liceo, quando divorai la sua "Storia del socialismo italiano". Avevo cominciato ad avvicinarmi al socialismo con la morte di Allende, nel 1973, ma non avevo maestri vicino, avevo idee confuse. Il libro di Arfè diede un ordine a quelle idee, era infatti un libro che parlava di vicende di uomini, ma sopratutto di idee che si realizzano grazie agli uomini.
Avrebbe potuto essere un Maestro per il nuovo PS, che comunque dovrà onorarne la memoria e gli insegnamenti.