breve di cronaca
Qual è la vera emergenza educativa nazionale?
Tuttoscuola - 14-11-2005
Dunque gli ultimi decreti attuativi previsti dalla legge n.53/2003 sono stati varati, compreso quello sul secondo ciclo, ma molto resta da fare per dare un connotato preciso al futuro sistema di istruzione e formazione secondario.
Uno degli aspetti più delicati da definire è quello della transizione dai vecchi indirizzi degli istituti secondari superiori ai nuovi licei.
Vanno definite infatti le "tabelle di confluenza dei percorsi di istruzione secondaria superiore previsti dall'ordinamento previgente nei nuovi percorsi liceali. E' uno dei che devono essere sottoposti al vaglio della Conferenza Unificata Stato-Regioni.
Dopo le "potature" degli anni novanta, gli indirizzi attuali degli istituti tecnici sono 39 rispetto ai 150 di prima. Adesso il Miur ha il problema di decidere quali di questi 39 indirizzi confluiranno nel liceo economico con due indirizzi e nel liceo tecnologico con ben nove indirizzi. La stessa questione si pone con i 17 indirizzi degli istituti professionali.
Nella definizione delle tabelle di confluenza delle attuali tipologie dell'istruzione secondaria superiore nei percorsi liceali, occorre tenere presente che nessun liceo potrà mai rilasciare titoli professionalizzanti corrispondenti a quelli degli attuali istituti tecnici e professionali. Vuol dire, allora, che non c'è più bisogno di istruzione e formazione professionale che rilasci titoli di studio professionalizzanti? Sarebbe un fatto grave per i giovani e per il paese. Alcuni dati lo confermano.

360.000 matricole universitarie contro 10.000 ragazzi che frequentano la formazione professionale postsecondaria; 40.000 iscritti a Giurisprudenza e 23.000 a Scienze della comunicazione contro 7.000 a Ingegneria (dato relativo a Roma ma che si ripete in proporzione in tutte le sedi universitarie); le matricole delle discipline scientifiche che sono 28.907 nel 1986-1987, 7.106 nel 99-2000 e circa 5.000 nel 2003-2004; solo un terzo dei laureati svolge un lavoro per il quale serve una laurea, in compenso le aziende non trovano professionalità alte che in tutti i Paesi Ocse sono acquisite nella formazione professionale superiore non universitaria (nei Paesi Ocse, infatti, il 40% dei giovani in formazione è in università mentre il restante 60% è nella formazione professionale superiore politecnica). Nel 2001 abbiamo depositato meno brevetti che nel 1991, mentre paesi come Finlandia e Svezia o Germania li hanno raddoppiati. La grande impresa in poco meno di vent'anni è scomparsa e ci ritroviamo con una piccola impresa (95,2% delle imprese esistenti, tutte con meno di 10 addetti e con una media di 3,7) che non riesce a fare rete per scommettere su innovazione e ricerca.
Può bastare?

Questi dati documentano quale sia l'emergenza del sistema Italia. Una emergenza, in primo luogo, educativa visto il livello di dispersione scolastica del nostro sistema di istruzione e formazione, e in secondo luogo di sviluppo economico visto il grande divario esistente tra domanda ed offerta di competenze professionali.
Deficit che originano nella mancanza di un sistema dell'istruzione e formazione professionale secondario e superiore che sia di prestigio sul piano culturale ed educativo, oltre che tecnico-professionale. Manca cioè un sistema che sia capace:
a) di assicurare ai giovani una formazione iniziale graduale e continua di qualità, collegata con le imprese e con il territorio, e del tutto concorrenziale con quella liceale e universitaria;
b) di superare il pregiudizio per cui chi non studia, quasi come fosse una punizione, va a lavorare, mentre chi lavora entrerebbe in una condizione così espiatoria e così poco stimolante che non deve studiare per poter continuare a svolgere al meglio il proprio lavoro: studio e lavoro devono, invece, sempre più compenetrarsi nelle formule dell'alternanza non solo nell'età evolutiva, ma per l'intera vita;
c) di fornire la massa critica istituzionale necessaria per un'efficace formazione permanente e ricorrente degli occupati in servizio (da noi è la più bassa dei Paesi Ue); come è possibile, infatti, che si possa parlare di istruzione e formazione professionale ricorrente senza poter contare sull'esistenza di una solida e flessibile istruzione e formazione professionale iniziale?

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