La solidarietà non deve essere un delitto
FCPE - RESF - 28-09-2006
In seguito alle espulsioni di stranieri senza permesso di soggiorno, con le quali dal Governo francese decide, per le famiglie coinvolte, drammatici ritorni in paesi "lontani" se non del tutto sconosciuti, paesi "difficili" se non ostili o pericolosi, gruppi di genitori attivi nelle scuole, collegati tra loro grazie a reti di solidarietà, stanno opponendo resistenza attraverso azioni concrete: manifestazioni, denunce, forme di impegno individuale e collettivo. Riceviamo e pubblichiamo, con qualche stralcio, una recente notizia, che vede la scuola protagonista di una palese ingiustizia. Protagonista non indifferente. Ci sentiamo di ringraziare chi sta lottando per una società più giusta. Red


FRANCIA, SETTEMBRE 2006


Questa settimana siamo stati informati del fatto che la Polizia ha fatto irruzione in una scuola elementare di Orléans la Source. Penetrando in tutte le classi in modo violento e senza aver preso contatto con la Direttrice, pur presente nel suo Ufficio, senza neppure essere provvisti dei documenti ufficiali necessari per entrare in un edificio scolastico, quegli uomini erano spinti dalla sola volontà di "cercare" un bambino di 8 anni.
La FCPE denuncia questa scorrettezza grave. La scuola è un luogo protetto, nessuno può entrarvi senza passare attraverso la procedura obbligatoria, la cui prima regola consiste nel presentarsi al responsabile dell'istituto.
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In che cosa questo bambino avrebbe potuto rappresentare un pericolo per la scuola e per i suoi piccoli compagni?
Questi fatti sono la dimostrazione di una volontà intimidatoria nei confronti di tutti i cittadini che si occupano e aiutano i figli delle famiglie senza permesso.
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Martine Rico
http://www.fcpe.asso.fr




Martedì 19 settembre, verso sera, non è stata la mamma di V. ad andare a prendere suo figlio alla scuola Roman Rolland: era infatti stata da poco arrestata per aver ospitato un'amica senza permesso di soggiorno.
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Il gesto che Mme S., residente laotiana, in situazione regolare, ha compiuto nei confronti di un'amica thailandese è un segno di semplice umanità. E' ciò che i 130.000 firmatari dell'appello "Prendiamoli tutti sotto la nostra protezione", lanciato dalla Rete Educazione Senza Frontiere, si sono impegnati a realizzare.
Ha in sé la stessa ragione che spinge tante persone a costituire Comitati di sostegno a coloro che sono stati portati in Francia da situazioni di miseria, di guerra civile, di repressione.

Madame S. avrebbe dovuto abbandonare la sua amica sulla strada?
E d'altronde l'intrusione della polizia nella scuola di la Source sarebbe un "errore" (non per questo diventando comunque più accettabile)?

Da questi due punti di vista, la faccenda provoca forte emozione presso chi vuole che la Francia meriti ancora il nome di paese dei diritti dell'Uomo.

Indignati al pensare che la solidarietà sia considerata come un delitto da Tribunale correzionale, siamo e restiamo vicini a Mme S. e a suo figlio, così come a tutte le famiglie e gli studenti che sosteniamo.
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Nel momento in cui questo comunicato vede la luce, Mme S.viene condannata a 1200 € di multa col beneficio della condizionale accordato per un periodo di buona condotta di cinque anni
Il Pubblico Ministero aveva chiesto 3 mesi di prigione con condizionale e 600 € di multa.

Se la nuova strategia consiste nel condannare chi, per solidarietà, ha aiutato persone irregolari, bisogna sottoporre a processo tutti i membri dei Comitati di sostegno, tutti i "genitori affidatari" che hanno svolto azione di tutela dei figli di tali persone.

Come al solito ce la si prende con i più deboli.
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La Rete Educazione Senza Frontiere continuerà, con tutte le Associazioni che ne fanno parte e tutti i cittadini che partecipano alla sue azioni, a organizzare il sostegno e la solidarietà delle persone e delle famiglie minacciate, così come dei loro figli.

RESF
http://www.educationsansfrontieres.org



Traduzione a cura della Redazione
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 Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia    - 28-09-2006
Legge Bossi-Fini
Stimata archeologa bulgara rinchiusa nel cpt di Ragusa

Ragusa, 25 settembre 2006 - In Bulgaria è una stimata professionista, laureata in storia con specializzazione in archeologia, ed è vicedirettore di un museo a Varna, località balneare sul mar Nero.
Per l'Italia è una clandestina con “diritto di soggiorno” nel poco esclusivo centro di prima accoglienza di Ragusa. Brutta storia quella di Marianna Doncheva, 47 anni, cittadina bulgara, incappata nelle maglie della Bossi-Fini.
Dopo tre giorni trascorsi nel cpt ibleo, non ce la fa più e chiede di essere al più presto espulsa dal Belpaese: "Io voglio solo andarmene. Qui mi sento come in carcere e mi vergogno pure di tutta questa storia".
Un finale così, proprio non se l'aspettava la studiosa, bloccata durante un controllo dei carabinieri della provincia di Grosseto, dove era per visitare il fidanzato bulgaro in attesa di un intervento
chirurgico. Non avendo permesso di soggiorno, ha ricevuto il decreto di espulsione e in attesa è stata spedita a Ragusa, dove c'è uno dei pochi cpt per donne.
Così, ora si sfoga: "Mi sento cittadina europa e mi sono sempre spostata senza preoccuparmi dei permessi. Sto curando una mostra in Francia dove nessuno mi ha chiesto nulla. Ho persino aperto un conto in banca e ricevo tranquillamente la corrispondenza. Se ho sbagliato e vogliono cacciarmi, per lo meno lo facciano al più presto".
In Italia, invece, non è passata inosservata, perchè, anche se manca poco all'ingresso della Bulgaria nell'Unione europea, per la legge Marianna è una clandestina da fermare e mandare via. Dice di essere trattata "benissimo", ma le condizioni sono "difficili: siamo una cinquantina e dormiamo in grandi camerate. Sono ragazze di ogni tipo, molte prostitute. All'inizio credevo d'impazzire".
L'avvocato Maria Platania ha chiesto l'applicazione del trattato di Schengen, tenendo conto della precedente permanenza in Francia: "Chiederò comunque al prefetto - dice il legale - che almeno
l'espulsione avvenga al più presto"
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 dall'Unità    - 29-09-2006
Frequenta Economia a Pisa: scaduto il permesso di soggiorno perché la sorella diventa maggiorenne.

Ymane Chfouka ha 21 anni e fino ad una settimana fa era iscritta alla facoltà di Economia dell’Università di Pisa. Era arrivata a Lucca dal Marocco nel 2003, con la madre Latifah e la sorella minore Hind per ricongiugersi al padre, in Italia da 13 anni. L’anno successivo, «appena ho imparato l’italiano» racconta, ha iniziato a frequentare i corsi universitari. Ma il 21 settembre scorso ha ricevuto una lettera con cui l’ateneo, dopo la segnalazione della questura di Lucca, l’ha informata che la sua iscrizione al terzo anno è sospesa, in seguito alla mancata regolarizzazione della sua presenza nel nostro paese. Sono bastate poche parole a far finire in fumo due anni di lavoro, 12 esami superati con una media del 26 e la borsa di studio, travolti dagli effetti della legge Bossi-Fini. A monte c’è l’odissea dell’intera famiglia Chfouka, che pur essendo perfettamente integrata (il padre Salah è il presidente dell’associazione Italia-Marocco e lavora come mediatore culturale e traduttore, la sorellina frequenta con successo l’istituto turistico in città) lotta da due anni per ottenere il permesso di soggiorno e rischia l’espulsione in blocco il prossimo 7 novembre, quando la figlia più piccola diventerà maggiorenne. Negli uffici dell’Università di Pisa, la segnalazione della condizione di Ymane quale «totalmente clandestina sul territorio nazionale» è arrivata il 3 maggio: la ragazza si è presentata due volte per discutere la sua situazione, sicura di poter ottenere la regolarizzazione. Ma il permesso di soggiorno non è mai arrivato e l’ateneo ha dovuto spedire l’avviso. «Il provvedimento di sospensione - spiega l’università - è un atto a cui l’ateneo è obbligato dalla legge sull’immigrazione. Questa decisione è intervenuta in seguito alla nota dell’ufficio immigrazione della questura di Lucca». Ma «la sospensione - proseguono dall’ateneo - non ha effetti sulla carriera universitaria della studentessa, che potrebbe proseguire regolarmente i propri studi nel momento in cui le venisse concesso il permesso di soggiorno». E gli esami sostenuti dalla ragazza saranno convalidati. Resta però il fatto che in mancanza della regolarizzazione Ymane dovrà tornare in Marocco senza poter completare la sua istruzione: «Tengo molto agli studi, sono importanti per il mio futuro - racconta al telefono in un italiano impeccabile - sono venuta in Italia per stare con mio padre ma anche per studiare. Ho scelto economia e commercio perché già dalle superiori, in Marocco, ho seguito questo indirizzo. È una materia che mi interessa, spiega i fenomeni dello sviluppo». Se tutto fosse andato bene, Ymane avrebbe potuto conseguire la laurea triennale entro i primi mesi del 2008. Pur avendo trovato il tempo di dedicarsi nel corso dell’anno passato ad un programma di mediazione culturale in alcune scuole elementari, occupandosi del sostegno linguistico per i bambini stranieri. Nei suoi progetti c’era anche altro: «Vorrei tentare con Scienze economiche - dice - mi piacerebbe lavorare nel campo della ricerca». Della sua situazione si sta occupando il ministro dell’università e della ricerca, Fabio Mussi, che ha preso contatti con il ministero dell’interno, cui ha chiesto di verificare tutti gli aspetti della vicenda, anche sulla scia dei riflessi della Bossi-Fini sugli scambi di ricercatori e scienziati con i paesi extracomunitari. Ma per la famiglia Chfouka si è mobilitata anche Lucca: un coordinamento di associazioni (dall’Arci a Mani Tese) in collaborazione con Cgil, Cisl e Uil terrà stasera un’assemblea pubblica per discutere la situazione.