La danza del corpo femminile - Ai Cantieri Goldonetta la coreografia dell'israeliana indipendente Yasmeen Godder
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La danza del corpo femminile
Ai Cantieri Goldonetta la coreografia dell'israeliana indipendente Yasmeen Godder
«Two Playful Pink» Tre lunghe sequenze attraversate dall'urgenza della riconquista del sé.
«Il personale è politico», ricordano le note di regia.
In duo con Iris Erez per esplorare le relazioni umane e la solitudine


GIANNI MANZELLA


   


Nella vasta navata della chiesa sconsacrata di Santa Maria, in Oltrarno, si entrava con una sorta di timore, in altri tempi, quando Kantor preparava a Firenze il suo Wielopole Wielopole. E sembra ancora di risentire le urla insoddisfatte del grande polacco, durante le faticose prove dello spettacolo. Ora però il complesso è stato accuratamente restaurato e con il nome di Cango, acronimo che sta per Cantieri Goldonetta, è diventato uno spazio dedicato alle nuove espressioni della danza e alle sue contaminazioni, sotto la direzione artistica di Virgilio Sieni. Soffitto a capriate. Alte pareti dipinte a trompe-l'-oeil. Luci rosate. Uno spazio persino troppo sontuoso, verrebbe da dire, per lo scabro universo sentimentale inscenato da Yasmeen Godder, ospite qui di Fabbrica Europa - il festival di maggio ha allargato i propri confini ma il cuore della manifestazione resta alla Leopolda, l'ottocentesca stazione ferroviaria del ducato toscano dove da più di un decennio ha sede. Trentenne, israeliana, Godder è uno dei nomi nuovi della scena di danza indipendente. Danzato in duo con Iris Erez, Two Playful Pink è fra suoi lavori recenti (risale al 2003) e rappresentativo di un battagliero spirito di affermazione. Il personale è politico ricordano le note che l'accompagnano, rispolverando un vecchio slogan del femminismo storico. E non c'è dubbio che in questa chiave lo si possa leggere. Il corpo, il corpo della donna, è con tutta evidenza il contenuto del lavoro, e il mezzo per esprimerlo. O meglio, lo è la rappresentazione del corpo della donna, la sua messinscena nel pubblico come nel privato. Il suo essere oggetto di desiderio e veicolo di comunicazione sociale, medium e messaggio. Eccole infatti, le due interpreti, a turno vengono avanti dalla parete di fondo contro cui stanno appoggiate all'inizio. Come per presentarsi.


Uguali e diversissime. Gonna nera e maglietta colorata. Una alta e di una chiara bellezza nordica, l'altra scura, mediterranea. Danzano con le mani e coi fianchi, fanno smorfie col viso, mimano un sorriso stereotipato. Si specchiano l'una nell'altra, in una gag che appartiene agli annali della comicità, da Totò a Groucho Marx. Finiscono a terra a gambe larghe, la mano sul sesso, in una finzione di masturbazione senza eros, senza piacere. Tutto del resto è finzione in queste immagini che in qualche modo riconosciamo, che appartengono a uno sguardo (pubblicitario, televisivo...) che ci è familiare. Poi il set termina, come in un incontro sportivo. Ognuna torna al proprio angolo. Si asciugano, si cambiano d'abito a vista, nella penombra. Quando riprendono è cambiata anche la musica, e con essa il clima emotivo. Sono le canzoni di P.J. Harvey a dettare il ritmo, non più le immobili strutture sonore della musica colta contemporanea.


Two Playful Pink è costituito da tre lunghe sequenze in cui si produce un progressivo slittamento del fuoco dello spettacolo. Che ora è concentrato sul rapporto a due, più intimo a dispetto dello sguardo esterno cui non si sottraggono. Si girano intorno. Si maneggiano, con una sorta di distrazione. Si appoggiano l'una all'altra che sembra volerla respingere, pelle contro pelle. Si scambiano cattiverie, veri e propri colpi bassi. Allora ti accorgi che le cose non sono così semplici come si annunciavano. Che non c'è in gioco soltanto una condivisibile denuncia della costrizione espositiva del corpo femminile. Che anzi racchiudere lo spettacolo nel recinto della denuncia sociale rischia di essere fuorviante. Che insomma Yasmeen Godder parla di qualcosa che tocca tutti da vicino. E la dolcezza ipnotica della musica seriale, che torna nella terza parte, non rende meno doloroso il senso di solitudine che sembra scaturire dal gioco degli incontri. La stessa finzione dell'eros, amplificata dalle grandi protesi che ora le due interpreti portano sul petto, iperbolici seni da titillare e strizzare, lascia il posto a un sentimento struggente, davanti a quei corpi intrecciati che d'improvviso sembrano toccati da una grazia che prima non avevano. E corrono, corrono a perdifiato, stringendo fra i denti il lembo della gonna sollevato, negando finalmente allo sguardo la parte di sé riconquistata.


il Manifesto - 25 Maggio 2005



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