I lavoratori contestano i confederali
l'Unità - 07-12-2006
Mirafiori, i lavoratori contestano i sindacati su tfr e pensioni


Mirafiori torna a far parlare di sè. Questa volta, però la protesta ha un nuovo destinatario, i sindacati. L´ultimo incontro tra i lavoratori dello stabilimento Fiat di Torino e i tre rappresentanti di Cgil,Cisl e Uil, era avvenuto 26 anni fa. Allora, alla testa dei confederati c´erano Lama, Carniti e Benvenuti. Oggi Epifani, Bonanni e Angeletti, non hanno ricevuto la stessa accoglienza. Tema dell´incontro, la legge finanziaria.

Se le parole del segretario della Cgil Guglielmo Epifani auspicavano un clima sereno, soddisfatto perchè «questa fabbrica sta rinascendo, può rinascere e tanti giovani lavoratori potranno arrivare» e favorevole a questa «Finanziaria che prova a lavorare per lo sviluppo e l'equità», la risposta dei lavoratori non è stata altrettanto distesa. «Guglielmo questa non può essere la Finanziaria dei lavoratori - ha detto un operaio delle Carrozzerie - il sindacato deve mantenere un atteggiamento critico e incalzare il governo anche quando è di centro sinistra».

Identico trattamento anche per il segretario della Uil, Luigi Angeletti: «Non dobbiamo fare la stampella del governo», gli ha tuonato contro un lavoratore che Angeletti ha provato a rassicurare, spiegandogli che: «Ci dipingono così ma non è vero, non ci sono governi amici. Gli unici amici siamo noi stessi e dobbiamo pensare a difenderci».

Sulla cosiddetta "sindrome del governo amico" arrivano critiche anche dal'linterno, dalla Fiom: «Ritengo che ci sia un appiattimento di Cgil, Cisl e Uil sulle posizioni di questo Governo. Noi non abbiamo nessun Governo amico o nemico» ha detto Vincenzo Tripodi, delegato Fiom.

In particolare, a far alzare i toni del dibattito, sono stati due tasti dolenti: la previdenza e la riforma del Tfr. Ai lavoratori che lamentavano la mancata consultazione degli operai da parte del sindacato, Angeletti ha risposto: «Sulle pensioni non faremo nessun accordo che non venga ratificato con un referendum da tutti i lavoratori italiani».

Ma nonostante la contestazione, i segretari non si sentono sconfitti dall´incontro di Mirafiori: «È stata una esperienza molto interessante, molto partecipata - ha commentato Epifani - sono emerse le vere preoccupazioni, il Paese reale è questo». Identica reazione di Angeletti, che ha apprezzato la schiettezza del confronto: «Il conflitto sociale è una cosa fondamentale, è il sale della democrazia».

Bonanni, segretario della Cisl, parlerà nel pomeriggio. Per ora si è limitato a sottolineare l´importanza dell´incontro «tanto più importante per noi che ci prepariamo a riprendere da gennaio una discussione sulla produttività». .

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 da Rete 28 aprile    - 07-12-2006
Quanto avvenuto nello stabilimento Fiat di Mirafiori dimostra semplicemente che, se si fanno le assemblee, in esse irrompe la realtà. Quella di un mondo del lavoro profondamente scontento della finanziaria e, soprattutto, indisponibile ad aumentare l’età pensionabile, a peggiorare la condizione di lavoro con il patto sulla produttività, a continuare i sacrifici sui salari. Mi pare chiaro che dalle assemblee viene un preciso mandato: Cgil, Cisl e Uil devono cambiare nettamente rispetto alle scelte e ai comportamenti di questi mesi.

Giorgio Cremaschi

 Coordinamento Rsu    - 08-12-2006
Dopo l'assemblea di Mirafiori Cgil Cisl UIl balbettano:

Le assemblee di Mirafiori hanno avuto la fortuna di avere avuto una insperata copertura da parte dei media, (ne hanno parlato tutti i TG) ed il messaggio che questa ha mandato è stato chiaro ..... i lavoratori hanno contestato la linea sindacale !

Non ci stupiscono quindi gli imbarazzi della burocrazia sindacale quando, una volta tanto che va in una fabbrica a parlare di pensioni (per di più con tanto di seguito di giornalisti e cameramen TV), scopre di non avere il consenso dei lavoratori su quanto nei mesi precedenti andavano dichiarando alla stampa o in televisione in nome, appunto, dei lavoratori.

E' che vanno in confusione:

Nella nota riportata da www.rassegna.it di oggi pomeriggio (riportata in calce) ne abbiamo una dimostrazione:

Scosso dalla contestazione Epifani (Cgil) se la cava dicendo che la proposta sulle pensioni da portare al Governo a gennaio, come convenuto, sarà discussa prima con i lavoratori ... il fatto è che siamo già praticamente a gennaio ed ancora questa proposta non è conosciuta nè discussa tra i lavoratori. Che vuol dire ? che la trattativa col Governo non partirà a gennaio (come tutti invece ribadiscono) ma solo dopo che i lavoratori avranno discusso e votato sulla proposta sindacale ??

In realtà viene il sospetto che Epifani consideri l'assemblea appena fatta a Mirafiori la consumazione di questo impegno ma non ci sembra che Cgil Cisl Uil abbiamo presentato nelle assemblee la piattaforma sindacale sulle pensioni e nè tanto meno che abbiano ottenuto un qualsivoglia mandato per iniziarla. Ma poi, aggiungiamo, il mondo del lavoro non è solo Mirafiori ... in quante assemblee di luogo di lavoro si è discusso di pensioni .... possiamo contarle sulla punta delle dita di una mano.

Epifani dice inoltre che, è bastato l'impegno a tornare in assemblea per far votare il prossimo accordo sulle pensioni per superare qualche perplessità (così lui chiama la contestazione subita), ma si dimentica di dire che le assemblee di Mirafiori hanno detto chiaro e tondo che le pensioni non si toccano, senza parlare di quel che hanno detto sul TFR.

Angeletti (Uil), trascinato dalle parole d'ordine sentite nell'assemblea, addirittura minaccia di scendere in Piazza se si toccheranno le pensioni (ma non ha firmato anche lui il memorandum ??)

Più duro e maschio Bonanni (Cisl) che dice non essere un problema l'innalzamento dell'età pensionabile. Il vero problema per lui sono la rivalutazione delle pensioni (ma già il memorandum introduce l'impegno ad abbassarne i coefficienti di calcolo ... di quale rivalutazione parla??) e le pensioni integrative (questo si che gli interessa veramente ... a lui)

In definitiva, dopo mesi di dibattiti in TV, di interviste sui giornali a far vedere al paese come sono responsabili Cgil Cisl Uil, dopo accordi e memorandum firmati in nome dei lavoratori e per rispondere alle loro esigenze, è bastata una prima vera assemblea in una fabbrica per farli balbettare.

Se invece di parlare tra di loro in tutti questi mesi, avessero da tempo avviato una vera consultazione nei luoghi di lavoro avrebbero evitato una grama figura.

Le assemblee di Mirafiori hanno dimostrato proprio questo. Un sindacato senza i lavoratori non è un sindacato (è solo burocrazia), una linea sindacale senza il conforto di una discussione con, e di un mandato dei lavoratori, non è una linea (è solo una presunzione).

E' così semplice da capire .... infatti, dopo Mirafiori, Cgil, Cisl, Uil balbettano

Coordinamento Rsu



PENSIONI: SINDACATI, ULTIMA PAROLA A LAVORATORI

''Abbiamo convenuto che avremmo usato lo schema utilizzato ai tempi della riforma Dini, quello di una proposta unitaria da discutere con i lavoratori e con il loro voto finale sul sì o il no a un'ipotesi di accordo''. A dirlo sono i tre segretari confederali di Cgil, Cisl e Uil (Guglielmo Epifani, Luigi Angeletti e Raffaele Bonanni), in vista dell'incontro di gennaio con il governo. I leader sindacali hanno affrontato oggi il delicato tema delle pensioni di fronte a centinaia di lavoratori della Fiat di Mirafiori, dai quali è arrivata la sollecitazione a ''passare da noi prima di fare qualunque accordo perché le pensioni non si toccano''. Epifani ha sottolineato che ''è bastato riconfermare la nostra scelta di fare, sul tema delle pensioni, un percorso di confronto e lasciare l'ultima parola ai lavoratori per chiarire qualche loro perplessità, mentre il governo deve dire se intende confermare l'impegno sul gradone'''. Angeletti ha confermato che ''non abbiamo intenzione di accettare l'innalzamento dell'età pensionabile. Su questo non ci saranno accordi e siamo pronti a scendere in piazza''. Bonanni ha ribadito che il confronto sulle pensioni ''non può prescidenre dai lavoratori, ma non mi scandalizzerebbe se dovessimo innalzare l'età pensionabile perché oggi nessuno va a lavorare a 14 anni. Il vero problema sono la rivalutazione delle pensioni, la previdenza integrativa e i lavori usuranti. La trattativa è quindi per creare equità''.

07/12/2006 17.32


 dal Manifesto    - 08-12-2006
Angeletti a favore, Cremaschi contro. I «riformisti» dell'Unione con Montezemolo, ma Pdci e sinistra Ds attaccano la legge 30

Il patto per la produttività divide sindacato e sinistra


La proposta della Confindustria di firmare un «patto per la produttività», insieme alla strenua difesa della legge 30 da parte degli industriali, divide il sindacato e la sinistra. Gli imprenditori hanno messo il turbo e sono decisissimi ad aprire il tavolo già dai primi di gennaio, ponendo paletti invalicabili: la flessibilità del lavoro, guadagnata grazie a riforme come il pacchetto Treu e la legge 30, è indispensabile e non si può tornare indietro, pena la perdita di competitività delle aziende. Bisogna dotare dunque i nuovi lavoratori di ammortizzatori e formazione, perché non si sentano precari. Tesi, queste, che i «riformisti» dell'Unione sono pronti a sottoscrivere: D'Alema, appoggiando l'idea del patto per la produttività, affermava a Sesto san Giovanni che «serve più flessibilità e meritocrazia, ma meno precarietà». Piero Fassino, in un'intervista all'Unità, identifica la riforma del mercato del lavoro con «la messa in campo degli ammortizzatori sociali»: come dire, si tace del tutto quanto contenuto nel programma dell'Unione, che invece parla di «contrarietà» e di «superamento della legge 30» e di una profonda revisione di contratti a termine, interinale, appalti. Tocca il tema, invece, il ministro del lavoro Damiano, che ieri si limitava a spiegare che «il governo sta applicando il programma dell'Unione»: in effetti il ministro annuncia di voler abrogare il job on call o lo staff leasing, ma sarebbe poca cosa dato che non li utilizza nessuno. Più difficile si presenta la riforma dei contratti a termine, su cui la Confindustria è pure contraria, mentre sui cocoprò Damiano è deciso: punta a non eliminare questa forma contrattuale, ma al massimo a parificarne i costi a quelli del lavoro dipendente.

La Uil, con Angeletti, ieri si è detta pronta al patto per la produttività, «a patto di avere in cambio più salario». Anche la Cisl è favorevole a flessibilizzare gli orari in cambio di maggiore salario, ed entrambi i sindacati propongono di detassare gli aumenti legati alla produttività. Quello che vorrebbe la Confindustria è poter ordinare i cambi di orario in azienda senza doverli contrattare con le Rsu. La Cgil potrebbe essere l'ago della bilancia, ma ieri Guglielmo Epifani è rimasto abbottonato: «La posizione della Cgil sulla produttività è nota e non cambia». Finora la Cgil si è sempre detta contraria allo «scavalcamento» delle Rsu, affermando però di voler valorizzare la contrattazione di secondo livello con una «flessibilità contrattata» in azienda. Anche sulla precarietà la Cgil avrebbe tesi completamente opposte a quelle della Confindustria, contenute nelle proposte di legge firmate da 5 milioni di cittadini e nelle posizioni congressuali: ma oggi nel paese non è attivata nessuna campagna per sostenerle e rilanciarle. Più netto Giorgio Cremaschi, segretario Fiom e leader della Rete 28 aprile Cgil: «Nessuna trattativa e nessun patto sono possibili: Confindustria dimostra di volere una produttività fondata sulla precarietà e sull'intensità dello sfruttamento».

Dalla sinistra dell'Unione ieri non è emersa una presa di posizione del Prc (anche se è nota la sua volontà di abolire la 30), ma il Pdci e la sinistra Ds si sono detti contrari al mantenimento della «Biagi». Per Pino Sgobio (Pdci), la 30 «va abrogata o al peggio profondamente riformata: non si può pensare a modificare solo gli ammortizzatori sociali». Gloria Buffo (Ds) è polemica con Fassino: «La legge 30 si deve cambiare, eccome. Fassino deve ribadire a Confindustria ciò che è scritto nel programma. Perché i riformisti dell'Unione non lo dicono più? Se questa è la "fase 2" inaugurata dai fautori del Partito Democratico, allora non siamo proprio d'accordo».

Antonio Sciotto

 da Primomaggio    - 14-12-2006
I lavoratori di Mirafiori contestano duramente CGIL-CISL-UIL

La contestazione del 7 dicembre dei lavoratori di Mirafiori ai 3 segretari generali di CGIL-CISL-UIL è stata un momento importante e a nulla valgono le dichiarazioni minimaliste dei sindacati amici del "governo amico" e di certi giornali "amici". Importante non tanto e non solo perché la contestazione è avvenuta in un luogo simbolo del mondo del lavoro, quanto piuttosto perché si è concentrata direttamente sulle questioni findamentali oggi sul tappeto: scippo del TFR, finanziaria "lacrime e sangue", prossima contro-riforma delle pensioni, firma senza mandato dei lavoratori, richiesta di non essere la stampella del governo Prodi-Padoa Schioppa.

Che i lavoratori vivano questa fase politica - e le misure di questo governo anti-popolare - in modo molto sofferto lo capisce chiunque abbia minimamente a che fare con i luoghi di lavoro. E lo sanno anche i 3 segretari generali di CGIL-CISL-UIL, visto che hanno sentito il bisogno di presentarsi tutti e tre a Mirafiori (dopo ben 26 anni, ovvero dalla sconfitta operaia dell'80 in cui tanta parte ebbero proprio i vertici confederali) per "spiegare" la loro linea di appoggio al governo.
Era inaspettata la contestazione ? Sicuramente non se l'aspettavano i 3 segretari, ma che nell'aria ci sia un clima di forte sfiducia e di dissenso - anche se non riesce ancora ad esprimersi un modo indipendente ed organizzato - è abbastanza evidente. Questo governo ha scontentato tutti meno che industriali, banchieri e sindacati. E i lavoratori lo hanno capito benissimo, così come hanno capito che la finanziaria del governo Prodi-Fassino-Bertinotti toglie soldi dalle loro tasche per riempire quelle già piene dei padroni (che, non ancora sazi, "rilanciano" con la richiesta di "patto per la produttività", una specie di "nuova edizione" della politica dei salari e della concertazione inaugurate con gli accordi del 31 luglio 1992 e del 23 luglio 1993.

Visto che i sindacati amici del "governo amico" non hanno intenzione al momento di consultare i lavoratori - e non c'è da stupirsi perché riceverebbero una sonora lezione, come le assemblee di Mirafiori fanno pensare - i lavoratori hanno il diritto e il dovere di prendere la parola in prima persona e far sentire il proprio dissenso contro la politica filo-industriale di Prodi, Padoa Schioppa e soci, in tutte le forme possibili e immaginabili, a cominciare dalle assemblee che si tengono sui luoghi di lavoro in cui deve essere messa all'ordine del giorno la discussione e il voto sullo scippo del TFR e sulla controriforma delle pensioni.

Ma il vero appuntamento è dal primo gennaio 2007 quando inizierà il semestre previsto per il silenzio-assenso sul trasferimento del TFR verso i fondi pensione integrativi. I lavoratori hanno la possibilità, sottoscrivendo a valanga lettere di dissenso esplicito per il trasferimento del TFR ai FPI, di mandare a tutto il "politicamente corrotto" sistema politico e sindacale, un messaggio forte e chiaro: "i soldi dei lavoratori non si toccano". Da questa nuova trincea può e deve ripartire una stagione di autonomia e di indipendenza del mondo dal lavoro da partiti e sindacati che pensano solo ai propri interessi e non certo a quelli di milioni di lavoratori che hanno sempre più difficoltà ad arrivare a fine mese.

PRIMOMAGGIO
Foglio per il collegamento tra lavoratori, precari e disoccupati (redazione tocana)
EMAIL: primomaggio.info@virgilio.it - WEB: http://redazionepm.supereva.it -

 dal Manifesto    - 14-12-2006
«I nostri fischi, i vostri errori»

Mirafiori, dopo le contestazioni ai segretari di Cgil, Cisl e Uil. I delegati Fiom spiegano le ragioni del malessere operaio. Chiedono democrazia e autonomia


Chi pensa che le contestazioni operaie a Mirafiori verso i segretari di Cgil, Cisl e Uil fossero orchestrate dall'esterno, ha un'idea decisamente sbagliata delle tute blu torinesi. Forse le confonde con i minatori rumeni ai tempi di Ceausescu. Mirafiori è una fabbrica da sempre difficile, per i sindacati e per i padroni, qui gli operai sono stati sempre ipercritici, poco propensi alla diplomazia, mai massa di manovra. Chiedersi se a scatenare le proteste sia stata la presenza di Epifani, Bonanni e Angeletti e delle telecamere, e non invece quanto abbia inciso l'assenza da 26 anni dei segretari (volontaria) e dei giornalisti (involontaria, imposta dalla Fiat) dalla più grande fabbrica italiana, vuol dire ragionare con i piedi. L'altro elemento che sta dietro la meraviglia - per alcuni a sinistra lo scandalo, per altri a destra la speculazione politica - per la vivacità delle critiche operaie, è che ben pochi, tra i politici e i giornalisti, sono in grado di comprendere e raccontare la condizione operaia che determina la rabbia. A monte c'è un grande rimosso: gli operai stessi, cancellati dalla politica e dall'informazione. Buoni, come dicono a Mirafiori, solo per «produrre ricchezza per tutti e pagare le tasse», avendone in cambio un miseria in danaro, danni alla salute e una prospettiva di insicurezza.

Enzo Tripodi è operaio di 4° livello agli Enti centrali, da 18 anni a Mirafiori e da 10 delegato Fiom. Fa le verifiche sui materiali e i componenti delle vetture, in busta paga «prendo 1.150 euro tutto compreso, e quest'anno solo la tassa rifiuti è passata da 92 a 218 euro». Giovedì mattina è intervenuto all'assemblea con Epifani e ha presieduto quella del 2° turno con Bonanni: «E' stata una bella prova di democrazia, un'assemblea vera, chi non l'ha capito confonde la realtà con i falsi reality: le assemblee operaie non sono fiction. Sono emersi i problemi veri: non sono contro i sindacati, vogliono un sindacato che li coinvolga, li ascolti e li rappresenti. Il contrario dei sindacati che decidono al posto nostro il futuro del Tfr, che però è nostro. Le hai viste quelle donne che mostravano a Epifani i polsi gonfi dalla fatica? Non sono disposte a lavorare un'ora di più la settimana, né un anno in più prima di poter andare in pensione. Con o senza giornalisti avrebbero detto le stesse cose. Siamo noi quelli che pagano e ne abbiamo le tasche piene di essere spremuti e buttati come limoni. Al governo chiediamo atti concreti, non chiacchiere. Dai politici di sinistra sono delusi, sono anni che non si parla di lavoro e non si ascoltano i lavoratori. Ci sentiamo gli artefici dell'euro ma al tempo stesso ne siamo le vittime. Spero che Epifani abbia capito la lezione di Mirafiori e che la sinistra non continui a farci, e a farsi, del male».

Anche Nina Leone è in Fiat dall'88, prima Chivasso e poi Mirafiori carrozzeria. Se dal montaggio è stata spostata a lato linea deve ringraziare una dolorosa epicondilite, regalo della catena. Guadagna meno di 1.100 euro al mese, è delegata Fiom da 12 anni. Difende l'assemblea «tesa e partecipata, li aspettavamo da tempo i tre confederali che hanno dovuto prendere atto che c'è incazzatura per questa finanziaria che cambia ogni giorno e per questo sindacato che si è dimenticato delle fabbriche. Sono le grandi cose come il Tfr a farci incazzare perché non si sentono neppure in dovere di consultarci, e per le piccole: si dovevano tassare i Suv e invece si tassano le macchine vecchie, cioè le nostre. Fabbrichiamo le vetture nuove ma non abbiamo i soldi per comperarle. Noi andiamo bene per pagare le tasse, però poi a far notizia sono i notai o i tassisti o i commercialisti che protestano. Se non altro le contestazioni a Mirafiori sono servite a darci un po' di visibilità. Mi auguro che i nostri abbiano capito, la controprova l'avremo a gennaio quando si tratterà su pensioni, flessibilità e orari. Devono tornare qui i segretari, a rendere conto e ascoltarci. Per finire, non abbiamo certo nostalgia di Berlusca, ma da questo governo ci aspettiamo ben altro».

Marcello è alla lastratura dal '97, un anno dopo era delegato prima Uilm poi Fiom. 1.050 euro al mese, saldatore sulla linea della Multipla, 3° livello. In assemblea con Epifani aveva ammonito: «Il mio tempo non è merce di scambio», non pensate di regalarlo al padrone. «Sono le Rsu di fabbrica a dover contrattare flessibilità e orari». Rivendica le contestazioni ed è contento che gli operai abbiano fischiato il delegato dell'Ugl nostalgico di Berlusconi: «Si è capito il ruolo della Fiom che si batte per la democrazia e l'autonomia, e dice che questa non è la nostra finanziaria. Perciò siamo stati applauditi. La Fiom ha fermato la prima aggressione di Federmeccanica che all'ultimo contratto pretendeva la flessibilità istantanea, ora ci riprovano. Se non trattiamo noi i turni, non ci sarà più alcun controllo sui carichi di lavoro, aumenterebbero le tendiniti. E sparirebbe il sindacato di fabbrica. Invece, Cgil, Cisl e Uil hanno una posizione troppo morbida, sulla nostra pelle, sul nostro tempo. Per non parlare della sinistra: hanno rimosso gli operai, nessuno ci tutela in Parlamento. Abbiamo mandato un segnale forte, speriamo che torni utile quando si parlerà di pensioni».

Caterina conosce bene Mirafiori, dal '79. Delegata Fiom, è al montaggio e come Nina è stata spostata a lato linea per motivi di salute: «Mi aspettavo un diverso andamento dell'assemblea, dopo 26 anni di assenza dei segretari confederali. Avrei voluto fare domande, ma il malumore covava da tempo, gli operai temono che con le pensioni e gli orari finisca come con il Tfr, sono stanchi di decisioni prese al loro posto. Si teme un peggioramento delle condizioni di lavoro, già intollerabili. L'età media è molto alta, hai visto quanti capelli bianchi in assemblea? Perciò non accetteremo soluzioni non condivise sulle pensioni nostre e sulla precarietà che colpisce i nostri figli. Non siamo la stampella del governo, ma nessuno confonda i nostri fischi con quelli della destra a Prodi».

Tanti capelli bianchi, e tanti invalidi, inidonei, dice Fabio Di Gioia, 6° livello impiegatizio e delegato Fiom: «Per farci ascoltare siamo costretti a far volare gli stracci. Sono ottimista e voglio credere che la lezione sia servita. A Cgil, Cisl e Uil, e alle sinistre. Sono caduto dalla sedia leggendo che Chiamparano chiede che si parli di lavoro e si ascolti chi lavora. Però, incasso».

Loris Campetti

 da Attac Italia    - 14-12-2006
La «flexicurity» Ue per scardinare il lavoro

Il «Libro verde» della Ue per modificare legislazione del lavoro, sistema previdenziale e ammortizzatori sociali, con l'obiettivo di «conciliare flessibilità e sicurezza sociale»

Giusto per schiarirsi le idee. Il primo seminario organizzato - nella sede del Cnel - dal ministero del lavoro «sui temi europei» impatta da subito la flexicurity, ossimoro usato per indicare due «necessità» contrapposte: «flessibilità e sicurezza nel mercato del lavoro». Contrapposte nella logica, nei fatti e nelle proposte in campo, nonostante i (numerosi e infruttuosi) tentativi di conciliazione.
Anche perché in sede europea, lì dove vengono elaborate le «direttive», le lobby lavorano alla grande - non è un'insinuazione; lo ha ammesso, ammirato, il rappresentante di Confindustria, Massimo Marchetti - e quel che ne viene fuori è roba indigeribile anche per
diversi esperti chiamati ad analizzare il «Libro Verde», il testo della Commissione che cerca di indicare la via per «armonizzare» le diverse legislazioni del lavoro esistenti nei 25 paesi.

La versione ora in circolazione è peggiorativa della precedente, già preoccupante, fin dal titolo: la «flessibilità congiunta alla sicurezza» è svaporata nella «modernizzazione del diritto del lavoro». Ma quello che più ha scandalizzato, secondo l'europarlamentare Donata Gottardi, è proprio
l'«assunto di base». Visto che «esistono numerosi tentativi di creare flessibilità 'ai margini'» del mercato del lavoro (con contratti «atipici» di ogni tipo), nel testo europeo si propone di «intervenire sul diritto del lavoro ordinario, proponendo di riaprire la discussione
sulla libertà in uscita, magari scambiandola con la libertà in entrata». In pratica: per eliminare le differenze esistenti tra i diritti dei diversi tipi di lavoratori basta ridurre quelli dei «garantiti» fin quasi a farli coincidere con quelli dei precari; magari
concedendo alle imprese maggiore libertà di licenziare in cambio di una corrispondente libertà di assumere (ma chi mai trattiene le imprese dal farlo?). Un «livellamento verso il basso» che fa coincidere la
«modernizzazione con il ritorno al passato» (spiega anche Mauro Guzzonato, della Cgil).

Sta di fatto che quando c'è da «conciliare competitività e modello sociale europeo» la discussione prende sempre e soltanto una piega: via il «modello sociale» e avanti con la «libertà dell'impresa». L'idea di fondo della flexicurity si presenta con l'aspetto della ragionevolezza: una «strategia sincronica per accrescere la flessibilità del mercato, dell'organizzazione e dei diritto del lavoro per accrescere anche a sicurezza del reddito, specie
dei più deboli». Ma l'obiettivo viene spostato di forza dalla «difesa del posto di lavoro» alla «difesa dell'occupazione». Flessibile, naturalmente, in modo da favorire la trasmigrazione da un lavoro all'altro nel corso dell'intera vita. A soccorso vengono pensate
«politiche attive» su formazione, ammortizzatori sociali, persino forme di reddito di disoccupazione nei momenti di «trasmigrazione»; ma soprattutto «contratti flesibili» su organizzazione, orari, qualità della prestazione.

La flexicurity, ci mancherebbe, non viene intesa
come «una ricetta, ma come un obiettivo», che lascia liberi i governi nazionali di sperimentare i mix di misure più adeguati al contesto dei loro paesi. E infatti nell'Est europeo «proliferano i contratti individuali», dove il dipendente resta solo e nudo davanti al «padrone». Resta l'impressione che forze gigantesche - quanto a interessi, istituzioni, intelligenze impegnate - stiano muovendo contro il mondo del lavoro così come si è configurato nel dopoguerra in Europa. Ma che da quest'altra parte non si sia ancora avuta la percezione della dimensione dell'attacco. Governi e sindacati muovono perciò alla ricerca di politiche in grado di «temperare» l'erosione dei diritti, per evitare la conseguente disgregazione sociale. Ma il massimo che hanno fin qui partorito è, appunto, la flexicurity. Un insieme di «buone pratiche» che non riescono a diventare «norma europea», ma che - nel percorso dall'idea alle proposte di legge - perde regolarmente gli aspetti di «sicurezza sociale» a vantaggio di quelle della «flessibilità».

Chissà chi è a guadagnarci...

Francesco Piccioni

Per leggere ciò che "bolle in pentola" (in inglese) Red