Il nuovo che avanza
Giuseppe Aragno - 16-06-2006
Cito a memoria, ma chi volesse applicarsi troverebbe certamente altri esempi: nel nuovo guidato dal nuovissimo Prodi c'è molto del vecchio che ci condusse allo sfascio del 2001: Massimo D'Alema, Vincenzo Visco, Pier Luigi Bersani, Giovanna Melandri, Rosy Bindi, Livia Turco, Paolo De Castro, Enrico Letta e persino Giuliano Amato che abbandonò Craxi al suo destino tunisino e oggi si ritrova al governo in compagnia del sottosegretario Bobo, immemore figlio del suo amico tradito.
E' stupefacente - e tuttavia illuminante - la distanza che c'è tra i fatti, l'immagine sapientemente truccata che ne danno i media e il fermento altalenante di ottimismo e pessimismo che ne deriva in quanti hanno sognato un governo in cui la sinistra non fosse un folcloristico orpello, come ha realisticamente sostenuto il Presidente del Consiglio, ma contasse, e intendesse contare, qualcosa.
Per quanto Fioroni, bell'anima pia di scuola democristiana, non perda occasione per esaltare l'autonomia che intende rafforzare, non passa giorno che un commentatore di sinistra non lo faccia passare per un novatore. Di fatto, mentre ci teniamo pezzi consistenti dell'esecrata Moratti, torniamo felicemente ai fasti del progetto berlingueriano. Tutto, ti dicono, è tinto di nuovo, tutto è segnale di discontinuità, ma ogni palpito di cambiamento se ne va, soffocato alla nascita nella sua culla. Così, la scuola rimane in mano al mercato, sebbene si trucchi con appropriati maquillage di una sinistra apparentata col centro, un ministro liberalizza a chiacchiere la droga e Rifondazione comunista si dichiara contenta. Sarà un caso, ma il partito non ha più il volto intelligente del suo antico segretario: gli fa da portavoce Gennaro Migliore, scialbo fiore di serra premiato con un posto alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni.
Se nuova appare - l'elefante ha partorito un topolino - la posizione sulla bioetica, vecchio purtroppo è il ruolo di garante dei "diritti" assunto - pensate un po' - da Massimo D'Alema che osa rimproverare a Bush la mancata collaborazione sul caso Calipari. Non a caso, tuttavia, è proprio D'Alema a segnalarsi per rigore e coerenza nella pratica dell'antica doppiezza: egli infatti ritirerà con ritmi berlusconiani i nostri esportatori di democrazia dall'Irak, ma li sposterà a Kabul, per dar modo a macellai a stelle e strisce di rinforzare la guardia a Bagdad.
Anche qui, si capisce, silenzio bipartisan e chi s'è visto s'è visto. D'altro canto, chi dovrebbe dirlo ciò che sta veramente accadendo? Bertinotti non può, perché glielo impedisce la poltrona, Giordano non si azzarda perché tace Migliore, Migliore non parla, perché sta zitto Giordano e i comunisti italiani, interdetti, hanno perso la parola. Dovessero ritrovarla cadrebbe il governo ed è perciò probabile che rimarranno muti. Nessuno perciò verrà a raccontarci che non solo in Afaganistan le forze Onu sono ormai al servizio della Nato - che lì non c'entra nulla e non dovrebbe starci - ma dall'elmetto dei soldati s'è scollata la vecchia etichetta di Peace Keeping e di sotto è comparsa quella nuova: Peace Enforcing. D'Alema non lo dice, Migliore nemmeno, e Dilberto tace: la sinistra va a traino del centro e della destra e noi non diamo più assistenza al governo fantoccio che controlla Kabul e zone circostanti, no, noi puntiamo a Nord, dove manderemo uomini e mezzi - i caccia se necessario, anche quelli - come ci chiede la Nato. Proprio così. In pratica partiamo per la guerra. Noi, sì, proprio noi, quelli che formano i comitati per il no, che ritirano le truppe dall'Irak e ripudiano la guerra. Noi, che già la ripudiammo ai tempi della Serbia, quando mister D'Alema - e chi se non lui? - bombardava la Jugoslavia e, con orgoglio americano, andava in giro ricordando alle destre che "nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L'Italia si trovava veramente in prima linea".
E' stupefacente - e tuttavia illuminante - la distanza che c'è tra i fatti, l'immagine sapientemente truccata che ne danno i media e il fermento altalenante di ottimismo e pessimismo che ne deriva a quanti hanno sognato un governo in cui la sinistra non fosse un folcloristico orpello, come ha realisticamente sostenuto il Presidente del Consiglio, ma contasse, e intendesse contare, qualcosa.

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 mimmo turturro    - 26-06-2006
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