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Dell’educare. 93
“…del maestro e del pedante…“
Aldo Ettore Quagliozzi
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Forse in nessuna delle altre attività umane, nelle cosiddette arti liberali, i due estremi, “del maestro e del pedante“, sintetizzati nel titolo, coesistono e si toccano senza mai venire a confronto. Una coesistenza pacifica, ben tollerata dall’istituzione. E tutto ciò avviene, almeno all’interno della scuola pubblica del bel paese, poiché poco confronto vige in quel mondo che consenta una separatezza forse introvabile in altri ambiti professionali. Non esistendo un riconosciuto e sollecitato vero lavoro di equipe, ciascun docente-educatore è portatore solitario ed indiscusso del “suo metodo“ che assurge ad unica realtà e strumentazione didattico-pedagogica, non contestabile né confrontabile all’interno di una normale dialettica professionale o pseudo-professionale che sia. E sì che ne ho conosciuti di “pedanti“ nel corso della mia attività lavorativa nella scuola pubblica del bel paese! Una volta richiusa la porta dell’aula alle proprie spalle, saliti in cattedra, ciascuno prova a divenire il “maestro” per i giovani che si hanno di fronte, ma il più delle volte, da quel solitario non sollecitato impegno, ne sortisce amaramente il “pedante” ripetitore zelante di nozioni, dati e quant’altro che nulla condividono con la nobile arte dell’educare. Nel segreto, si fa per dire, delle mura delle aule scolastiche, si consumano i più grossi “misfatti” della pedanteria educativa che si possano immaginare.
Di seguito trascrivo un breve appunto conservato gelosamente e ritrovato tra le mie “sudate carte”. Con un rammarico: di esso non ritrovo riportate le indicazioni dell’Autore, sicuramente illustre, ed il lavoro dal quale il breve appunto è stato tratto. Me ne dolgo assai, ma vale tanto leggerlo, poiché riesce, con rapide magistrali “pennellate” a descrivere quei due opposti, “il maestro ed il pedante” per l’appunto.
“(…) Nelle sue diverse funzioni (...) la scuola si pone comunque come luogo separato, sospensione del tempo normale e creazione di un tempo particolare che non coincide con quello del lavoro e della lotta quotidiana per la sussistenza: scuola è prima di tutto tempo libero, riposo, pausa e tregua (...). L’attività della scuola si definisce così al di fuori di una mera funzionalità, come esercizio di libertà dai vincoli esterni, coltivazione di un tempo interno, in una libera disponibilità che precede occupazioni concrete, ma che pure si apre verso di esse. (...)... l’immagine del rapporto pedagogico tende di solito a far capo alle due figure opposte del maestro e del pedante, (...) il primo, figura positiva che può raggiungere anche le vette del sublime, è detentore di valori autentici ed essenziali, che sa trasmettere con severità e dolcezza, ed è dotato di un carisma e di un’autorità riconosciuta sia dai giovani educandi che dagli adulti che glieli affidano; il secondo, figura irrimediabilmente comica che può subire anche la violenta deformazione del grottesco, è invece depositario di una cultura meccanica e rancida, chiusa in orizzonti ristrettissimi e limitata a minuzie esteriori e puerili. Se il grande maestro rappresenta l’educazione come valore supremo, garanzia di continuità della cultura e dei valori sociali, il pedante rappresenta la sua degradazione, il suo frantumarsi nell’esercizio più asfissiante e subalterno, la cieca assolutizzazione dei più bassi gradini della cultura. (…).”
marzo 2011
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