Precari senza qualità
Monica Capezzuto - 13-12-2006
Gent.ma redazione,

scrivo a proposito dell'articolo a firma di Luigi Illiano pubblicato sul Sole24ore che parlava del dossier presentato dall'associazione Treelle e a cui si è dato ampio risalto.
Nessuno ha però pensato di dar voce alla controparte, cioè i docenti precari che spesso ed in modo oltretutto gratuito, sono stati sminuiti e lesi nell'orgoglio professionale da tale associazione e in tempi recenti, dal Prof. Panebianco dalle pagine del Corriere. Pertanto, ho inviato la seguente lettera di risposta alla su citata associazione.
Cordiali saluti
Monica



Gent.mi professori dell'associazione Treelle,
mi chiamo Monica e sono un'insegnante precaria della scuola dell'infanzia, per l'esattezza supplente temporanea.
Innanzitutto mi chiedo che cosa intendete con "trasformare nomina temporanea in periodo di tirocinio e formazione soggetto a valutazione". Anzi, l' ho capito e onestamente mi sembra una cosa improponibile. Ricordo che il tirocinio si faceva l'ultimo anno dell'istituto magistrale, e ritengo estremamente inopportuno riproporlo a docenti plurivincitori di concorso, con anni di gavetta alle spalle.
Risulterebbe offensivo e lesivo della dignità del docente stesso e non credo che questo proposito sia nelle vostre intenzioni.
Leggo, inoltre, con reiterato stupore, le vostre dichiarazioni a proposito dei docenti precari, che secondo il vostro "particolare" parere, sarebbero persone che svilirebbero la qualità della scuola. Voi partite dalla stessa equazione che ha fatto il prof. Panebianco dalle pagine del Corriere.
Che Precario sia uguale a nessuna qualità.
Mi piacerebbe sapere che parametri Voi utilizziate per azzardarvi a tirare queste somme così poco lusinghiere nei confronti di chi da anni, nonostante le frustrazioni, nonostante le disparità di trattamento economico e morale, nonostante i continui stravolgimenti legislativi che periodicamente ci investono, porta avanti con competenza, professionalità e orgoglio un lavoro, una professione che si è scelta e che si onora sempre proprio perché è forte quel senso di responsabilità che ci rende consapevoli del nostro ruolo di educatori.
Noi, come ogni docente degno di tale nome, a prescindere se precario o di ruolo - perché essere precario non significa essere in SERIE B - non trasmettiamo semplicemente il sapere ex-cattedra, ma agiamo in un continuo interscambio con gli alunni, i ragazzi, per iniziare e completare nell'ambito dell'intero anno scolastico, seppur TD, un percorso di maturazione e acquisizione di competenze che vanno al di là della sterile programmazione e didattica, ma che coinvolge anche il lato umano. Perché la programmazione è un pò come legiferare, quando si fa, si deve tener conto che essa è diretta a delle persone, a dei ragazzi che devono essere in grado, attraverso gli strumenti che anche noi docenti precari gli forniamo, di avere il coraggio di esprimere le proprie idee e la maturità di decodificare i molteplici messaggi che gli arrivano dalla globalizzazione del mondo in cui vivono, affinchè possano essere pronti ad affrontare la vita, quella vera, che li attende quando usciranno dalla scuola.
Questo facciamo anche noi precari, forse più consapevolmente degli altri. Perché vogliamo e dobbiamo lasciare un segno, una traccia di quello che siamo stati. Perché questo è essere insegnante.
Precario è un aggettivo. Non un lavoro. Nè tantomeno una definizione dispregiativa. Noi non siamo precari di professione. Siamo INSEGNANTI.
Quindi prima di presentare quaderni, libri e abbecedari di una realtà che non è quella realtà dei docenti precari, scendete dal piedistallo e veniteci a conoscere.
Veramente.

Saluti
Monica Capezzuto
Napoli
scuola nostra.it

interventi dello stesso autore  discussione chiusa  condividi pdf

 www.vincenzobrancatisano.it    - 13-12-2006
Parole in libertà sui precari sfruttati dallo Stato

Sta creando malumore, a destra e a sinistra, la proposta di stabilizzare 350.000 precari della pubblica amministrazione. Molte dichiarazioni sono il frutto di qualunquismo e superficialità. Ma se vengono da esponenti politici e da uomini che occupano posti di rilievo nelle istituzioni esse recano il marchio della malafede. Questi uomini politici sanno benissimo che i precari già lavorano, altrimenti essi sarebbero definiti disoccupati. Dunque, chi contesta l’assunzione dei precari della pubblica amministrazione adducendo esigenze di risparmio della spesa pubblica accetta che i precari continuino a essere sfruttati. Se quelle dichiarazioni provengono da gente (che dichiara di essere) di sinistra, allora non rimane che preparare una grossa pernacchia da usare (da sinistra) alla prima occasione. Visto che i precari rappresenterebbero la causa principale della spesa pubblica, questi signori dovrebbero spingere la propria onestà intellettuale fino al punto di chiederne il loro licenziamento in tronco. Solo così si otterrebbe il risparmio auspicato. Tuttavia occorrerebbe, a quel punto, fare a meno di tutti i servizi pubblici che il precariato garantisce ogni giorno alla collettività. Ma questo, i signori deputati e senatori da venti milioni (pubblici) al mese con l’assistenza sanitaria (pubblica e privata) a vita per sé e famiglia, non lo hanno mai chiesto. A loro basta che il precario lavori, stia zitto e non chieda di essere assunto. Se Capezzone (di cui sotto) ha figli o nipoti che vanno a scuola pubblica - ma questo non è per nulla scontato visto che moltissimi potenti della nostra sinistra iscrivono figli o nipoti a scuole private perché secondo loro quelle pubbliche non garantiscono il bene dei propri figli – dovrebbe avere la coerenza di chiedere ufficialmente il licenziamento dei precari della scuola (insegnanti, bidelli, segretari, presidi) così la sinistra non si piglia più i fischi in fabbrica, come dice lui. Però dovrebbe spiegare come farebbero ad aprire ogni mattina tutte quelle scuole che funzionano solo perché centinaia di migliaia di precari vengono sfruttati da quello stesso Stato che a lui garantisce il lauto stipendio grazie ai soldi che preleva anche dal reddito (e anche dall'assegno d disoccupazione) dei precari. Ci è piaciuto un articolo apparso questa mattina su L’Unità e per questo lo segnaliamo qui di seguito. L’unico appunto che facciamo concerne l’attacco al professor Pietro Ichino e alle sue denunce contro i nullafacenti. E' inutile nasconderlo, poichè è vero: il pubblico impiego, precario o stabile che sia, è infestato anche di gente che si alza la mattina con la convinzione che non farà nulla tutto il giorno e che nessuno riuscirà mai a licenziarla. Non si fa un favore al pubblico impiego nè a chi nel pubblico impiego lavora con dedizione nascondendo una verità che è sotto gli occhi di tutti e limitandosi ad attaccare Ichino. Il quale, peraltro, ha sempre sostenuto che molto spesso i precari lavorano di più degli stabili: “Nei comuni, province, ospedali, università, ma anche in tanti altri enti pubblici – scrive Ichino – vediamo centinaia di migliaia di lavoratori bravissimi, che restano per troppo tempo nella posizione di «collaboratori» formalmente autonomi, o comunque non di ruolo, pur offrendo una prestazione più intensa e qualificata di tanti dipendenti di ruolo inamovibili; e accade sovente che per loro le porte della «cittadella» del lavoro protetto non si aprano mai. I lavoratori di ruolo possono permettersi di essere inefficienti, mentre proprio i fuori ruolo sono i più efficienti: se non lo fossero perderebbero il lavoro”.

Vincenzo Brancatisano