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dal CIDI un documento interessante

 

Da dove nasce il disagio?

 

Sommario: Il malessere di molti docenti alla vigilia della prova di selezione per accedere alla maggiorazione del trattamento economico non è solo di natura soggettiva; esso è anche dovuto, in una fase sperimentale dell'autonomia, al ritardo, a tutt'oggi, nella definizione del nuovo assetto del sistema scolastico e del conseguente nuovo progetto culturale/formativo (riordino dei cicli, saperi).

"Fino ad oggi siamo stati trattati male sotto il profilo economico, e per di più in modo diseguale: riconoscendo a tutti la medesima retribuzione senza aver mai predisposto alcuno strumento di verifica della qualità e della quantità del lavoro svolto, trattando tutti allo stesso modo, l'Amministrazione ha premiato chi ha fatto di meno, o meno bene, e ha penalizzato chi ha fatto di più e meglio... ". Questo, in sostanza, il ragionamento che veniva ripetuto più volte da vari esponenti sindacali ogni volta che si discuteva dell'art.29 (Trattamento economico connesso allo sviluppo della professione docente) del contratto di lavoro. A queste si aggiungevano altre considerazioni riguardanti i bassi livelli degli stipendi dei docenti italiani - molto al di sotto di quelli degli altri Paesi europei - e la scarsità delle risorse disponibili che, se distribuite a pioggia, non avrebbero permesso progressioni retributive di rilievo: perciò solo un contingentamento, corrispondente inizialmente al 20% della categoria (non meno di 150.000 docenti), avrebbe potuto garantire un "salto" significativo, una premessa per poter estendere tale beneficio, già con il prossimo contratto di lavoro, anche ad altre quote di docenti.

Ulteriori considerazioni, inoltre, venivano avanzate circa il fatto che il processo di avvicinamento all'autonomia scolastica, introducendo nel lavoro scolastico meccanismi di flessibilità, avrebbe determinato anche nella categoria docente processi di "dinamizzazione" e quindi di "differenziazione" di trattamento economico; del resto, c'era anche il rischio che se tali meccanismi - del tutto nuovi per la categoria - non fossero stati recepiti e regolamentati in un contratto di lavoro, avrebbero potuto dar luogo a pericolose forme di deregulation: e se non è compito di un contratto di lavoro fare riforme, tuttavia sarebbe

altrettanto sbagliato che un contratto di lavoro non tenesse conto dei cambiamenti che si vanno realizzando, oltretutto abbastanza tumultuosamente e con non poche incertezze. Essere intervenuti in tempo su questa materia, per esempio, ha tolto all'Amministrazione la possibilità di decidere essa sola (la contrattazione è durata - non a caso - molti mesi, con contrasti anche forti); e si sono evitate scelte come quella, per esempio, di affidare la selezione dei docenti da "promuovere" ai dirigenti scolastici o a meccanismi troppo autoreferenziali e praticamente ingestibili all'interno di ogni singola scuola. Soprattutto si è evitato che a essere "premiati" fossero i titolari di funzioni "altre" che - per quanto importanti nella vita della scuola - avrebbero introdotto un principio di gerarchizzazione per funzioni (le "figure di sistema") e avrebbero favorito, tra l'altro, un processo di "fuga dalla classe". Nel contratto nazionale di lavoro si ignora l'ipotesi di "figure di sistema", di docenti cioè che in qualche

modo si allontanano (definitivamente?) dall'insegnamento-apprendimento, mentre invece si regolano le funzioni-obiettivo che si aggiungono, per alcuni docenti, all'attività svolta in classe, funzioni comunque temporanee, assegnabili e revocabili ogni anno dal Collegio dei docenti.

 

Fin qui, grosso modo, le argomentazioni (e le giustificazioni) sul

versante sindacale in risposta alle tante domande degli insegnanti e alle richieste di precisazioni delle stesse associazioni professionali.

 

La natura del disagio

Approvato in via di principio, sia pure a maggioranza, e delineato nei criteri generali il nuovo istituto contrattuale della progressione stipendiale, tuttavia, dopo che sono state rese note le modalità attuative delle prove del "concorsone", tra i docenti sono andati crescendo disagio e preoccupazione: e questi solo in parte dovuti a fattori soggettivi. Molti infatti sono i fattori che rendono il "passaggio" oggettivamente difficile per tutti i protagonisti.

Di soggettivo, ma solo in parte, c'è che la categoria docente è stata disabituata per decenni a ogni seria prova di verifica del proprio lavoro; non per sua scelta ma per effetto di politiche scolastiche che poco si sono preoccupate di garantire qualità e sviluppo al nostro sistema scolastico - e quindi qualità e sviluppo dei livelli professionali complessivi - operando una sorta di tacito patto al ribasso ("vi diamo poco, fate poco"); una tendenza solo in parte contrastata da quanti tra i docenti, singoli o in gruppi, qualche volta organizzati in associazioni professionali, hanno cercato in qualche modo di mantenere alta la qualità della propria prestazione professionale e - ciò che più conta - dei risultati conseguiti.

Ora, data questa situazione, un mutamento repentino di rotta - e per un numero così grande di popolazione attiva - dovuto certo alla volontà di dare un segnale forte di cambiamento e necessitato dalla rapidità dello stesso processo di trasformazione in corso nella scuola, avrebbe richiesto da parte dell'Amministrazione strumenti e misure adeguate.

Così non è stato.

 

Un primo punto debole

Sono almeno due i punti di debolezza dell'operazione "sviluppo della professione docente", di prossima attuazione: la composizione delle commissioni giudicatrici e i contenuti culturali/professionali a cui far riferimento. Nel primo caso l'impreparazione è evidente: a giudicare della qualità culturale/professionale di docenti con oltre dieci anni di servizio di ruolo saranno chiamati - insieme a docenti universitari, presidi, ispettori, che fungeranno da presidenti delle commissioni - docenti in pensione da non più di cinque anni. La contraddizione è evidente: una valutazione del livello professionale oggi non può non essere riferita anche ai modi in cui nella scuola sono stati interpretati i cambiamenti avvenuti in questi ultimi due-tre anni; e anche se solo una parte dei potenziali commissari sono usciti dalla scuola con il dichiarato proposito di sottrarsi proprio a tali trasformazioni, in ogni caso tra essi nessuno ha avuto il modo di sperimentare da vicino che cosa siano, per esempio, un Pof o una funzione-obiettivo, introdotti nelle scuole solo quest'anno. Ci si giustifica dicendo che si tratta del primo "passaggio" - per di più di dimensioni notevoli - e che per prove analoghe negli anni futuri si potrà "pescare" tra i 150.000 nel frattempo "promossi". Ma non c'è dubbio che l'Amministrazione - che fortemente ha voluto l'introduzione dello "sviluppo professionale" - avrebbe dovuto prepararsi per tempo (è tutta da verificare quale efficacia avranno i brevi corsi che saranno predisposti per i commissari).

 

Un secondo punto debole

Un secondo, più profondo, punto di debolezza dell'operazione sta nella scarsa certezza circa i parametri culturali/professionali di riferimento delle prove stesse, sostanzialmente vaghi circa i contenuti quanto articolati e quasi prescrittivi nelle metodologie, ma privi di un "centro" capace di dare senso e significato all'insieme (e con un riordino dei cicli ancora sulla carta). Che cosa conterà di più - e quindi sarà valutato meglio - nel curricolo personale? Quale tipo e livello di complessità delle scelte didattiche e quale impostazione culturale risulteranno "privilegiate" attraverso le batterie di quesiti a scelta multipla?

La professionalità docente non è una cosa che si acquisisce una volta per tutte. Essa è il risultato di un percorso culturale ed esperienziale personale che è continuamente condizionato dagli orientamenti culturali/professionali impressi dalla stessa Amministrazione; la quale, nel tempo, ha fatto scelte contraddittorie e finanche destabilizzanti come quando, alla fine degli anni ottanta, a fronte di un'evidente crisi dell'offerta culturale/formativa della nostra scuola, invece di intervenire con una tempestiva revisione critica dei percorsi culturali, ritenne di orientare le scuole verso una generica azione socializzante ("star bene a scuola con se stessi e con gli altri" ecc.), operazione attraverso cui progressivamente si è rischiato di perdere di vista la funzione specifica della scuola e, analogamente, di snaturare, almeno in parte, la stessa funzione docente .

Ancora oggi, leggendo i risultati del monitoraggio del primo anno di sperimentazione dell'autonomia, appaiono nella scuola, accanto a non poche azioni di alta qualità professionale, tendenze radicate che vanno non nella direzione di ripensare il curricolo, nella sua globalità e complessità, ma di intervenire su aspetti marginali di esso, sul cosiddetto "aggiuntivo", un "nastro rosso" che può dar lustro ai singoli Istituti e trovare (facile) consenso da parte dei ragazzi ma che non garantisce significativi salti di qualità nella loro formazione.

La stessa Amministrazione con il decreto sulla sperimentazione dell'autonomia di quest'anno (n.179/99) ha perciò richiamato le scuole "a sperimentare modalità di flessibilità didattica e organizzativa nell'ambito di un organico piano dell'offerta formativa..." autorizzando le scuole a sperimentare "la riorganizzazione dei percorsi didattici, nell'ambito degli attuali programmi...... "; cioè i programmi del 1979 della media, del 1985 delle elementari, del 1991 (orientamenti) della materna e i programmi degli anni sessanta e i programmi "Brocca" e successivi della secondaria superiore: programmi al tempo giudicati validi, anche se criticabili, ma che rappresentano, per la verità, il progetto culturale/formativo (piuttosto disorganico, come dimostrano le date) di una scuola ancora lontana dal processo di autonomia e di modernizzazione avviato da due-tre anni a questa parte.

 

Un progetto non ancora definito

Dunque, ricompare anche in vista di questa impegnativa prova "per i sei milioni", il problema della ancora non chiara definizione del tanto atteso nuovo progetto di scuola, in grado di dare contenuto e significato allo stesso processo di autonomia; e ciò è motivo di incertezza, se non di confusione, per le scuole e per chi in esse opera.

Una professionalità docente si struttura soprattutto in rapporto

all'idea di scuola che si vuole affermare, al progetto culturale/formativo a cui essa si ispira, al sapere che intende

veicolare: cose ancora da definire. Il dibattito sui saperi si è aperto ma le conclusioni sono ancora lontane. Il disagio, perciò, nasce dal doversi adattare a una prova da cui si dovrà scegliere (fino ad un tetto di 150mila unità) chi più si avvicinerà a modelli professionali (curriculum, conoscenze, competenze) dal fondamento istituzionale non ancora ben delineato: alla difficoltà soggettiva, culturale e psicologica, di passare dal vecchio al nuovo - anche quando se ne avverte la necessità - si somma perciò quella, oggettiva, derivante dall'incertezza di un processo di cambiamento non concluso nelle sue linee progettuali, e non chiaro circa la sua possibile evoluzione.

Avere consapevolezza di tutto ciò non riduce certo le difficoltà di affrontare il "concorsone" - dove tuttavia la capacità di stare in.classe (quella costruita con una lunga personale esperienza) sarà pur sempre la più valutata (fino al 50%) e dove comunque coloro che negli anni hanno cercato di "fare di più e meglio" risulteranno generalmente favoriti (curriculum e discussione sullo stesso) -. Ma almeno tale consapevolezza permetterà di orientarsi meglio e con maggiore serenità.rispetto all'idea di doversi pubblicamente misurare con la qualità del proprio lavoro: una prova incentrata su un'idea di professionalità in via di rinnovamento - ma non ancora sufficientemente delineata - potrà dar luogo anche a esiti incerti e a valutazioni relative e qualche

volta, purtroppo, poco veritiere. Tale prova, perciò, inevitabilmente destinata a essere motivo di amarezza per quanti saranno o si sentiranno esclusi ingiustamente dal beneficio economico, non sarà (non dovrà essere) in ogni caso, per chiunque vi partecipi, la messa in gioco della propria credibilità - verso se stessi e verso gli altri - né del proprio impegno professionale serio quando questo sia in concreto reso esplicito quotidianamente nella scuola.

 

Ermanno Testa