La ''bancarizzazione dei nuovi italiani'': l'immigrazione cambia fisionomia
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La ''bancarizzazione dei nuovi italiani'': l'immigrazione cambia fisionomia

L'Abi presenta il primo studio organico sull'argomento. La stragrande maggioranza degli immigrati giunti in Italia si è stabilizzata. Da qui la necessità, per il sistema economico e bancario, di conoscere meglio la situazione

- Sono un milione e mezzo i clienti immigrati delle banche italiane - La figura dell'immigrato ''bancarizzato'': non più solo rimesse

ROMA - Dall’inizio degli anni novanta l’immigrazione in Italia ha cambiato fisionomia. Gli immigrati presenti sul nostro territorio sono sempre di più, una generazione si è stabilizzata e radicata, cambiano nel frattempo i flussi e i paesi di provenienza. Da una immigrazione caratterizzata essenzialmente dalla presenza di persone provenienti dal nord Africa, dal maghreb e dalle Filippine, ora i flussi si sono notevolmente modificati e in termini di percentuali sembrano dominare gli immigrati provenienti dall’Europa orientale e dall’ex blocco sovietico, fenomeno che ha fatto parlare di “europeizzazione” dell’immigrazione in Italia.

E’ questa la base di partenza analitica della recente ricerca curata dall’Abi, l’associazione delle banche italiane e del centro studi Cespi sulla “bancarizzazione dei nuovi italiani”.


Si tratta del primo studio organico su un argomento che solo qualche anno fa avrebbe potuto sembrare assurdo. Gli immigrati, quando il fenomeno ha cominciato a investire sul serio anche il nostro paese, erano considerati gente povera, che spesso fuggiva dai paesi di provenienza per le estreme condizioni di disagio economico e sociale o per la guerra. Profughi o poveri, comunque gli ultimi della terra. L’immigrazione è negli anni cambiata, come è cambiata nel corso di un secolo la nostra emigrazione all’estero. La stragrande maggioranza degli immigrati si è sabilizzata e ora siamo già al primo passaggio di generazioni. Da qui la necessità, per il sistema economico e in particolare per il sistema bancario, di conoscere meglio la situazione per adeguare le strategie di intervento alle reali esisgenze delle persone.



Nella ricerca Abi-Cespi si delinea quindi per prima cosa il cambiamento avvenuto. Prima di tutto in termini numerici, visto che nel 1991, secondo i dati forniti dal Dossier Caritas (ormai accreditato come una delle fonti principali in tema di immigrazione-emigrazione), c’erano in Italia 649 mila immigrati soggiornanti. Nel 2004 la cifra era già molto cambiata: 2.786.000 persone. La spinta è stata diversa, ma si è verificato un vero e proprio boom dall’inizio del nuovo secolo. Dal 2000 ad oggi, infatti, la popolazione immigrata è quasi raddoppiata e il fenomeno, secondo le stime degli esperti, è destinato a durare, con un possibile ulteriore nuovo raddoppio nell’arco dei prossimi dieci anni. Cambiano anche le provenienze. “L’ondata degli ingressi registrati negli ultimi anni – si legge nell’analisi di Sebastiano Ceschi del Cespi – segna una significativa variazione rispetto alle aree continentali di provenienza dei flussi: aumentano infatti in maniera significativa gli immigrati provenienti dall’Europa Orientale, che diventa la principale area di partenza dei flussi che investono il nostro paese”. Il fenomeno, spiegano i ricercatori è particolarmente evidente se si guarda alle graduatorie sugli immigrati oggi in Italia. Al primo posto c’è oggi la comunità dei rumeni, mentre al terzo posto si collocano gli albanesi. Poi però ci sono forti spinte dall’Ucraina (i cui immigrati sono cresciuti del 200 per cento tra il 2002 e il 2003) mentre aumentano progressivamente i moldavi e i polacchi. Dalla Polonia l’immigrazione si era un po’ fermata, ora invece ha ripreso con forza.

Il processo di “europeizzazione” dell’immigrazione italiana è comunque evidente se si mettono a confronto tutte le percentuali. Dall’Europa provengono – sui 2.800.000 totali – circa 1.300.000 persone (che equivalgono al 46,3 per cento del totale). Dall’Africa provengono attualmente 647 mila persone (il 23,2% del totale), dall’Asia 472 mila (16,9 per cento), dall’America 314 mila persone, ovvero circa l’11 per cento del totale. E infine tra Oceania e apolidi ci sono altre 7000 persone, una minoranza che equivale allo 0,2 per cento.



L’immigrazione italiana è poi sempre più matura, preparata e radicata nel sistema produttivo. Aumentano anche le famiglie che si stabilizzano e anche il numero degli stranieri coniugati è aumentato sensibilmente dal secolo scorso, passando dal 40,7 per cento del 1991 al 49,9 per cento del 2003. Nascono più bambini stranieri in Italia e la maggioranza dei minori presenti nel nostro paese tende ad essere più africana. In ogni caso sia la tendenza all’europeizzazione, sia la maggiore propensione a fare figli degli africani determinano la nuova faccia dell’inserimento familiare degli stranieri. Sempre dalle elaborazioni effettuate dall’Abi e dal Cespi, si capisce che la propensione più forte all’insediamento familiare si riscontra tra gli immigrati provenienti dall’area balcanica e tra quelli provenienti dal Nord Africa. Cominciano ad essere forti, comunque, gli insediamenti familiari indiani, cinesi e da alcune zone dell’Africa sub sahariana, ovvero Ghana e Senegal.



Lo studio dell’Abi, che ha come obiettivo quello di cogliere le nuove opportunità del servizio bancario per queste fasce della popolazione immigrata, prende anche in considerazione i luoghi del paese dove è diventata più radicata e consolidata la presenza degli immigrati e le zone del mercato del lavoro maggiormente occupate dai “nuovi italiani”. In alcune zone, infatti, è stata l’industria manifatturiera ad attirare maggiormente gli immigrati. In altre sono i servizi del terziario ad essere il luogo di arrivo e poi di radicamento degli immigrati. Le forme di lavoro più precario, incerto e comunque irregolare sono tuttora sviluppate soprattutto nel Meridione. Cambiano anche le forme di assistenza e cambiano rapidamente i bisogno dei nuovi italiani che cominciano ad esprimere profili simili ai vecchi italiani per quanto riguarda il rapporto con i soldi. All’inizio, infatti, il rapporto più importante tra banche e immigrati era basato sul fenomeno delle rimesse verso i loro paesi. Il problema principale della prima generazione di migranti era quello di mandare i soldi alle loro famiglie che erano rimaste nei paesi d’origine. Ora l’integrazione socio-economica sta cambiando il quadro dei bisogni e del rapporto tra banche e nuovi italiani. (pan)

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Sono un milione e mezzo i clienti immigrati delle banche italiane

La cifra è destinata a crescere; 1.197.200 sono i clienti provenienti dai paesi in via di sviluppo. e dai paesi considerati in transizione. Il tasso di bancarizzazione dei migranti adulti regolari in Italia è del 57,1%. Ricerca dell'Abi

ROMA - Una cifra di tutto rispetto. Circa il 60 per cento degli immigrati ha un rapporto con la banca. C’è stato dunque un grande sviluppo della clientela dei “nuovi italiani” e le potenzialità di crescita di questo bacino di utenza per le banche sono ancora molto alte. In termini assoluti si tratta di oltre un milione e mezzo di persone. E’ una cifra destinata a crescere rapidamente. Nella ricerca curata dall’Abi (associazione delle banche italiane) e dal Cespi, di cui si parlerà a Roma in un convegno organizzato il 24 e 25 ottobre prossimi, si analizza la situazione attuale e soprattutto le prospettive future. Le ipotesi prese in considerazioni e le stime sul tasso di bancarizzazione dei migranti indicano comunque percentuali abbastanza alte. Secondo queste stime, il 60 per cento dei residenti stranieri in Italia ha un rapporto diretto con le banche. In altre parole – se queste stime sono corrette – possiamo dire che sei cittadini su dieci hanno un rapporto con la banca.

I dati contenuti nella nuova ricerca Abi-Cespi, sulle strategie e i prodotti per l’inclusione finanziaria, sono molto attendibili perché si basano sulle informazioni raccolte dalle banche commerciali. Si tratta di dati provenienti dal 62,5 per cento degli sportelli in funzione su tutto il territorio nazionale. La cifra che l’Abi ha individuato a proposito dei clienti migranti si attesta su 1.439.299. Da questa cifra dovranno però essere sottratti i clienti dei paesi più ricchi, o quantomeno ad alto reddito, tra cui anche quelli dell’Unione europea. La sottrazione e le stime danno quindi la cifra di 1.197.200 clienti provenienti dai paesi in via di sviluppo. e dai paesi considerati in transizione. Secondo José Luis Rhi-Sausi, del Cespi, la cifra complessiva degli immigrati clienti delle banche italiane è comunque abbastanza sorprendente. “Infatti – spiega Rhi-Sausi nel rapporto Abi-Cespi – se si sottraggono ai 2.786.340 soggiornanti regolari alla fine del 2004, la quota relativa ai minori (491.230) e quella riferibile ai cittadini provenienti dai paesi ad alto reddito (circa 200 mila), si ottiene la cifra di 2.095.110 immigrati in età adulta”. Questo significa che il tasso di bancarizzazione dei migranti adulti regolari in Italia è del 57,1 per cento. E queste cifre non tengono conto della rete degli sportelli Banco-Posta, la cui entità non è da consirarsi trascurabile. Insomma almeno il 60 per cento degli immigrati regolari presenti nel nostro paese è cliente delle banche.

Non è un fenomeno antico, visto che il processo non si è avviato in sintonia con i flussi migratori. In tutta una prima fase i migranti non hanno avuto i rapporti che hanno oggi con il sistema bancario nazionale. Solo negli ultimi anni e in particolare dal 2001 il processo ha subito una vera e propria accelerazione. Quasi tutte le banche interpellate per la compilazione dei questionari, che sono stati poi alla base della ricerca dell’Abi, hanno dichiarato che i loro clienti immigrati sono diventati tali nel giro degli ultimi cinque anni. Più del 60 per cento dei clienti immigrati delle banche è diventata tale dopo la grande crisi finanziaria del 2000-2001. Un incremento che si può spiegare anche alla luce della regolarizzazione degli immigrati che c’è stata nel 2002. E’ ovvio infatti che un immigrato può aprire un conto in banca solo se regolare.



La domanda è diventata all’improvviso molto forte, una domanda che secondo la ricerca Abi è da attribuire soprattutto al meccanismo del canale bancario per il pagamento degli stipendi. Ma le banche italiane hanno anche risposto alle sollecitazioni delle persone immigrate. Le banche hanno sperimentato diverse forme di rapporti e hanno via via cambiato le loro strategie e l’approccio complessivo. “Dopo un primo periodo contrassegnato dalla polarizzazione tra una visione universalistica (i migranti sono clienti come gli italiani) e una visione particolaristica (sportelli dedicati o addirittura banche per gli immigrati), è ormai prevalente tra le banche interpellate l’idea che si debbano evitare discriminazioni, sia positive che negative, e che l’utilizzazione di servizi o di sportelli dedicati sia unicamente funzionale alle strategie di marketing per raggiungere la clientela immigrata”. La vera distinzione che si fa oggi quindi, a livello generale, non è più tra italiani e immigrati come si faceva qualche anno fa, ma tra immigrati in via di integrazione e gli immigrati di recente arrivo in Italia. (pan)

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La figura dell'immigrato ''bancarizzato'': non più solo rimesse

Il processo di integrazione degli immigrati regolarizzati è andato molto avanti e produce nuovi comportamenti e nuovi bisogni. Alla nuova domanda corrisponde un offerta di servizi bancari sempre più sofisticata. Rapporto Abi

ROMA - Esiste una nuova figura di risparmiatore in Italia? L’immigrato “bancarizzato”? Probabilmente sì perché il processo di integrazione sociale ed economica degli immigrati regolarizzati è andato molto avanti e produce ormai nuovi comportamenti e nuovi bisogni degli individui. A questa nuova domanda corrisponde poi un offerta di servizi bancari sempre più sofisticata. E’ la tesi sostenuta dal recente studio curato dall’Abi, l’associazione delle banche italiane e dal Cespi (vedi i lanci precedenti). Dalla ricerca possiamo trarre dunque anche una sorta di identikit dell’immigrato risparmiatore in Italia.

La prima differenza tra i comportamenti degli stranieri in Italia di dieci anni fa e quelli attuali sta proprio nella diversificazione della domanda. Inizialmente il sistema bancario era utilizzato solo per la rimessa dei soldi all’estero e per il pagamento degli stipendi. Oggi invece l’immigrato regolare in Italia usa molti atri servizi.

Prima di tutto i servizi di conto corrente di base, tra cui il deposito bancario, i bonifici, gli addebiti il pagamento delle diverse utente (luce, affitti, gas, ecc.).

L’altro servizio molto utilizzato è ovviamente quello delle carte pre-pagate e delle ricaribabili varie.

Si continuano poi a utilizzare moltissimo tutti i servizi legati alle rimesse. Ci sono in questo senso gli accordi con le banche estere, le convenzioni con agenzie di money transfer, i bonifici transfrontalieri a condizioni particolari e l’utilizzazione delle carte pre-pagate per il ritiro del contante nei paesi d’origine.



L’altro modo di utilizzare le banche da parte degli immigrati è quello del settore del credito al consumo, ovvero i mutui per l’acquisto di abitazioni, i prestiti personali e i prestiti finalizzati.

Sempre secondo la ricerca Abi-Cespi, i migranti esprimono richieste finanziarie più articolate di quelle espresse normalmente dai clienti italiani. Il risparmiatore migrante ha infatti le stesse esigenze dei nostri connazionali a cui somma però una domanda di servizi ulteriori, quali appunto quelli legati alle rimesse verso l’estero. Il nuovo risparmiatore migrante ha dunque la coscienza di esprime una doppia domanda nei confronti del sistema bancario. “Gli immigrati – scrive Sebastiano Ceschi del Cespi – vogliono poter essere considerati possessori di entrambe le caratteristiche (italiani e non italiani) e scegliere di attivare contestualmente istanze e bisogni legati all’uno o all’altro dei territori tra cui si muovono le loro esistenze”. E’ il noto fenomeno sociale della “doppia appartenza” che si traduce in questo contesto nella doppia appartenenza anche dal punto di vista economico e finanziario. In questo contesto si forma il “transnazionalismo”.

Dal punto di vista delle persone, oltre quello dei servizi, il discorso si fa obiettivamente più complesso perché il migrante esprime strategie e progettualità non univoche e soprattutto non riconducibili a un unico luogo. E’ lo stare “qui e lì” contemporaneamente. Molto interessanti nello studio dell’Abi i casi studio considerati: dalle traiettorie imprenditoriali dei migranti egiziani, al caso del lavoro autonomo dei senegalesi. In ogni caso, sempre per quanto riguarda le banche, le strategie di marketing si basano su due filoni principali: il livello di inserimento sociale in Italia dell’immigrato e i caratteri specifici delle provenienze socioeconomiche, etniche e bancarie dei paesi d’origine. (pan)

http://www.emigrazione-notizie.org/news.asp?id=2311

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