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Riletture.
Una riflessione sulla guerra (titolo del redattore)
Aldo Ettore Quagliozzi
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Se non siete proprio dei “trinariciuti“, così come soleva esprimersi Curzio Malaparte, e consentite quindi che le opere fondamentali dell’ingegno umano possano esistere e circolare anche in una forma o versione non pensata dal genio creatore, allora mi permetto di consigliarvi la lettura dell’ultima fatica di Alessandro Baricco “Omero, Iliade“ della quale fatica la Rai, benemerita non sempre, ha trasmesso alcuni mesi addietro la lettura completa dal nuovo auditorium della musica di Roma, nel corso di ben tre serate estive.
Da ascoltatore ho potuto apprezzare molto la fatica di Alessandro Baricco per radio, e solo successivamente ho provveduto a leggere il volumetto edito dalla Feltrinelli; ebbene, nel corso della mia personale lettura l’eco non spenta dell’ascolto mi ha fatto quasi da sottofondo ed accompagnato nella lettura, a riprova dell’imprinting creato nel corso dell’ascolto e dei pensieri e delle riflessioni indotte.
A questo proposito propongo la rilettura di una riflessione di Umberto Galimberti apparsa su di un supplemento del quotidiano “la Repubblic“ col titolo “A chi piace la guerra“.
“… a differenza della donna, all'uomo manca "l'esperienza viscerale della vita" nel suo momento creativo, e perciò a questa esperienza l'uomo può accedere solo nel suo momento distruttivo che è la guerra.
Inoltre, privo com'è del vissuto della generazione, l'uomo non conosce veramente l'altro, perché, a differenza della donna, non fa quell'esperienza viscerale, dove il corpo da uno diventa due, da mio diventa anche altro.
Queste ( … ) significative considerazioni, davvero meritevoli di riflessione, ( … ), non possono ( … ) essere indirizzate a Baricco, la cui visione "estetica" della vita è quanto di più lontano possa esistere dall'esperienza "viscerale" della vita.
Alessandro Baricco infatti nella postfazione alla sua nuova versione dell'Iliade, parla della "bellezza della guerra".
Scrive: "Quel che forse suggerisce l'Iliade è che nessun pacifismo oggi deve dimenticare o negare quella bellezza: come se non fosse mai esistita. Dire e insegnare che la guerra è un inferno e basta è una dannosa menzogna. Per quanto suoni atroce, è necessario ricordare che la guerra è un inferno ma bello".
Ma in cosa consiste questa bellezza e soprattutto a cosa si riferisce? Non alla guerra ma al "mito" della guerra.
Creato dai poeti, dagli storici, dai cineasti, dai romanzieri, dalle nazioni, con la sua capacità di eccitare, col gusto dell'esotismo, con l'allucinazione del potere che conferisce, con la possibilità di migliorare il proprio rango sociale, con l'animazione delle perversioni più sinistre, da quelle sessuali a quelle necrofile, non la guerra, ma il mito della guerra può dare a quanti attribuiscono scarso significato alla loro esistenza, ai dannati della terra, ai profughi impoveriti, ai senza diritti che emigrano, persino ai giovani che vivono nella splendida indolenza e sicurezza del mondo opulento, uno scopo, un senso, una nobile ragione per vivere.
In realtà la guerra non è eroica, ma semplicemente necrofila, non solo perché ammazza, ma perché richiede a ciascun combattente una certa familiarità con la propria morte.
La necrofilia è fondamentale per il mestiere delle armi, così come lo è per la formazione dei kamikaze.
Quando ci sembra di non aver più niente per cui vivere, o nei momenti in cui l'intossicazione della guerra è al massimo, la necrofilia getta in quello stato di frenesia in cui tutte le vite umane, compresa la nostra, sembrano secondarie. Gli antichi Greci avevano un termine per indicare questa pulsione.
La chiamavano ekpyrosis, che significa essere consumati da una palla di fuoco. Usavano questo termine per descrivere gli eroi.
Ma oltre agli "eroi", la guerra ci consegna i "reduci", a proposito dei quali Chris Hedges, nel suo bellissimo libro ‘Il fascino oscuro della guerra‘ (Laterza), riferisce che in occasione della guerra arabo-israeliana del 1973 che durò solo una settimana, un terzo dei militari israeliani ebbe gravi problemi mentali, mentre uno studio sulla seconda guerra mondiale ha stabilito che dopo sessanta giorni di combattimento il 98% dei soldati sopravvissuti hanno subito danni psichiatrici che condussero alcuni al suicidio, altri a interminabili cure o a permanenti disadattamenti sociali.
Per costoro la guerra non finisce mai perché, come ci ricorda Platone: "Solo i morti hanno visto la fine della guerra".
Alla luce di questi dati e di queste considerazioni, dopo aver letto l'Iliade nella nuova versione di Alessando Baricco (Feltrinelli) si leggano le Poesie di guerra di Wilfred Owen (Einaudi) per non confondere l'estetica della guerra con la sua truculenza, che Owen così descrive:
"Se in qualche orribile sogno anche tu potessi metterti al passo dietro al furgone in cui lo scaraventammo, e guardare i bianchi occhi contorcersi sul suo volto, il suo volto a penzoloni, come un demonio sazio di peccato; se potessi sentire il sangue, ad ogni sobbalzo, fuoriuscire gorgogliante dai polmoni guasti di bava osceni come il cancro, amari come il rigurgito di disgustose, incurabili piaghe su lingue innocenti - amico mio, non ripeteresti con tanto compiaciuto fervore a fanciulli ansiosi di farsi raccontare gesta disperate la vecchia Menzogna: Dulce et decorum est pro patria mori".
febbraio 2005
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