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Iraq: abbiamo un lavoro da finire ...
Reporter Associati - 13-05-2005
"I soldati americani ripetono di questi tempi una frase che mi fa venire i brividi addosso: abbiamo un lavoro da finire. E' per questo che non vogliono più giornalisti in giro per l'Iraq". Così diceva l'altra sera a Firenze il collega del Tg1 Pino Scaccia che abbiamo chiamato per presentare il suo splendido documentario sui reporter uccisi, il primo documento italiano di questo genere. C'è la guerra, questa sporca guerra in Iraq che già ucciso sessantacinque colleghi. Ci sono i morti per "fuoco amico" e quelli per mano di quei misteriosi tagliatori di gole che tengono ancora prigionieri Florence Aubenas, il suo collaboratore Hussein e i tre colleghi rumeni.

Una guerra "senza testimoni" sia nella prima fase puramente militare, dominata, ricorderete, da impenetrabili tempeste di sabbia, sia in questa seconda e più tragica dove i giornalisti sono stati di fatto espulsi da una oggettiva sinergia tra il malcelato fastidio dell'alleanza militare e l'aperta ostilità del fronte dei ribelli. Non sappiamo di Falluja, delle condizioni della società irachena, il numero dei civili uccisi. Non sappiamo cosa faccia il contingente italiano a Nassirya.

Ci dicono che è un contingente di pace, ma ci giungono notizie di conflitti a fuoco, di feriti. I nostri chiedono armamenti sempre più pesanti. Come potrà l'opinione pubblica italiana giudicare l'operato del nostro contingente e del nostro governo in Iraq? Lo farà solo su basi " ideologiche", non avendo a disposizione quei dati di fatto che solo il lavoro (certo discutibile ma non eliminabile) dei cronisti può fornire.

Come si vede, la rimozione dei testimoni, degli inviati dallo scenario di un evento così importante, mette in discussione lo stesso principio di cittadinanza che sta alla base delle nostre democrazie. E i nostri colleghi protestano. Nonostante quella angosciante scia di sangue che ha travolto la nostra categoria, contestano la scelta di molti governi europei di lasciarli a casa, a guardare la guerra da lontano, scavando sulle agenzie e sui siti dei bloggers (sempre più importanti nell'attuale sistema dell' informazione).

A rischio della vita vorrebbero ripartire, andare là in prima linea per vedere, registrare e raccontare.

Sono pazzi? Vi daranno una risposta semplice e disarmante , quella antica di sempre ." Forse sì, ma questo è il nostro lavoro". L'hanno detto in coro tutti, dal "vecchio" Ettore Mo, a Porzio, Nicastro e Scaglione alla presentazione del rapporto annuale di Reporters Sans Frontiers organizzato dall'amico Mimmo Candito a Milano e al quale abbiamo partecipato anche noi di Isf per lanciare un segnale forte di unità della categoria. Già, perché la situazione è grave e non c'è più spazio per divisioni .

Negli ultimo quindici anni nel mondo sono stati uccisi millecinquecento giornalisti e non solo sugli scenari di guerra. Si muore per una notizia in Colombia, nella ex Federazione Russa di Putin, in Cina, nelle Filippine, in Messico, ad Haiti, a Cuba, in tutta l'Africa, in Iran... E noi lo sappiamo bene. E' una lezione che comincia con Di Mauro, passa per Siani, Restagno e arriva fino ad Antonio Russo e Ilaria Alpi.

Ma l'omicidio del giornalista è solo l'ultimo grado di una strategia che ha mille altri passaggi precedenti, meno cruenti, meno visibili, ma non meno pesanti. In occasione di questo 3 Maggio ISF ha presentato in libreria e diffonderà in tutta italia il libro di Roberto Reale "Ultime Notizie". Roberto ha condotto per noi un'indagine imponente su centinaia di documenti inediti nel nostro Paese sui media negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Il risultato della sua fine analisi lancia un allarme rosso sulla professione.

Proprio nei Paesi di cultura anglosassone dove è nata la cultura e la pratica del giornalismo indipendente e dove abbiamo tutti imparato che il Quarto Potere era in grado di sorvegliare e anche condannare il potere politico quando usciva dalle regole democratiche, la situazione si è di fatto ribaltata. Persino i mostri sacri del giornalismo usa, gli stessi che all'epoca del Vietnam o del Watergate aveva messo al tappeto le bugie di Stato, stavolta o hanno taciuto oppure, se hanno provato a reagire, sono stati messi alla porta.

La riposta ? I media hanno rinunciato al proprio ruolo di garanti, alla rappresentanza dell'opinione pubblica. Il gigantismo finanziario dei grandi editori li ha risucchiati negli anni passati all'interno di quel gotha sociale dove convivono con i potenti della politica, anche loro sempre più "finanziarizzati". Si è cominciato a censurare imbarazzanti denunce su operazioni immobiliari e finanziarie e si è finito col coprire le bugie sull'11 settembre e la guerra in Irak, cancellare le bare dei soldati morti, le proteste dei familiari, lo "sporco lavoro" ancora da finire .

In Gran Bretagna il laburista Blair ha massacrato la BBC colpevole di aver fatto il proprio dovere denunciando le mistificazioni sulle armi di distruzione di massa irakene. Un documento del Pentagono pubblicato da Reale, ma anche l'acuta saggezza di Mimmo Candito , l'esperienza del "vecchio" Mo e la nostra coscienza, ci fa ormai intravedere un futuro prossimo "senza giornalisti". Lo stanno costruendo pezzo a pezzo le nuove derive tecnologiche, le nuove guerre "atipiche", la progressiva concentrazione sopranazionale delle proprietà mediatiche ma anche il nuovo assetto delle nostre democrazie sempre più "plebiscitarie", leaderistiche e sostanzialmente "autoritarie". Infine, lo fanno intravedere, la debolezza dimostrata dal mondo del giornalismo rispetto all'assalto sempre più pesante del potere economico e di quello politico.

Se il Quarto Potere è sconfitto in Usa, là dove era nato e divenuto potente, cosa avverrà da noi, dov'era sempre rimasto zoppicante o in Paesi che si affacciano oggi ai principi del liberalismo? Se il giornalismo espelle, come ha già fatto e continua a fare, la società , i soggetti sociali, dalla rappresentazione mediatica, se abdica all'inchiesta sociale e rinuncia quindi alla propria terzietà rispetto al potere, perde anche ogni contrattualità il proprio peso reale.

Raccontare una realtà fatta solo di potenti ( politici, finanzieri, presunti intellettuali) e di poveri criminalizzati ( o vittime o carnefici) riducendo la società ai risultati di qualche sondaggio non è cedere a un peccato mortale che avvicina il giornalismo a un ufficio stampa? E' questa l'amara lezione di questo 3 maggio.

L'ha chiarita qualche tempo fa Bruce Springsteen in un'intervista alla rivista Rolling Stones: " La stampa ci ha tradito . I media hanno abbandonato il Paese". Ora il Boss porta in tournée il suo ultimo disco. " Ma che fai se quello che fai per sopravvivere / uccide le cose che ami / la paura è potente/ ti rende il cuore nero, credimi/ prenderà la tua anima piena di Dio / e la riempirà di diavoli e polvere".

"Diavoli e polvere", già... Nella sporca guerra in Iraq, ma anche nel grigiore del nostro lavoro di tutti i giorni.

Stefano Marcelli (*Segretario generale di "Informazione Senza Frontiere")



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