Iraq: quando la guerra non è virtuale...
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Tornare in America dopo un'assenza di sei mesi equivale a trovare una nazione rinsavita dal confronto con la realtà.
La realtà dell'indebitamento e dei posti di lavoro perduti. La realtà della Cina in ascesa. Soprattutto, la realtà dell'Iraq. Serve da esempio di questa nuova lucidità il discorso del presidente Bush a Fort Bragg ( ... ).
Mentre la telecamera indugiava in una panoramica delle schiere di soldati in berretti rossi, il commentatore tv ha avvertito i telespettatori che la trasmissione sarebbe potuta andare per le lunghe, perché era probabile che il discorso del presidente fosse ripetutamente interrotto da calorosi applausi della fedele platea di militari.
In realtà il pubblico ha interrotto il presidente una sola volta. Una! Frasi che durante i comizi elettorali dello scorso autunno suscitavano scrosci di applausi ( ... ) sono state accolte da un assordante silenzio.
Sedevano imperturbabili i soldati, in file compatte, ben sbarbati, la mascella quadrata, l'aria un po' annoiata e, almeno in un caso su cui mi è caduto l'occhio, masticando ritmicamente gomma.
Bush procedeva nel suo intervento misurato, un po' impacciato, con quel suo strano mezzo sorriso tirato, gli angoli della bocca piegati all'ingiù invece che all'insù. Un semi-ictus.
In quel silenzio soprannaturale sembrava a tratti un comico che coraggiosamente sfida l'indifferenza dell'uditorio alle sue battute.
Ma in questo caso, ovviamente, non c'era niente da ridere. In seguito, quegli stessi commentatori televisivi che avevano preventivato un diluvio di applausi, ipotizzavano, in tono altrettanto autorevole, che fosse stata la Casa Bianca ad invitare il pubblico a moderare l'entusiasmo.
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" ... non c'era niente da ridere ... " scrive Timothy Garton Ash, director European Studies Centre St. Antony's College Oxford University, nella sua bella ed interessante corrispondenza da Jesusland, pubblicata sul quotidiano "la Repubblica" col titolo "
L'America e le astuzie della storia".
1.700 morti ammazzati in quel dell'Iraq per le forze armate americane, non quantificabile il numero dei civili innocenti morti ammazzati per parte irachena; sarebbe stato comprensibile il tripudio delle truppe americane ben allineate ad ascoltare "
l'imboscato" di turno, che con la spavalderia propria degli imboscati aveva dichiarata finita la guerra all'Iraq sul ponte di una portaerei in perfetta tenuta militare, una guerra unilaterale, senza avversario alcuno?
E questo tripudio mancato sembra lo si avverta ad ogni passo nelle contrade, anche le più sperdute, di Jesusland, lo si respira nella interessante corrispondenza di Arturo Zampaglione da quel mondo lontano.
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Videogiochi e guerra virtuale per allevare nuove reclute" è il titolo della corrispondenza apparsa sul settimanale "Affari & Finanza".
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Mio figlio, che ha 14 anni, è andato in guerra in Iraq. Impugnando un M4A1 semiautomatico e agli ordini del comandante americano, ha setacciato un centro urbano semidiroccato che sembrava Tikrit.
Ha fatto irruzione nelle abitazioni, si è nascosto dietro i muretti, è salito sui tetti. E mentre faceva tutto questo, sparava, sparava, sparava raffiche di piombo uccidendo un bel numero di "ribelli". Ma a un certo punto, colpito da un cecchino, è crollato a terra ed è morto in una pozza di sangue. Tanti altri ragazzi poco più grandi di mio figlio sono stati uccisi in Iraq in situazioni analoghe, ma per fortuna la sua era solo una guerra "virtuale", combattuta sulla banda larga del computer con un programma chiamato "America's Army".
Che cos'è? Forse l'ennesima trovata di un mercato, quello dei giochi elettronici, che l'anno scorso ha superato i 24 miliardi di dollari?
No. Se così fosse, il software non sarebbe distribuito gratuitamente (anche attraverso il sito internet www.americasarmy.com), né sarebbe finanziato dal contribuente americano a botte di 2,5 milioni di dollari all'anno.
Dietro a questo "gioco" di guerra interattivo si nasconde la crisi del reclutamento dell'esercito americano.
Per colpa della crescente impopolarità della guerra e dei 1700 americani morti in Iraq, i generali Usa sono ben al di sotto dell'obiettivo di addestrare, entro l'anno, 80mila reclute.
A maggio si sono dovuti accontentare di 5mila giovani, rastrellati per lo più nelle periferie povere, chiudendo un occhio sui livelli di istruzione e persino sui problemi di alcol e di droga.
Il Pentagono si è lanciato in soluzioni creative. La settimana scorsa il generale Richard Colt è andato a Wall Street a suonare la campana che segna la fine delle contrattazioni di Borsa.
La scusa era quella del 230mo compleanno dell'esercito. Il vero obiettivo? Fare pubblicità all'arma, accreditando un'immagine più rispettabile dei militari.
E mentre gli addetti al reclutamento continuano a percorrere i ghetti in lungo e in largo, regalando magliettine e dolciumi, e promettendo sconti nella durata dell'impegno militare e bonus fino a 40mila dollari, gli ufficiali-imprenditori si affidano all'informatica.
Il "papà" di "America's Army" è il colonnello Casey Wardynski. Per ottenere gli effetti iperrealistici e interattivi ha attinto alle tecnologie di simulazione su cui il Pentagono investe 1 miliardo di dollari all'anno.
Il "gioco" sta avendo un grande successo tra i teenagers (molto meno tra genitori e psicologi). Se fosse a pagamento, i generali incasserebbero miliardi. Invece è gratis.
Nei centri di reclutamento delle forze armate hanno già distribuito 3 milioni di questi dischetti. In tutto 5 milioni e mezzo di ragazzi si sono "arruolati" virtualmente; 3,2 milioni hanno completato l'addestramento. E naturalmente il programma inserisce un "cookie" nel computer degli iscritti, in modo che un Grande Fratello al Pentagono possa registrare i "successi" di mio figlio e di ogni altro soldato elettronico. "
Redazione - 03-07-2005
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Segnaliamo, a completamento, da Swiss info
28 giugno 2005 - 18.26
Iraq: anniversario; Usa, per sondaggi guerra fu un errore
WASHINGTON - Una maggioranza di americani, il 53%, pensa che l'invasione dell'Iraq sia stata un errore, ma una maggioranza più netta pensa che venire via dall'Iraq - ora - sarebbe un errore peggiore. È quanto si ricava dalla lettura, integrata, di sondaggi d'opinione pubblicati, oggi, dalla stampa americana, nell'anniversario del passaggio di consegne, il 28 giugno 2004, dalle forze d'occupazione americane e alleate a un governo iracheno provvisorio.
Il rilevamento della Gallup per conto di USAToday e Cnn indica che il 53% degli americani pensa che la guerra sia stata un errore e che solo il 45% approva l'operato, in Iraq e altrove, del presidente George W. Bush - siamo ai minimi storici da quando Bush s'insediò alla Casa Bianca il 20 gennaio 2001.
Il sondaggio per conto di Washington Post e Abc mostra, invece, che solo il 38% degli americani sono favorevoli a un ritiro delle truppe immediato (13%) o all'avvio subito di un ritiro progressivo (25%).
Alla domanda se le truppe in Iraq vadano mantenute sugli attuali livelli, aumentate o diminuite, le risposte sono, rispettivamente, 44%, 38% e 16%.
In questo rilevamento, c'è una maggioranza di americani (52%) che pensa che il conflitto abbia contribuito a migliorare la sicurezza nazionale.
SDA-ATS
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ilaria ricciotti - 03-07-2005
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Quanti morti a causa di questa guerra! Troppi!
Quanti di loro reclamano ancora una sepoltura, una tomba sui cui deporre un fiore, un tribunale che indaghi sui mandanti e scopra la verità!
Quante subdole ingiustizie in nome di questa guerra!
Quanta falsità!
Questa guerra è purtroppo stramaledettamente vera ed infinita.
Mi piacerebbe sapere non solo cosa ne pensa il popolo americano, ma soprattutto il popolo iracheno che ogni giorno vive questa tragedia; ogni giorno continua a vedere le sue strade tinte di rosso, la sua gente chiedere aiuti che soltanto i più fortunati o i più furbi avranno.
I suoi bambini silenziosi e dagli sguardi tristi reclamano il diritto di poter continuare a giocare per le vie, sui prati senza aver paura. |