Ritrovati i resti del piroscafo Sirio, che affondò 100 anni fa carico di emigranti italiani che cercavano una vita migliore
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Scoperti i resti del piroscafo Sirio, che affondò 100 anni fa carico di emigranti italiani che cercavano una vita migliore 


I primi a morire furono i signori che riposavano nelle cabine di lusso, a poppa. Poi i poveracci della terza classe, che si godevano il sole sul ponte di prua, furono scagliati in mare e affogarono. La nave era il transatlantico Sirio, della Compagnia generale di navigazione italiana.

C'erano 1.300 persone a bordo, quasi tutti emigranti italiani diretti in Sud America: alle 16.30 del 4 agosto 1906 il piroscafo finì contro una delle secche più note del Mediterraneo, al largo di Capo Palos, sulla costa sud-orientale della Spagna, mentre era diretto allo Stretto di Gibilterra.
La nave era rimasta come un cavallo mentre salta l'ostacolo, con la prua a 20 metri dall'acqua e la poppa immersa. Ci sarebbe rimasta per 17 giorni, prima di spaccarsi in due e colare a picco.
Ma in quei momenti di disperazione nessuno diede ordini, la gente impazzì di paura: qualche ricco si sparò, intere famiglie si gettarono in mare senza saper nuotare. I registri dei Lloyd's di Londra segnalano 292 morti, ma sono più di 500 le tombe italiane con quella data nei cimiteri della costa.

Il Sirio non era una carretta del mare: era un transatlantico di lusso, navigava dal 1883, ma era stato adattato per trasportare le migliaia di italiani che andavano a cercare fortuna in Sud America. Cent'anni fa gli albanesi eravamo noi italiani, costretti come i migranti di oggi ad affrontare il mare in cerca di fortuna.

Anche Edmondo De Amicis aveva viaggiato sul Sirio e ne aveva ricavato spunti per il libro «Cuore». E al Terribile naufragio della nave Sirio Francesco De Gregori ha dedicato una canzone.
Quella nave era piena di clandestini. Non avevano cabine, ma solo stanzoni dove vivevano come bestie per i 30 giorni della traversata.
Nel piccolo museo che a Capo Palos hanno dedicato alla tragedia della Sirio ci sono i volantini che pubblicizzavano anche le soste fuori programma per caricare i clandestini. Senza quelle tappe, la nave sarebbe passata al largo del micidiale Bajo de Fuera, la Secca di Fuori che dal fondo sale a 3 metri di profondità.

Il Sirio era comandato dal capitano Giuseppe Piccone. Aveva 68 anni, baffi all'insù, un ufficiale vecchio stampo. Il terzo ufficiale, che era di guardia, si rese conto che erano troppo vicini alla costa e fece chiamare il comandante che riposava in cabina. «Avanti a tutta forza» ordinò Piccone, che voleva rispettare i tempi: pochi minuti dopo la sua nave si incastrava. Sembrava avesse perso la ragione e non diede alcun ordine.

Si salvò, ma due mesi dopo morì di crepacuore. Meno fortunati furono i 500 che morirono affogati, quando, sopraffatti dal terrore, si gettarono in acqua. Mentre quasi tutto l'equipaggio fuggiva con le scialuppe, alcuni marinai tentarono di fermare la folla impazzita. I preti davano l'estrema unzione a chi saltava in acqua, un uomo si salvò restando a galla attaccato alla sua fisarmonica, centinaia di persone furono salvate da un contrabbandiere, che riuscì a farle salire sul suo veliero.

Una vicenda che ricorda i 1.000 morti del traghetto Al Salam Boccaccio 98, affondato il 3 febbraio scorso nel Mar Rosso, mentre l'equipaggio fuggiva senza prestare soccorso ai passeggeri.
A 100 anni di distanza due tragedie simili, centinaia di persone morte perché un equipaggio di vigliacchi e incapaci le ha abbandonate


http://www.panorama.it/cultura/archeologia/articolo/ix1-A020001035181



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