Il disastro di Monongah
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Il disastro di Monongah
(a cura di Mimmo Curcio)





Nei primi anni del ventesimo secolo, la West Virginia venne messa a soqquadro dalla violenza e da veri e propri episodi di guerra. Responsabili furono il carbone e la rapacità di coloro che fecero la propria fortuna con la sua estrazione. Il pregiato combustibile ha fatto la fortuna di pochi e ha provocato una vita miserevole a molti”. Con queste parole il premio Pulitzer Charles Stafford ha descritto benissimo quanto è avvenuto in West Virginia nei primi anni del 900 dove, in effetti, gli scontri tra minatori che chiedevano migliori condizioni di lavoro e polizia che difendeva i “padroni”, furono aspri e causarono molte vittime.

Con tutto questo a Monongah, uno dei numerosissimi piccoli villaggi che nascevano in prossimità delle miniere e situato nel nord del West Virginia, la mattina del 6 Dicembre 1907 i minatori italiani, polacchi, slavi e turchi, si recarono regolarmente al lavoro. Si ritrovarono, in un misto di dialetti a volte incomprensibili, davanti agli ingressi 6 e 8 alle ore 5.30 del mattino. I due ingressi distavano tra loro circa 3 Km ma erano collegati da un tunnel sotterraneo a ferro di cavallo che, grazie alle moderne attrezzature, consentiva una maggiore redditività. Il carbone estratto nelle miniere di Monongah, in concessione alla Fairmont Coal Company, sussidiaria della Consolidation Coal Company, era, a quel tempo, il migliore del mondo come qualità. Miniere considerate modello poichè fornite di macchinari che tagliavano il carbone e di locomotive che lo trasportavano e dove le aree interne erano dotate di grandi ventilatori.




La mattine di quel 6 Dicembre faceva un gran freddo perchè arrivava un vento gelido dai vicini Monti Appalachi (che prima dell’arrivo dei bianchi erano abitati da tribù indiane: infatti Monongah altro non significa in antico dialetto indiano che “lupo”) e tra i moltissimi minatori che erano pronti a scendere nelle gallerie c’era un numero considerevole di clandestini, cioè lavoratori non ufficialmente registrati. Tra questi ultimi molti erano ragazzi, detti “raccoglitori di ardesia o ragazzi dell’interruttore”. I clandestini erano ammessi a lavorare in base al “buddy sistem” o “pal sistem” che consentiva a chiunque dei minatori titolari di portarsi un aiutante con cui dividere, poi, il proprio salario.

Alle 7 del mattino di quel 6 Dicembre, secondo la testimonianza di L. Malone, direttore delle gallerie 6 e 8, al “Fairmont Times”, erano entrati 478 minatori e un centinaio di operai addetti ai muli, alle pompe e ad altre attività. Tra le 10.20 e le 10.28 di quel 6 Dicembre 1907, dentro e fuori le miniere 6 e 8 si scatenò l’inferno: esplosioni di violenza inaudita si scatenarono provocando un vero e proprio terremoto che scosse la terra sino a 12 Km di distanza. Un misto di polvere di carbone e gas metano trasformò i due tunnel in una immensa camera ardente. Un primo conteggio ufficiale stabilì il numero delle vittime in 361 uomini e ragazzi, 171 dei quali certamente italiani. Si trattò, secondo anche quanto hanno affermato i giornali dell’epoca, della più grande tragedia mineraria della storia degli Stati Uniti.

Moltissimi minatori rimasti sepolti in quelle miniere erano calabresi provenienti da S.Giovanni in Fiore, S.Nicola dell’Alto, Gizzeria e da altri paesi del versante jonico della Calabria. Morirono, fra gli altri, 11 appartenenti alla famiglia Di Salvo di S.Giovanni in Fiore. Di moltissimi altri non si sa niente poichè la bare aperte furono sepolte su una collina, senza un nome o una croce che li ricordi. Ci furono così tante vittime che le bare dovettero essere allineate lungo le strade del villaggio e molte famiglie non poterono riconoscere i loro cari. Su una popolazione di 3000 anime più di 1000 bambini rimasero orfani. Dobbiamo a molti di loro le testimonianze su questa tragedia e padre Everett F. Briggs, sacerdote di 93 anni e memoria storica della tragedia, si chiede come mai, ancora oggi, nessuno dall’Italia si è mosso per ricordare e fare luce su quei fatti ma, soprattutto, per dare un nome e un volto a quei 500 minatori italiani sepolti su quella fredda collina.

Una corrispondenza da Washington, datata 9 Marzo 1908, dopo la fine delle indagini e inchieste sosteneva che il vero bilancio del disastro di Monongah fu di 956 minatori morti. Molte sono le dichiarazioni e testimonianze giurate che confermano queste cifre. Non ci fu Natale quell’anno a Monongah come scrisse in un suo libro dedicato alla tragedia Eugene Wolf. Fu una tragedia immane ma quanti furono i minatori italiani e calabresi morti, in quegli anni, negli scontri derivanti dagli scioperi in tutta la West Virginia?

Le aziende costruivano intere città e le dividevano, sempre a pagamento, in rioni per bianchi, neri e immigrati. Da ricordare che gli italiani e, in particolare i meridionali, non erano considerati bianchi ma molto vicino ai neri. I lavoratori dovevano comprare gli utensili, e tutto il necessario per poter lavorare, nei negozi sempre di proprietà delle stesse aziende. Spesso, infatti, i minatori erano pagati in buoni redimibili solo presso quei negozi di cibo e altri beni. Erano condizioni inaccettabili e, molte volte, i lavoratori rimanevano schiacciati da questo ingranaggio micidiale che li costringeva a lavorare per anni presso la stessa azienda in un clima di asservimento e ricatti vari.

Il 1907 si concluse con un bilancio di 3000 minatori morti negli Stati Uniti, tra incidenti, scoppi e scontri con la polizia durante gli scioperi. Quanti furono i minatori italiani cacciati di casa nel 1912 dopo uno sciopero a Paint Creek? E quanti rimasero coinvolti nel “Massacro di Matewan” il 19 Maggio 1920 negli scontri con la polizia privata Baldwin-Fets ? E quanti nella battaglia di 5 giorni contro lo stesso corpo di polizia finita solo dopo l’intervento dell’esercito ?
Quante vittime senza un nome e senza un volto.

Questo è un capitolo della storia dell’emigrazione che andrebbe sicuramente approfondito per rispetto a questi caduti sul lavoro. Dobbiamo a Mimmo Porpiglia, direttore di “Gente d’Italia” le notizie sulla tragedia di Monongah e merita attenzione la proposta di commemorarare degnamente queste vittime che con il loro lavoro e sacrificio hanno reso grandi le varie nazioni del mondo. E’ anche ora che venga fatta piena luce, con studi seri e approfonditi, su molti fatti avvenuti negli Stati Uniti agli inizi del 900, per sfatare il mito degli italiani crumiri e ignoranti considerati, per molti anni, un mezzo scalino più in basso dei neri. Infine è da prendere in seria considerazione la proposta di costituire un sacrario per ricordare queste vittime nelle vicinanze dell’aeroporto di Lamezia Terme


http://www.curinga.it/monon.html



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