dall'Unità - 14-05-2005 |
Anche Mussolini diceva: italiani buoni a nulla Da quando le cose vanno male in Italia ed è impossibile - malgrado il dominio televisivo - convincere gli italiani che tutto va bene e che sono i "perfidi comunisti" sempre in agguato a parlare male del nostro bel Paese, il presidente del Consiglio ha incominciato a cambiar registro nei suoi commenti e nelle sue esternazioni giornalistico-televisive. Da quando le elezioni regionali e poi le successive amministrative hanno segnato (in termini a volte davvero plateali e inattesi) il declino dell'attuale maggioranza, Berlusconi ha incominciato a dire che, se le cose in economia vanno male, se i prezzi sono troppo alti, se il carovita picchia sulle famiglie del ceto medio, la colpa non è sua, del governo e della maggioranza che lo sostiene, della politica economica fatta in questi anni ma degli italiani che - ultima beffa - fanno anche troppe vacanze. In fondo, ha argomentato, basterebbe che gli italiani dicessero di no a chi vuol vendere qualcosa a un prezzo troppo alto e il problema sarebbe risolto. Non si è informato, naturalmente, se le difficoltà nascono dal fatto che, dopo le prime tre settimane del mese molte famiglie restano senza danaro e dunque non sono in grado di acquistare per questioni di prezzo più o meno alto. Né ha tenuto conto del fatto che nel nostro Paese abbondano cartelli e oligopoli e in molti casi i prezzi non scendono sotto a una certa altezza, soprattutto nei generi alimentari. Ha risolto il problema semplicemente, con un taglio netto: il mercato è libero, le famiglie possono scegliere quello che più gli aggrada e dunque non si lamentino né addossino il problema al governo che nulla può di fronte al mercato. Che dire fronte a un simile modo di reagire da parte di chi guida il governo e la maggioranza da quattro anni? Vale la pena richiamare due particolari che non abbiamo letto, neppure in questi giorni, sulla stampa italiana e che pure ci sembrano pertinenti. Il primo è che, a memoria di uomo, non era mai avvenuto nel primo cinquantennio repubblicano che un presidente del Consiglio rispondesse al modo di Berlusconi di fronte ai problemi economici della popolazione. Non lo fece De Gasperi né qualcuno dei suoi successori nel difficile periodo dei governi centristi. Non le fecero né Moro né Fanfani negli anni del centrosinistra. E tanto meno questo avvenne negli anni del compromesso storico o degli anni ottanta e novanta. Per ritrovare un precedente simile a quello di Berlusconi bisogna ritornare più indietro, agli anni del regime fascista e del rapporto di amore-odio che per vent'anni legò gli italiani (o almeno la maggioranza di loro) a Benito Mussolini. In condizioni storiche assai diverse, giacché allora l'Italia era retta da una dittatura che si reggeva sulla forza della polizia e dell'esercito e sulla manipolazione totale dell'informazione, Berlusconi, pur non essendo riuscito a instaurare una dittatura, ha stabilito, grazie al suo dominio quasi completo delle televisioni e della pubblicità che regola la vita della stampa, con gli italiani che l'hanno sostenuto fino ad ieri, un rapporto speciale e personale, di tipo fideistico che è entrato in crisi soltanto da qualche tempo. Ora se andiamo a leggere quel che diceva Mussolini negli ultimi anni del regime quando la guerra andava male, restiamo impressionati dal fatto che anche lui se la prendeva con gli italiani che, in precedenza, aveva lodato ed esaltato. Basta fare qualche esempio per convincersene. Nel 1938, quando la guerra non era ancora incominciata ed era sicuro dei destini luminosi che attendevano l'Italia, diceva: "Preferiamo essere temuti e non ci importa nulla dell'odio altrui, perché lo ricambiamo... Bisognerà che il mondo faccia conoscenza con questa nuova Italia fascista; Italia dura, Italia volitiva, Italia guerriera". Ma basta la delusione di fronte ai primi combattimenti contro l'esercito francese sulle Alpi nel giugno 1940 che Mussolini cambia idea sul popolo italiano e confida a Galeazzo Ciano quello che pensa: "È la materia prima che mi manca. Anche Michelangelo aveva bisogno del marmo per fare le sue statue. Se avesse avuto solo dell'argilla, sarebbe stato solo un ceramista. Un popolo che è stato per sedici secoli incudine, non può in pochi anni diventare martello". E, a mano a mano che la guerra va male, i suoi giudizi sugli italiani diventano sempre più duri fino a quando, di fronte allo sgomento con cui viene accolta la fucilazione di Ciano dopo il processo di Verona, il dittatore esplode: "In qualsiasi occasione noi italiani ci dimostriamo buffoni o feroci. Il fatto è che siamo impazziti. Non distinguiamo più che cosa è la vita o la morte". Gli esempi potrebbero continuare ma il meccanismo del giudizio assomiglia in maniera impressionante a quello di Silvio Berlusconi. Quando le cose andavano bene, o almeno il presidente del Consiglio (grazie a Vespa e al TG1) riusciva a convincere molti italiani che non c'era da preoccuparsi, i giudizi berlusconiani sugli italiani erano positivi e perfino ricchi di lodi (chi può dimenticare la sua "storia italiana" distribuita gratuitamente a milioni di famiglie e le sue esaltazioni della terra italiana), ma ora che le cose vanno male e a tutti è diventata evidente la divisione perpetua della maggioranza e la probabilità di prossime sconfitte elettorali, il leader della Casa delle Libertà cambia completamente registro e rovescia sugli italiani, sulla loro incapacità di fare la spesa o sulle troppe vacanze, le responsabilità della crisi economica e delle loro attuali difficoltà. Nell'un caso come nell'altro, purtroppo quello che emerge è la lontananza siderale dalla società italiana di chi pure la governa. Nicola Tranfaglia |